Innanzitutto devo ringraziare gli
organizzatori di questo convegno per avermi dato l'opportunità
di prendervi parte. La mia partecipazione per me è ancora più
importante dal momento che il memoriale di Dachau, presso cui lavoro
dal settembre di quest'anno come responsabile del dipartimento di ricerca,
sta dando inizio a ricerche miranti a rintracciare i sopravvissuti italiani
per ricostruire con la loro collaborazione, attraverso racconti ed interviste,
quali fossero le condizioni di vita nel campo di concentramento di Dachau.
Pur essendomi occupata della problematica degli internati militari condannati
al lavoro nell'industria bellica già nel corso del mio dottorato
di ricerca, non avevo ancora avuto occasione di approfondire la tematica
dei deportati nei campi di concentramento delle SS quali per esempio
Dora e Dachau.
Come prima cosa vorrei fare il punto sulla situazione attuale delle
fonti che abbiamo a Dachau. La prima difficoltà consiste nel
fatto che è molto difficile differenziare nei documenti superstiti
fra i gruppi di prigionieri italiani presenti nel Lager delle SS. Nei
campi di concentramento delle SS si trova spesso soltanto la dicitura
"italiano" e poi la differenziazione fra i prigionieri politici
e i prigionieri con il triangolo nero. Spesso non è possibile
stabilire se i prigionieri italiani fossero militari disarmati dopo
l'8 settembre o civili deportati perché sospettati per esempio
di essere dei partigiani.
Talvolta è possibile distinguere fra militari internati e civili
nel caso in cui fossero già stati prigionieri in un campo di
prigionia della Wehrmacht e poi trasferiti in uno delle SS perché
in questo caso avevano già superato l' immatricolazione da parte
della Wehrmacht. Se invece fossero venuti direttamente dall'Italia o
da un altro campo di concentramento delle SS, una differenziazione non
sarebbe possibile.
Nel caso specifico di Dora abbiamo
a disposizione una statistica incompleta che presenta però il
vantaggio di una registrazione differenziata per gli internati militari
e civili. A Dachau i problemi sono maggiori. I militari italiani non
sono registrati in un modo diverso e con una numerazione differenziata
né con una dicitura "prigioniero di guerra" come invece
è avvenuto a Dora. Inoltre buona parte dei nomi sono stati
scritti in modo sbagliato. Spesso si confondono gli italiani con gli
jugoslavi e viceversa.
In secondo luogo vorrei fare il punto sulle ragioni in base alle quali
secondo me gli internati militari sono giunti nei campi di concentramento
delle SS. Sicuramente già molto si è detto nel corso di
questo convegno circa i militari italiani internati, cercando di capire
come mai dei militari prigionieri di guerra fossero caduti nella sfera
di competenza delle SS.
A mio parere si possono osservare
e distinguere due fasi: una prima fase che va dal settembre al dicembre
'43 durante la quale parecchi militari italiani finirono nei campi di
concentramento delle SS, e una seconda fase, dal '44 in poi, durante
la quale ci furono solo dei trasporti di dimensioni ridotte. Secondo
il mio parere nella prima fase gli internati militari sono stati deportati
nei Lager delle SS perché gli ordini non erano stati abbastanza
chiari in relazione alle competenze fra le SS e la Wehrmacht in occasione
del disarmo. Ciò era dovuto alla situazione di grande caos che
si era creato dopo l'8 settembre. In molte regioni come in Croazia le
SS rincorrevano le unità della Wehrmacht nell'intento di disarmare
gli italiani; siccome le competenze non erano ben definite, le SS tentavano
di tenere i militari già catturati entro la propria sfera di
competenza e di farli entrare nelle unità ausiliarie.
Un ulteriore aspetto è il
seguente: le SS in Italia emisero un ordine che prevedeva che i militari
che avevano collaborato con i partigiani dovevano rimanere sotto la
competenza delle SS. I militari così catturati furono trattati
quindi come partigiani, e non secondo le regole di guerra. Le SS usavano
le azioni di resistenza di militari italiani come legittimazione della
loro scelta di tenere questi disarmati sotto la loro autorità.
Chiamato a dirimere la questione delle competenze, il 5 ottobre '43
Himmler diede l'ordine che prevedeva che soltanto i prigionieri dei
campi di concentramento in Italia nonché persone sospette (ma
militari esclusi) potevano essere catturati dalle SS e poi trasferiti
nei Lager in Germania. Qualora i militari italiani già trasferiti
in Germania nei campi di prigionia della Wehrmacht si fossero rifiutati
di collaborare o come ausiliari della Wehrmacht o come operai nell'industria
bellica, avrebbero potuto essere trasferiti per punizione in un Lager
delle SS, se il comandante del campo di prigionia lo avesse ritenuto
necessario. Si tratta però soltanto di casi isolati.
La mia tesi è che nel periodo immediatamente successivo all'armistizio,
essendo venute a mancare disposizioni superiori circa i militari italiani
internati, singoli individui comandanti dell'area della Wehrmacht e
altre persone in posizione di rilievo disposero secondo il loro giudizio
di questi prigionieri.
Per esempio è sconcertante il fatto che una gran parte dei militari
internati di Dora provenissero soprattutto da due soli Lager della Wehrmacht.
Per quanto riguarda la seconda fase mi sono accorta che gli italiani
venivano portati nei campi di concentramento per due motivi.
Il primo è che spesso venivano
dai cosiddetti "campi di rieducazione al lavoro" delle SS,
delle specie di lavori forzati dove erano stati imprigionati assieme
a persone di diverse nazionalità anche molti tedeschi, colpevoli
di avere avuto uno scarso rendimento sul lavoro oppure di essersi dimostrati
renitenti ai comandi ricevuti. Sulle liste delle paghe spettanti agli
operai spesso si legge accanto all'importo del salario la notazione
di un ordine di trasferimento in uno di questi campi, con tanto di motivazione
per tale trasferimento. Il fine di tali disposizioni era di punire il
singolo e al tempo stesso di intimidire gli altri operai che vedevano
poi ritornare il compagno dopo uno di questi soggiorni forzati, la cui
durata poteva arrivare ad un massimo di 56 giorni, in condizioni pietose.
Ho potuto ricostruire un trasferimento in uno di questi "campi
di rieducazione al lavoro" grazie all'aiuto di un militare internato
sopravvissuto che risiede ora a Roma e lavorava in una miniera in Germania.
Era riuscito a fuggire dopo un attacco aereo, ma era poi stato ricatturato
e riportato alla sua squadra di lavoro. In seguito picchiò un
internato che aveva organizzato un mercato nero con i tedeschi utilizzando
i supplementi alimentari destinati ai militari italiani che svolgevano
lavori pesanti. Come conseguenza a ciò fu mandato in un campo
di "rieducazione al lavoro", e quindi, dopo l'ennesimo "comportamento
renitente" fu deportato nel campo di concentramento di Buchenwald.
Abbiamo una comunicazione che Speer, allora ministro della guerra, fece
nell'aprile del '44 a Hitler, lamentando la perdita della mano d'opera
per l'industria bellica, dal momento che nel corso del '43 ben 35.000
lavoratori stranieri erano fuggiti ed erano poi finiti nei campi di
concentramento dell'esercito.
Purtroppo si tratta per la maggior parte di episodi che possono essere
avvallati solo da pochissimi documenti. Per tale ragione è indispensabile
la collaborazione di quanti abbiano vissuto questa tragica esperienza
perché solo loro possono aiutare a ricostruire questo mosaico
dove ogni informazione biografica per quanto piccola, è un tassello
per ricostruire il quadro generale.
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