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Lettura del Mito
“Melusine, una fanciulla bellissima, incontra un cavaliere
smarritosi nel bosco. Lo corteggia e lo blandisce promet-
tendogli grandi onori e ricchezze se lui diverrà suo sposo.
Gli pone però una condizione : non dovrà mai cercare di
vederla il sabato. Il cavaliere accetta e i due si sposano e
vivono serenamente , amandosi e rispettando il patto ini-
ziale.
Ma un giorno, spinto dalla gelosia, il consorte osa guarda-
re da uno spiraglio il luogo in cui si trova la donna e gli
appare una visione orrifica : la sposa sta prendendo il ba-
gno e il suo corpo presenta una lunga coda serpentiforme.
La scoperta agghiacciante condannerà il cavaliere alla mi-
seria e alla disperazione e la donna serpente a ritornare de-
finitivamente alla sua forma originaria di animale.”
Tratto da “Dee fuori dal tempio”
La sposa Melusine rappresenta l’integrità sviluppata al suo massimo grado.
Un Tutto formato da un’amalgama.
Un serpente che è anche fanciulla che è anche cavaliere.
Alla base c’è un serpente che, prima della lettura cristiana, è stato per migliaia di anni un simbolo di tras-
Dunque abbiamo un serpente, radice di animalità cioè di istinto, nel quale si fonde la fanciulla, bellissima per la sua capacità di percezione immediata della conoscenza cioè l’intuizione, i quali si fondono col cavaliere cioè la razionalità deduttiva, che se sola si smarrisce nei boschi.
La visione ispiratrice è chiara : né il serpente, né la fanciulla, né il cavaliere se separati possono concludere alcunché.
E’ il corteggiamento deciso della fanciulla/intuizione nei confronti del cavaliere/razionalità che permetterà alle tre parti di creare qualcosa di nuovo e costruttivo.
Il mito di Melusine rappresenta così il processo di trasformazione cioè la lenta e paziente fusione di più “parti” che può avvenire in ogni microcosmo fattosi persona.
In questo senso Melusine rimanda al segreto della pietra filosofale.
Ma la storia ci dice qualcosa di più.
Ci suggerisce che questo processo di fusione sia fonte generatrice di felicità.
Sembra dirci, cioè, che se riusciamo faticosamente e pervicacemente, giorno dopo giorno, a fondere queste parti fra loro dentro ognuna di noi, noi godremo di “onori e ricchezze” e vivremo “serenamente” nell’amore e nel rispetto.
Quella gioia di vivere e quell’entusiasmo che sentiamo dentro il cuore quando ci amiamo e stimiamo : che ci fa sentire vive e belle e forti : che ci fa conservare l’incanto infantile, che ci fa vivere a fondo la passione matura, che ci fa apprezzare la lucidità della coerenza mentale.
Quella sostanza di emozioni-
La felicità, appunto.
Non quella che ci aspettiamo dall’esterno come da piccole attendevamo dai regali sotto l’albero o accanto al presepe, ma quella vera, reale, concreta, che solo dentro di noi possiamo costruire.
In un certo senso, il mito di Melusine ci dice che proprio in questo processo di integrazione fra le parti può risiedere il senso e gusto della vita.
Non solo.
La “storia” ci dice anche cosa succede se questo processo non si completa.
Il cavaliere tornerà a smarrirsi nei boschi, la fanciulla sarà solo serpente, “miseria e disperazione” per tutti.
Sembra solo un brutto finale, ma in realtà il Mito ci mette (saggiamente) solo in guardia alludendo alle difficoltà e alla faticosità di questo processo iniziatico.
E’ come se dicesse ad ognuna di noi :
“se vuoi la felicità preparati, perché il viaggio sarà periglioso : incapperai in tranelli (la gelosia o l’invidia), avrai “visioni orrifiche” (la propria animalità), farai “scoperte agghiaccianti” (l’altrui disamore)…ma se avrai il coraggio di attraversare tutte queste prove, il premio sarà il meglio al quale aspiri !”
Il mio personale istinto serpentino dice che, prima dell’invenzione di Biancaneve e Cenerentola, le nonne raccontassero queste “fiabe” ai bambini.
Magari con un occhio di riguardo verso le bambine.
Milano 26 dicembre 2010 Alda Capoferri