Avrei preferito ricevervi cordialmente in un
luogo meno impressionante, per rivolgervi il saluto del Parlamento del
Land Brandeburgo. Mi fa piacere che siate venuti a Ravensbrück anche
se in un contesto così profondamente triste. Noi vogliamo oggi
ricordare insieme le deportate italiane che in questo campo di concentramento
femminile sono state bestialmente torturate, con lo scoprimento di una
lapide nello spazio italiano nel blocco delle celle.
53 anni fa 14 donne sono arrivate da Torino in un carro merci. Dal febbraio
1945 in poi circa 600 italiane, molte delle quali gravemente ammalate
che preventivamente erano state maltrattate nei campi di internamento
di Fossoli, Bolzano e Trieste, sono state deportate in questo campo
dell'orrore perché avevano lavorato nella Resistenza clandestina
contro il regime fascista. Erano partigiane ed ebree.
Pieno di vergogna ma anche di speranza
Qui, in questo Lager hanno affrontato, con altre 130.000 compagne di
sofferenza, l'inferno in terra. Hanno dovuto affrontare indescrivibili
sofferenze spirituali e corporali, sono state umiliate, maltrattate
sessualmente e costrette a svolgere lavori pesantissimi.
Tanto più è ammirevole che quelle che erano inermi, travolte
da un'orgia di violenza e d'odio, abbiano avuto la forza di esprimere
fra loro solidarietà e sentimenti umani, cercando di salvare
la propria dignità personale e aiutando le compagne a non affondare
nella disperazione. Queste donne coraggiose che nei tempi della disperazione
hanno affrontato i loro carnefici con la loro dignità e resistenza,
noi non le possiamo dimenticare.
Quando due anni fa abbiamo ricordato anche in questo campo di concentramento
il 50' anniversario della liberazione, ero pieno di vergogna ma anche
di speranza, perché superstiti provenienti da ogni parte del
mondo, anche dall'Italia, che venivano qui per la prima volta, vollero
testimoniare su che cosa qui era accaduto.
La loro partecipazione, le rievocazioni delle loro esperienze personali
erano un monito contro ogni ripetizioni degli orrori, delle persecuzioni
e l'oblio. Non chiedevano vendetta, no, esse porgevano la mano aperta
alla pacificazione. Perciò siamo grati che oggi gli ex deportati tornino
sui luoghi dei loro tormenti e vogliano parlare con noi.
Ai caduti e ai sopravvissuti noi siamo debitori nel prendere atto del
loro messaggio e far sì che Ravensbrück non si ripeta, mai in
nessun luogo! Chi tace si rende colpevole, si rende complice. Mettiamo
al bando i Lager ovunque nel mondo. Non distogliamo lo sguardo quando
gli uomini vengono torturati o distrutti. Resistiamo alla tentazione
dell'acquiescenza e offriamo la nostra solidarietà ai deboli
e agli oppressi. Solo allora le vittime di Ravensbrück non lo saranno
state invano.
Martin Hambermann
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