Vittorio Bellini superstite di Unterlüss |
Tutti insieme intonammo il "Va pensiero" |
Presidente, signori e signore mi
presento come rappresentante a questo convegno incentrato su Dora del
gruppo di 44 ufficiali internati militari italiani rinchiusi nel campo
di Unterlüss per rifiuto di lavoro sul luogo d'impiego. Parlerò
delle angherie e delle condizioni di vita - si fa per dire - in questo
poco conosciuto campo di punizione per annientamento ufficialmente denominato
"di educazione al lavoro". Voglio soprattutto dare conto di
due singolari situazioni della nostra dolorosa ma mi si permetta gloriosa
esperienza. Esse hanno contrassegnato l'inizio e il termine del nostro
periodo di detenzione nel campo durato 44 giorni. Inviati il 17 febbraio
del '45 in 214 al lavoro forzato secondo lo sciagurato accordo Mussolini-Hitler
del 20 luglio '44 al Lager di Litzendorf, dopo la rituale e avvilente
selezione in sfilata davanti al bancone dei reclutatori e dopo un infruttuoso
mio tentativo di resistenza conclusosi con il rifiuto di accettare le
spettanze maturate, il giorno dopo il nostro arrivo secondo un'intesa
maturata tra alcuni di noi durante breve il viaggio di trasferimento
in treno al posto di lavoro, ci siamo rifiutati, buttando a terra picchi
e pale che ci erano stati consegnati per dare corso alla posa di un
tratto di binario. Avuto l'assenso, uscimmo dalla
fila in 44, più del doppio di quanti erano stati prescelti. Ben
44 ne contarono i tedeschi sbalorditi, increduli, imbarazzati e forse
anche un po'ammirati una volta tanto di questi italiani "vili e
traditori". Si trattò in effetti di un fatto unico almeno
nella sua dimensione nella storia dell'internamento e della deportazione;
un avvenimento che non ha trovato adeguata eco nella memorialistica
e neppure nel testo che ha accompagnato le ricompense militari assegnateci,
medaglie per lo più alla memoria e encomi solenni. Erano nervosi e inquieti e noi
non sapevamo ancora cosa stava succedendo: quell'ordine poteva anche
essere preannuncio di morte; quante volte, pensavamo hanno dovuto cantare
i condannati a morte, chi sul patibolo e chi al rogo (...). Non so di
chi fu il suggerimento e come fu che ci trovammo come un bene istruito
coro con le parole e l'aria del Nabucco sulle labbra: "Va pensiero
sull'ali dorate". |
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