Dopo una travagliata crisi il nostro
Paese vive, oggi, il momento della rifondazione del suo sistema politico.
Le coordinate etiche si trovano nella memoria del nostro Paese in cui
anche voi e noi siamo stati protagonisti. Senza questa memoria non c'è
storia, non c'è comunità, non c'è nazione nel senso
nobile della parola, non c'è patria, non c'è identità.
Qui si apre il problema più difficile da risolvere: cosa significa
memoria oggi? Significa la memoria del dolore, la memoria dei lutti,
la memoria del sangue, la memoria delle sofferenze? Sì, certo,
significa anche questo perché tutto quello che è stato
sacrificio, lutto e lacrime è un accedere alla conoscenza attraverso
l'emozione. Ma non è solo di questa memoria che noi abbiamo bisogno.
Oggi noi abbiamo bisogno di una memoria e di una ricerca che facciano
conoscere le cause di certi fenomeni, e non soltanto gli effetti.
La deportazione politica e l'internamento
militare; Dora, Mauthausen o Ravensbrück o Auschwitz sono tutti
effetti, non cause. Le cause nascono nel
'33 e prima, nei tempi immediatamente precedenti la caduta di Weimar.
Quello che è accaduto in Italia, la Muti, o la Repubblica sociale
italiana, le violenze della occupazione nazista e del fascismo nel corso
dell'occupazione tedesca, sono effetti. La causa di tutto questo nasce
ben prima, con la soppressione della libertà, con la censura
sui giornali, con l'abolizione delle elezioni politiche e amministrative,
con l'abolizione dei sindacati, con il Tribunale speciale, con il confino
di polizia, con la repressione del dissenso, con la scuola omologante.
Ecco perché la ricerca oggi non può essere soltanto memoria
del dolore.
La ricerca oggi deve consentirci di accedere alla conoscenza delle cause
e dei processi economici, politici, culturali che sono anticipatori
di quello che accade dopo. Auschwitz, Mauthausen e Dora vengono nel
'43 ma dieci anni prima era accaduto qualcosa, ed è questo che
bisogna conoscere e sapere.
La Muti e il fascismo del 1944-45 in Italia hanno le loro lontane radici
nelle leggi fasciste del 1926. Bisogna ricercare le cause lontane per
capire l'oggi, per essere avvertiti e capaci di vedere che nella vita
quotidiana che viviamo vi sono i prodromi di qualche cosa che ci richiama
quelli che furono i prodromi delle situazioni nel '33 in Germania o
nel ' 26 in Italia; i prodromi di quello che poi è accaduto.
Per capire come mai, per esempio, la Germania , questo grande paese
portatore di una grande cultura, patria di grandi poeti e di musicisti
e di filosofi, arriva a poter creare nel '42 ad Amburgo un battaglione
di polizia di sicurezza, che viene mandato in Polonia, un battaglione
formato da operai e da impiegati, che fucilano migliaia di persone senza
battere ciglio.
Un paese dove si riescono a creare
strutture e uomini, che nel 1941, nell'operazione Eutanasia, eliminano
77.000 tedeschi perché sono bocche inutili, occupano posti in
ospedale, consumano medicine, consumano l'opera di assistenza medica
senza produrre nulla; strutture e uomini che poi hanno gestito Auschwitz
o Mauthausen e Dora e San Sabba. Hans Fallada nel 1932 scrive «E
adesso, pover' uomo?» e racconta di una famiglia tipicamente tedesca,
fatta di lavoratori che misurano anche il centesimo del loro salario
per non fare mai cattiva figura; che distribuisce il salario con una
cura che rivelava un animo ricco anche di dolcezze, e noi conosciamo
quest' uomo tedesco che spendeva tanto per il gas, tanto per la luce,
tanto per il cibo e in fondo scriveva «1 marco per i fiori»...
Ebbene sono questi uomini che cinque o sette o dieci anni dopo sono
entrati nei reparti speciali, hanno indossato la divisa delle SS: ma
non solo hanno indossato anche quella della Wehrmacht persuasi tutti
della intrinseca giustizia di una guerra di annientamento e di distruzione.
Come hanno fatto a diventare omicidi? Come mai in un paese come il nostro
che ha conosciuto il rinascimento, che ha conosciuto il romanticismo
e il risorgimento, che ha avuto Beccaria, De Sanctis, Croce, siamo arrivati
a forme disumane di brutalità liberticida, di violenza politica;
come mai arriviamo ai manipoli della Repubblica sociale italiana fatti
di torturatori e di omicidi? Ecco, noi dobbiamo tenere ben presente
come nascono queste cose. Il rogo dei libri non è soltanto un
momento di brutalità, all'inizio del nazismo, sotto i tigli del
viale che portava alla porta di Brandeburgo; il rogo dei libri è
una scelta di fondo: tutta quella che è stata cultura precedente
viene eliminata, da quel momento in tutte le scuole elementari c'è
un solo volume; da quel momento in tutte le scuole secondarie c'è
un solo volume. Da quel momento la cultura è nelle mani del regime:
la radio, l'editoria, i giornali, la scuola primaria, la scuola secondaria,
l'università, il tempo libero.
L'uomo viene costruito dalla cultura che viene distillata dall'organizzazione
del potere totalitario. Io ricordo che nella mia scuola elementare c'era
un volume unico; i testi erano quelli, la selezione e il controllo su
tutta la cultura era nelle mani del fascismo! Non vi era soltanto un
sistema politico. Erano nelle mani del fascismo il cinema, la stampa,
la radio, la scuola (...). Tutto era nelle mani del fascismo. Da una
parte l'uomo veniva costruito dal regime e così si formavano
i robot, i gregari che credevano di essere protagonisti ma erano schiavi.
Dall'altra parte vi era la repressione: l'antagonista veniva annientato.
Non la pensavi così?. C'era Dachau; non la pensavi così?
c'era Sachsenhausen; non la pensavi così? C'erano i campi, c'era
la concentrazione politica in Italia, i confini di polizia, il Tribunale
speciale (...). O l'uomo che usciva si formava omogeneo a quella cultura,
esattamente forgiato per realizzare quella che era la volontà
di altri o, in caso contrario, veniva eliminato.
Ecco, noi queste cose le dobbiamo ben ricordare anche nel tempo in cui
viviamo perché da questo tipo di impostazione uscivano gli uomini
che diventavano assassini, convinti di operare nell'ambito di scelte
d'onore, di scelte necessarie e qui consiste la tragedia oltre a tutto:
annientamento degli oppositori come scelta necessaria per garantire
gli alti destini della patria.
Tutto ciò ormai è superato. Ma sono convinto che nulla
appartiene mai a un passato definitivamente sepolto. Tutto può
ritornare. Cambiano i paradigmi, ma nessuno dei mezzi usati dal totalitarismo
è definitivamente eliminato. Certo, oggi non c'è più
un libro uguale in ogni scuola elementare per tutti i ragazzi d'Italia,
e così nelle scuole secondarie; ma l'uomo corre comunque il rischio
di essere omologato dalle nuove, potentissime tecniche di comunicazione,
che, a ben vedere, fanno capo soltanto a pochi detentori di particolari
interessi. Nulla è mai definitivamente superato nella storia,
neanche la repressione del dissenso. Possono esserci paradigmi e mezzi
nuovi. Leggevo alcuni giorni orsono che alcuni soldati in uniforme del
571° battaglione dei cacciatori della montagna in Sassonia si sono
fatti ritrarre dalla Sat 1 (che è una rete privata televisiva)
mentre alzavano il braccio gridando Heil Hitler al loro ufficiale, il
quale rispondeva «Bruciate quegli ebrei». E'una pagliacciata
- ma anche il Mein Kanpf era una pagliacciata; è un sintomo di
cui sarebbe colpa non tenere conto! Abbiamo il conforto di vedere che
il ministro della Difesa tedesco ha denunciato questo episodio ed ha
espulso quei soldati e quell'ufficiale. Ecco quindi la ragione della
necessità della ricerca storica: per capire, perché soltanto
quando hai capito sei libero; potrai scegliere, bene o male, ma sarai
libero di scegliere. Se non sai o non hai capito non sei libero di scegliere
niente e sarai sempre uno schiavo.
Di qui la necessità della
ricerca storica, di un'analisi degli episodi e dei fatti sempre più
accurata e penetrante, capace di fornire i mezzi per capire. Ecco, per
esempio, il valore della ricerca su Dora, un campo ancora poco conosciuto,
uno dei campi più misteriosi. C'è una bibliografia abbastanza
ricca, specie in Francia, ma è una bibliografia soprattutto di
carattere esistenziale, ci dice quello che hanno sofferto gli ex deportati
in quel campo. Perché tanti internati militari sono stati deportati
a Dora? Solo perché hanno detto di "no" alla RSI? Non
lo credo. Non credo che siano stati deportati per questo soltanto, se
no avrebbero dovuto essere deportati tanti altri per lo stesso rifiuto.
Di certo sono stati deportati lì nonostante l'accordo del 20
luglio del '44 fra Mussolini ed Hitler che avrebbe dovuto garantire
agli internati militari italiani un trattamento più dignitoso.
Noi dobbiamo fare chiarezza sui campi per uscire dal grosso equivoco
che vi siano stati alcuni campi "di sterminio" ed altri campi
che di sterminio non sono stati, essendo campi "di lavoro".
Il professor Enzo Collotti questa mattina ha detto che Dora, anche se
non si può qualificare come campo di sterminio, è stato
sicuramente un campo nel quale l'annientamento era sostanzialmente nelle
cose, anche se non nelle scelte esplicite dei suoi organizzatori. Era
nelle cose perché in tempi più o meno brevi si perveniva
alla morte attraverso un annientamento con il lavoro. Questo è
stato anche Mauthausen, questo sono stati tutti gli altri campi. I campi
nazisti furono tutti campi di annientamento, e questo è il primo
approdo della nostra ricerca.
Il secondo approdo della nostra
ricerca è quello di superare l'erroneo convincimento che il "delitto"
dell'annientamento sia stato compiuto soltanto nei confronti degli ebrei
e non anche nei confronti degli oppositori politici. Non c'è
dubbio che nel nostro paese l'attenzione viene prestata soprattutto,
anzi vorrei dire in via quasi esclusiva, al cosiddetto Olocausto, cioè
all'annientamento degli ebrei. Badate: l'annientamento degli ebrei rappresenta
un momento di una dimensione criminale incommensurabile, ma io mi domando
e vi domando: come mai oggi in Italia tutti i giornali, anche quelli
di destra, condannano l'Olocausto?
Ma perché la condanna della deportazione ebraica sul piano culturale
e morale è la cosa più facile! Condanni l'assassinio di
persone che non avevano commesso nulla, degli innocenti! E perché
in Italia nessuno condanna la deportazione politica? Perché la
condanna della deportazione politica postula un giudizio sulla criminalità
dei sistemi politici, ecco perché! Bisognerebbe dire che la deportazione
politica fu criminalità, che fu criminalità il fascismo,
fu criminalità il nazismo, furono criminalità la loro
cultura, il loro metodo di insegnamento, il loro metodo di contestazione
degli antagonisti.
La deportazione politica non trova lo spazio che dovrebbe trovare nella
cultura italiana ed io credo che uno dei compiti della ricerca debba
essere proprio questo. Senza sminuire in alcun modo la denuncia del
crimine incommensurabile della deportazione ebraica, resta la denuncia
della criminalità della deportazione politica e quindi dell'alto
sacrificio di quelli che a quel sistema e a quel regime si opposero
con una scelta di vita consapevole. Una scelta che poteva anche significare
il sacrificio della vita, che fu sacrifcio consapevole della vita!
Io credo che questo sia un percorso necessario, se vogliamo pervenire
ad una situazione capace di fornire alla società in cui viviamo
ed ai giovani le coordinate che possono servire alla loro vita e alla
vita dei loro figli; alla vita del nostro Paese.
|