L'intervento del presidente dell'Aned

Gianfranco Maris

Come tutto questo è potuto succedere?

Dopo una travagliata crisi il nostro Paese vive, oggi, il momento della rifondazione del suo sistema politico. Le coordinate etiche si trovano nella memoria del nostro Paese in cui anche voi e noi siamo stati protagonisti. Senza questa memoria non c'è storia, non c'è comunità, non c'è nazione nel senso nobile della parola, non c'è patria, non c'è identità.
Qui si apre il problema più difficile da risolvere: cosa significa memoria oggi? Significa la memoria del dolore, la memoria dei lutti, la memoria del sangue, la memoria delle sofferenze? Sì, certo, significa anche questo perché tutto quello che è stato sacrificio, lutto e lacrime è un accedere alla conoscenza attraverso l'emozione. Ma non è solo di questa memoria che noi abbiamo bisogno. Oggi noi abbiamo bisogno di una memoria e di una ricerca che facciano conoscere le cause di certi fenomeni, e non soltanto gli effetti.

La deportazione politica e l'internamento militare; Dora, Mauthausen o Ravensbrück o Auschwitz sono tutti effetti, non cause. Le cause nascono nel
'33 e prima, nei tempi immediatamente precedenti la caduta di Weimar. Quello che è accaduto in Italia, la Muti, o la Repubblica sociale italiana, le violenze della occupazione nazista e del fascismo nel corso dell'occupazione tedesca, sono effetti. La causa di tutto questo nasce ben prima, con la soppressione della libertà, con la censura sui giornali, con l'abolizione delle elezioni politiche e amministrative, con l'abolizione dei sindacati, con il Tribunale speciale, con il confino di polizia, con la repressione del dissenso, con la scuola omologante.
Ecco perché la ricerca oggi non può essere soltanto memoria del dolore.
La ricerca oggi deve consentirci di accedere alla conoscenza delle cause e dei processi economici, politici, culturali che sono anticipatori di quello che accade dopo. Auschwitz, Mauthausen e Dora vengono nel '43 ma dieci anni prima era accaduto qualcosa, ed è questo che bisogna conoscere e sapere.
La Muti e il fascismo del 1944-45 in Italia hanno le loro lontane radici nelle leggi fasciste del 1926. Bisogna ricercare le cause lontane per capire l'oggi, per essere avvertiti e capaci di vedere che nella vita quotidiana che viviamo vi sono i prodromi di qualche cosa che ci richiama quelli che furono i prodromi delle situazioni nel '33 in Germania o nel ' 26 in Italia; i prodromi di quello che poi è accaduto. Per capire come mai, per esempio, la Germania , questo grande paese portatore di una grande cultura, patria di grandi poeti e di musicisti e di filosofi, arriva a poter creare nel '42 ad Amburgo un battaglione di polizia di sicurezza, che viene mandato in Polonia, un battaglione formato da operai e da impiegati, che fucilano migliaia di persone senza battere ciglio.

Un paese dove si riescono a creare strutture e uomini, che nel 1941, nell'operazione Eutanasia, eliminano 77.000 tedeschi perché sono bocche inutili, occupano posti in ospedale, consumano medicine, consumano l'opera di assistenza medica senza produrre nulla; strutture e uomini che poi hanno gestito Auschwitz o Mauthausen e Dora e San Sabba. Hans Fallada nel 1932 scrive «E adesso, pover' uomo?» e racconta di una famiglia tipicamente tedesca, fatta di lavoratori che misurano anche il centesimo del loro salario per non fare mai cattiva figura; che distribuisce il salario con una cura che rivelava un animo ricco anche di dolcezze, e noi conosciamo quest' uomo tedesco che spendeva tanto per il gas, tanto per la luce, tanto per il cibo e in fondo scriveva «1 marco per i fiori»...
Ebbene sono questi uomini che cinque o sette o dieci anni dopo sono entrati nei reparti speciali, hanno indossato la divisa delle SS: ma non solo hanno indossato anche quella della Wehrmacht persuasi tutti della intrinseca giustizia di una guerra di annientamento e di distruzione. Come hanno fatto a diventare omicidi? Come mai in un paese come il nostro che ha conosciuto il rinascimento, che ha conosciuto il romanticismo e il risorgimento, che ha avuto Beccaria, De Sanctis, Croce, siamo arrivati a forme disumane di brutalità liberticida, di violenza politica; come mai arriviamo ai manipoli della Repubblica sociale italiana fatti di torturatori e di omicidi? Ecco, noi dobbiamo tenere ben presente come nascono queste cose. Il rogo dei libri non è soltanto un momento di brutalità, all'inizio del nazismo, sotto i tigli del viale che portava alla porta di Brandeburgo; il rogo dei libri è una scelta di fondo: tutta quella che è stata cultura precedente viene eliminata, da quel momento in tutte le scuole elementari c'è un solo volume; da quel momento in tutte le scuole secondarie c'è un solo volume. Da quel momento la cultura è nelle mani del regime: la radio, l'editoria, i giornali, la scuola primaria, la scuola secondaria, l'università, il tempo libero.
L'uomo viene costruito dalla cultura che viene distillata dall'organizzazione del potere totalitario. Io ricordo che nella mia scuola elementare c'era un volume unico; i testi erano quelli, la selezione e il controllo su tutta la cultura era nelle mani del fascismo! Non vi era soltanto un sistema politico. Erano nelle mani del fascismo il cinema, la stampa, la radio, la scuola (...). Tutto era nelle mani del fascismo. Da una parte l'uomo veniva costruito dal regime e così si formavano i robot, i gregari che credevano di essere protagonisti ma erano schiavi. Dall'altra parte vi era la repressione: l'antagonista veniva annientato. Non la pensavi così?. C'era Dachau; non la pensavi così? c'era Sachsenhausen; non la pensavi così? C'erano i campi, c'era la concentrazione politica in Italia, i confini di polizia, il Tribunale speciale (...). O l'uomo che usciva si formava omogeneo a quella cultura, esattamente forgiato per realizzare quella che era la volontà di altri o, in caso contrario, veniva eliminato.
Ecco, noi queste cose le dobbiamo ben ricordare anche nel tempo in cui viviamo perché da questo tipo di impostazione uscivano gli uomini che diventavano assassini, convinti di operare nell'ambito di scelte d'onore, di scelte necessarie e qui consiste la tragedia oltre a tutto: annientamento degli oppositori come scelta necessaria per garantire gli alti destini della patria.
Tutto ciò ormai è superato. Ma sono convinto che nulla appartiene mai a un passato definitivamente sepolto. Tutto può ritornare. Cambiano i paradigmi, ma nessuno dei mezzi usati dal totalitarismo è definitivamente eliminato. Certo, oggi non c'è più un libro uguale in ogni scuola elementare per tutti i ragazzi d'Italia, e così nelle scuole secondarie; ma l'uomo corre comunque il rischio di essere omologato dalle nuove, potentissime tecniche di comunicazione, che, a ben vedere, fanno capo soltanto a pochi detentori di particolari interessi. Nulla è mai definitivamente superato nella storia, neanche la repressione del dissenso. Possono esserci paradigmi e mezzi nuovi. Leggevo alcuni giorni orsono che alcuni soldati in uniforme del 571° battaglione dei cacciatori della montagna in Sassonia si sono fatti ritrarre dalla Sat 1 (che è una rete privata televisiva) mentre alzavano il braccio gridando Heil Hitler al loro ufficiale, il quale rispondeva «Bruciate quegli ebrei». E'una pagliacciata - ma anche il Mein Kanpf era una pagliacciata; è un sintomo di cui sarebbe colpa non tenere conto! Abbiamo il conforto di vedere che il ministro della Difesa tedesco ha denunciato questo episodio ed ha espulso quei soldati e quell'ufficiale. Ecco quindi la ragione della necessità della ricerca storica: per capire, perché soltanto quando hai capito sei libero; potrai scegliere, bene o male, ma sarai libero di scegliere. Se non sai o non hai capito non sei libero di scegliere niente e sarai sempre uno schiavo.

Di qui la necessità della ricerca storica, di un'analisi degli episodi e dei fatti sempre più accurata e penetrante, capace di fornire i mezzi per capire. Ecco, per esempio, il valore della ricerca su Dora, un campo ancora poco conosciuto, uno dei campi più misteriosi. C'è una bibliografia abbastanza ricca, specie in Francia, ma è una bibliografia soprattutto di carattere esistenziale, ci dice quello che hanno sofferto gli ex deportati in quel campo. Perché tanti internati militari sono stati deportati a Dora? Solo perché hanno detto di "no" alla RSI? Non lo credo. Non credo che siano stati deportati per questo soltanto, se no avrebbero dovuto essere deportati tanti altri per lo stesso rifiuto. Di certo sono stati deportati lì nonostante l'accordo del 20 luglio del '44 fra Mussolini ed Hitler che avrebbe dovuto garantire agli internati militari italiani un trattamento più dignitoso.
Noi dobbiamo fare chiarezza sui campi per uscire dal grosso equivoco che vi siano stati alcuni campi "di sterminio" ed altri campi che di sterminio non sono stati, essendo campi "di lavoro". Il professor Enzo Collotti questa mattina ha detto che Dora, anche se non si può qualificare come campo di sterminio, è stato sicuramente un campo nel quale l'annientamento era sostanzialmente nelle cose, anche se non nelle scelte esplicite dei suoi organizzatori. Era nelle cose perché in tempi più o meno brevi si perveniva alla morte attraverso un annientamento con il lavoro. Questo è stato anche Mauthausen, questo sono stati tutti gli altri campi. I campi nazisti furono tutti campi di annientamento, e questo è il primo approdo della nostra ricerca.

Il secondo approdo della nostra ricerca è quello di superare l'erroneo convincimento che il "delitto" dell'annientamento sia stato compiuto soltanto nei confronti degli ebrei e non anche nei confronti degli oppositori politici. Non c'è dubbio che nel nostro paese l'attenzione viene prestata soprattutto, anzi vorrei dire in via quasi esclusiva, al cosiddetto Olocausto, cioè all'annientamento degli ebrei. Badate: l'annientamento degli ebrei rappresenta un momento di una dimensione criminale incommensurabile, ma io mi domando e vi domando: come mai oggi in Italia tutti i giornali, anche quelli di destra, condannano l'Olocausto?
Ma perché la condanna della deportazione ebraica sul piano culturale e morale è la cosa più facile! Condanni l'assassinio di persone che non avevano commesso nulla, degli innocenti! E perché in Italia nessuno condanna la deportazione politica? Perché la condanna della deportazione politica postula un giudizio sulla criminalità dei sistemi politici, ecco perché! Bisognerebbe dire che la deportazione politica fu criminalità, che fu criminalità il fascismo, fu criminalità il nazismo, furono criminalità la loro cultura, il loro metodo di insegnamento, il loro metodo di contestazione degli antagonisti.
La deportazione politica non trova lo spazio che dovrebbe trovare nella cultura italiana ed io credo che uno dei compiti della ricerca debba essere proprio questo. Senza sminuire in alcun modo la denuncia del crimine incommensurabile della deportazione ebraica, resta la denuncia della criminalità della deportazione politica e quindi dell'alto sacrificio di quelli che a quel sistema e a quel regime si opposero con una scelta di vita consapevole. Una scelta che poteva anche significare il sacrificio della vita, che fu sacrifcio consapevole della vita!
Io credo che questo sia un percorso necessario, se vogliamo pervenire ad una situazione capace di fornire alla società in cui viviamo ed ai giovani le coordinate che possono servire alla loro vita e alla vita dei loro figli; alla vita del nostro Paese.