Una lettera di Alberto Berti |
Una commissione dell'Aned vigili sulle pubblicazioni |
Caro Direttore, in questi ultimi tempi assistiamo
all'uscita di pubblicazioni, libri ed opuscoli o testimonianze televisive
da parte di deportati che spesso rappresentano solo forme di protagonismo
o di mitomania. Tali dichiarazioni non rendono un buon servizio alla
nostra memoria. Talvolta anche pubblicazioni
dell'Aned contengono errori che con un
po' più di attenzione potrebbero
essere omessi. Come ho avuto modo di
scrivere, anni or sono, in un mio saggio sulla "memoria orale", pubblicato
in una rivista storica "i Lager sono stati un tormento, la loro ferocia
non sarà mai abbastanza raccontata, ma quello che si racconta,
quello che si testimonia, deve essere assolutamente vero e di prima
mano". Per eliminare queste dichiarazioni,
scritti, interviste, secondo me esiste una sola possibilità (che
d'altra parte una quindicina d'anni fa assieme alla mai abbastanza compianta
Ada Buffulini avevamo intravisto) ossia la costituzione presso l'Aned
di un ufficio storico, di una commissione, chiamatela come volete, alla
quale devono far capo tutti i deportati che intendono scrivere o rilasciare
interviste. Essi sottoporrano i loro testi a quella commissione o ufficio,
la quale li esaminerà, li correggerà e poi potrà
dare agli stessi "l'imprimatur" per la pubblicazione. Altrimenti
saremo costretti a sentire o leggere tutte le panzane che un tizio -
per il solo fatto di essere stato deortato
- si sente in diritto di raccontare. Alberto Berti
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Che cento fiori sboccino |
Caro Berti, ti rispondo direttamente, visto
che è a me che indirizzi la tua proposta (facendoti forte, oltre
tutto, del sostegno di mia madre, Ada Buffulini). A titolo del tutto
personale ti dirò che francamente l'idea della commissione che
vaglia e decide cosa e come vada
pubblicato sulla deportazione non mi piace granché.
Penso che la questione vada esaminata per
quello che è. Da una parte c'è il diritto-dovere dei testimoni
della deportazione di parlare, di testimoniare, di raccontare la loro
esperienza, con il solo filtro della propria sensibilità e della
propria memoria. Le testimonianze, anche quelle rese con la massima
buona fede (migliaia di romanzi e film polizieschi ce lo hanno spiegato
esaurientemente) non sempre coincidono con la verità storica.
Valgono per quello che sono: ricordi, racconti, testimonianze, appunto.
Quante volte capita anche in una stessa famiglia di constatare che dello
stesso episodio vissuto insieme, a distanza di anni si conservi un ricordo
a volte anche contrastante, antitetico, quasi che si parlasse di avvenimenti
diversi? Eppure, penso che anche
tu sia d'accordo con me su questo, è ugualmente importante che
i testimoni lascino una traccia della loro esperienza. Che si sforzino
di scrivere, di raccontare, perché comunque ogni storia individuale
aggiunge sempre un tassello, magari modesto, alla conoscenza del fenomeno
in generale. Io non vorrei che nessuno si sentisse in alcun modo limitato
nella sua determinazione a raccontare dall'esistenza di una sorta di
commissione d'esame: ognuno racconti, come sa e come può, con
onestà. Sforzandosi di documentare le proprie tesi e di non scantonare
dalla propria esperienza personale, se possibile. Se tra i superstiti
si insinuano millantatori e falsari, che vengano scoperti e individuati
per nome e cognome. In questo caso dovrebbe bastare la memoria collettiva
degli ex deportati a fare piazza pulita delle falsità. E qui
veniamo al secondo aspetto della questione. Spetterà agli storici
elaborare questi e altri documenti per giungere a una sintesi che consenta
di capire il fenomeno storico - nel nostro caso il nazismo, il fascismo,
la deportazione - nella sua complessità. Anche qua, io credo
che siamo tutti d'accordo: la ricerca storica deve essere libera. Non
può esistere alcuna commissione o istituto che pretenda di assurgere
ad arbitro del lavoro dei ricercatori. Che cento fiori sboccino, avrebbe
detto il presidente Mao: che gli storici lavorino, scavino, si sforzino
di non seguire pedissequamente
la traccia segnata da altri ma piuttosto di lavorare sugli originali,
andandoseli a cercare magari dove nessun altro ha tentato prima.
Tu sollevi un ultimo aspetto della
questione, quando parli delle "pubblicazioni dell'Aned". Non so a cosa
ti riferisci di preciso. Mi sembra di poter dire che l'Aned, in questi
decenni, ha contribuito come nessun'altra organizzazione alla documentazione
e allo studio della deportazione italiana, raggiungendo risultati scientifici
altamente apprezzabili, e apprezzati, del resto, anche internazionalmente.
I testi pubblicati con il patrocinio
dell'Aned hanno ampiamente retto la prova, anche se qua e là
può essere sfuggita qualche imprecisione che come dici tu "con
un po'più di attenzione avrebbero potuto essere omessi". Va bene,
chi lavora sbaglia, si sa. Complessivamente io credo che le pubblicazioni
dell'Aned abbiano portato e continuino
a portare luce e conoscenza sulla
storia della deportazione. Ogni
tanto, lo confesso, la tentazione della "commissione" che risolve i
problemi, ripiana le dispute, chiarisce i dubbi e dice una parola definitiva
sulla verità storica coglie anche me. Ma se ci penso meglio mi
piace di più l'idea di una associazione di uomini liberi, di
buona volontà, che lavorano in città diverse, con motivazioni
diverse, magari senza conoscersi nemmeno tra loro, al medesimo, obiettivo
di aiutare la conoscenza del fenomeno storico del fascismo e del nazismo,
onorando così la memoria dei tanti che dai Lager non sono tornati
e che la loro testimonianza non l'hanno potuta rendere.
D.V. |