Gabriela Hammerman

Memorial di Dachau

Parchè tanti militari italiani in un Kz?

Innanzitutto devo ringraziare gli organizzatori di questo convegno per avermi dato l'opportunità di prendervi parte. La mia partecipazione per me è ancora più importante dal momento che il memoriale di Dachau, presso cui lavoro dal settembre di quest'anno come responsabile del dipartimento di ricerca, sta dando inizio a ricerche miranti a rintracciare i sopravvissuti italiani per ricostruire con la loro collaborazione, attraverso racconti ed interviste, quali fossero le condizioni di vita nel campo di concentramento di Dachau.
Pur essendomi occupata della problematica degli internati militari condannati al lavoro nell'industria bellica già nel corso del mio dottorato di ricerca, non avevo ancora avuto occasione di approfondire la tematica dei deportati nei campi di concentramento delle SS quali per esempio Dora e Dachau.
Come prima cosa vorrei fare il punto sulla situazione attuale delle fonti che abbiamo a Dachau. La prima difficoltà consiste nel fatto che è molto difficile differenziare nei documenti superstiti fra i gruppi di prigionieri italiani presenti nel Lager delle SS. Nei campi di concentramento delle SS si trova spesso soltanto la dicitura "italiano" e poi la differenziazione fra i prigionieri politici e i prigionieri con il triangolo nero. Spesso non è possibile stabilire se i prigionieri italiani fossero militari disarmati dopo l'8 settembre o civili deportati perché sospettati per esempio di essere dei partigiani.
Talvolta è possibile distinguere fra militari internati e civili nel caso in cui fossero già stati prigionieri in un campo di prigionia della Wehrmacht e poi trasferiti in uno delle SS perché in questo caso avevano già superato l' immatricolazione da parte della Wehrmacht. Se invece fossero venuti direttamente dall'Italia o da un altro campo di concentramento delle SS, una differenziazione non sarebbe possibile.

Nel caso specifico di Dora abbiamo a disposizione una statistica incompleta che presenta però il vantaggio di una registrazione differenziata per gli internati militari e civili. A Dachau i problemi sono maggiori. I militari italiani non sono registrati in un modo diverso e con una numerazione differenziata né con una dicitura "prigioniero di guerra" come invece è avvenuto a Dora. Inoltre buona parte dei nomi sono stati
scritti in modo sbagliato. Spesso si confondono gli italiani con gli jugoslavi e viceversa.
In secondo luogo vorrei fare il punto sulle ragioni in base alle quali secondo me gli internati militari sono giunti nei campi di concentramento delle SS. Sicuramente già molto si è detto nel corso di questo convegno circa i militari italiani internati, cercando di capire come mai dei militari prigionieri di guerra fossero caduti nella sfera di competenza delle SS.

A mio parere si possono osservare e distinguere due fasi: una prima fase che va dal settembre al dicembre '43 durante la quale parecchi militari italiani finirono nei campi di concentramento delle SS, e una seconda fase, dal '44 in poi, durante la quale ci furono solo dei trasporti di dimensioni ridotte. Secondo il mio parere nella prima fase gli internati militari sono stati deportati nei Lager delle SS perché gli ordini non erano stati abbastanza chiari in relazione alle competenze fra le SS e la Wehrmacht in occasione del disarmo. Ciò era dovuto alla situazione di grande caos che si era creato dopo l'8 settembre. In molte regioni come in Croazia le SS rincorrevano le unità della Wehrmacht nell'intento di disarmare gli italiani; siccome le competenze non erano ben definite, le SS tentavano di tenere i militari già catturati entro la propria sfera di competenza e di farli entrare nelle unità ausiliarie.

Un ulteriore aspetto è il seguente: le SS in Italia emisero un ordine che prevedeva che i militari che avevano collaborato con i partigiani dovevano rimanere sotto la competenza delle SS. I militari così catturati furono trattati quindi come partigiani, e non secondo le regole di guerra. Le SS usavano le azioni di resistenza di militari italiani come legittimazione della loro scelta di tenere questi disarmati sotto la loro autorità.
Chiamato a dirimere la questione delle competenze, il 5 ottobre '43 Himmler diede l'ordine che prevedeva che soltanto i prigionieri dei campi di concentramento in Italia nonché persone sospette (ma militari esclusi) potevano essere catturati dalle SS e poi trasferiti nei Lager in Germania. Qualora i militari italiani già trasferiti in Germania nei campi di prigionia della Wehrmacht si fossero rifiutati di collaborare o come ausiliari della Wehrmacht o come operai nell'industria bellica, avrebbero potuto essere trasferiti per punizione in un Lager delle SS, se il comandante del campo di prigionia lo avesse ritenuto necessario. Si tratta però soltanto di casi isolati.
La mia tesi è che nel periodo immediatamente successivo all'armistizio, essendo venute a mancare disposizioni superiori circa i militari italiani internati, singoli individui comandanti dell'area della Wehrmacht e altre persone in posizione di rilievo disposero secondo il loro giudizio di questi prigionieri.
Per esempio è sconcertante il fatto che una gran parte dei militari internati di Dora provenissero soprattutto da due soli Lager della Wehrmacht.
Per quanto riguarda la seconda fase mi sono accorta che gli italiani venivano portati nei campi di concentramento per due motivi.

Il primo è che spesso venivano dai cosiddetti "campi di rieducazione al lavoro" delle SS, delle specie di lavori forzati dove erano stati imprigionati assieme a persone di diverse nazionalità anche molti tedeschi, colpevoli di avere avuto uno scarso rendimento sul lavoro oppure di essersi dimostrati renitenti ai comandi ricevuti. Sulle liste delle paghe spettanti agli operai spesso si legge accanto all'importo del salario la notazione di un ordine di trasferimento in uno di questi campi, con tanto di motivazione per tale trasferimento. Il fine di tali disposizioni era di punire il singolo e al tempo stesso di intimidire gli altri operai che vedevano poi ritornare il compagno dopo uno di questi soggiorni forzati, la cui durata poteva arrivare ad un massimo di 56 giorni, in condizioni pietose.
Ho potuto ricostruire un trasferimento in uno di questi "campi di rieducazione al lavoro" grazie all'aiuto di un militare internato sopravvissuto che risiede ora a Roma e lavorava in una miniera in Germania. Era riuscito a fuggire dopo un attacco aereo, ma era poi stato ricatturato e riportato alla sua squadra di lavoro. In seguito picchiò un internato che aveva organizzato un mercato nero con i tedeschi utilizzando i supplementi alimentari destinati ai militari italiani che svolgevano lavori pesanti. Come conseguenza a ciò fu mandato in un campo di "rieducazione al lavoro", e quindi, dopo l'ennesimo "comportamento renitente" fu deportato nel campo di concentramento di Buchenwald.
Abbiamo una comunicazione che Speer, allora ministro della guerra, fece nell'aprile del '44 a Hitler, lamentando la perdita della mano d'opera per l'industria bellica, dal momento che nel corso del '43 ben 35.000 lavoratori stranieri erano fuggiti ed erano poi finiti nei campi di concentramento dell'esercito.
Purtroppo si tratta per la maggior parte di episodi che possono essere avvallati solo da pochissimi documenti. Per tale ragione è indispensabile la collaborazione di quanti abbiano vissuto questa tragica esperienza perché solo loro possono aiutare a ricostruire questo mosaico dove ogni informazione biografica per quanto piccola, è un tassello per ricostruire il quadro generale.