Luciano Violante: «voi, testimoni di una nazione che non voleva piegarsi » |
Tutto ciò che la barbarie dell'uomo ha inventato per umiliare e distruggere l'altro uomo, per affermare la stupida arroganza del totalitarismo fu sperimentato negli anni del sangue, quelli che videro a Dora e a Mauthausen, nella Risiera di Trieste, o a Ravensbrück, a Marzabotto e in altri cento luoghi di sofferenza in tutta l'Europa il primato della barbarie. |
Dopo l'8 settembre '43 i soldati
del nostro paese catturati dai tedeschi e deportati nel Reich furono 650.000,
e soltanto ai militari italiani fu offerta la liberazione in cambio di
un'adesione alla guerra nazifascista: questa adesione fu rifiutata dalla
grande maggioranza di loro. Dal campo di Dora, tra il settembre 1943 e
il primo aprile 1945, passarono circa 60.000 detenuti provenienti dall'Italia
e dagli altri paesi europei. E' da questo campo che, dall'aprile 1944,
sarebbero uscite le V1 e le V2 che avrebbero dovuto assicurare una superiorità
militare dei nazisti, ma furono proprio i deportati a sabotare circa l'80%
dei V2, continuando a resistere in questo modo, non piegati, nonostante
molti di loro avessero trascorso i sei mesi precedenti a scavare gallerie.
Per molti dei militari del nostro paese deportati il campo di internamento
fu non soltanto il luogo dove si continuava la battaglia contro la guerra
nazista e per la dignità del soldato italiano: quei campi si trasformarono
in "scuole di democrazia". Lì, dopo estenuanti turni
di lavoro, si trovò la forza morale e fisica per riflettere sull'esperienza
fascista, sul rinnovamento e la ricostruzione possibili della società
italiana. Sono questi uomini che hanno vinto sulla barbarie nazifascista
a Dora come a San Saba, a Mauthausen come a Ravensbrück. Li ricordiamo perché chi vive ha il dovere di riprendere i valori per cui gli altri sono stati imprigionati, sono morti, e renderli criteri guida della propria vita. Ma c'è un'altra ragione perché la memoria e la storia di quegli anni siano mantenute vive. Solo il rapporto tra le generazioni che si sono succedute nella storia di un paese può dare a quel paese il senso della sua identità nazionale. Questa identità si ritrova ripercorrendo il filo che attraversa i fatti decisivi della nostra storia, lontani e vicini, per scoprire dentro quei valori e dentro questa storia il significato unitario che li rende nostri, riferibili al modo in cui noi italiani sentiamo la nostra appartenenza al paese. Noi possiamo essere oggi, uniti e liberi perché ci fu la lotta di Resistenza. Richiamarne le ragioni serve a riappropriarci dei valori che la ispirarono. I partigiani, mentre combattevano, non sapevano se avrebbero vinto o perso. Gli internati militari e politici nei campi erano tenuti il più possibile all'oscuro delle vicende politiche e belliche. Tutto faceva pensare che avrebbero perso. Eppure furono in tanti a combattere, ed in tanti a rifiutare la liberazione dai Lager in cambio di una loro adesione alla guerra dalla parte dei nazifascisti. Furono in tanti a cadere, fucilati, torturati nelle carceri, per gli stenti nei Lager, ma furono tanti a prendere il loro posto, e furono tanti che caddero per la semplice profonda ragione che erano italiani, testimoni di una nazione che non voleva piegarsi, colpevoli di vivere in una terra in cui si combatteva per la libertà. I primi caddero perché combattenti. Gli altri caddero perché testimoni. Ricordiamo gli uni e gli altri con lo stesso affetto, con la stessa memoria. Quella generazione ci ha lasciato una lezione, che va rinnovata nella storia e nella memoria. E' fondamentale allora che l'esperienza degli internati politici e militari, vicenda centrale nella storia della guerra e della politica ma sostanzialmente estranea alla storiografia fino alla metà degli anni '80, sia invece sempre più indagata per poter comprendere pienamente gli anni cruciali che furono all'origine della Repubblica e della rinascita democratica del nostro paese. Accanto a questo sforzo sul piano degli studi credo sia particolarmente necessaria la diffusione della memoria degli stermini che hanno accompagnato e seguito la seconda guerra mondiale. I ragazzi italiani non hanno, se non eccezionalmente, nella loro formazione la visita ai luoghi dello sterminio nazista. Occorre fare in modo che i ragazzi e le ragazze italiane come fanno i loro coetanei tedeschi, francesi o olandesi, conoscano con i loro occhi quella realtà e imparino quanto è tragicamente facile porsi sullo scivolo che porta alla distruzione dell'altrui dignità. Quest'estate, dopo una visita a Ravensbrück, ho scritto al presidente del Consiglio chiedendogli di valutare l'opportunità che nella prossima legge finanziaria siano inseriti stanziamenti che favoriscano queste visite. Il presidente Prodi mi ha risposto positivamente sensibilizzando i ministeri competenti. Confidiamo in un rapido avvio di questa "iniziativa della memoria", assicurando così ai ragazzi un momento importante nel loro percorso formativo. Con questi auspici auguro a tutti i partecipanti a questo incontro di studio e di dibattito un proficuo lavoro. |
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