Esposti a Firenze i disegni dei piccoli deportati di Terezin

Se questo è un bambino

Disegno bambini di Terezìn
Manifesto della rassegna

Vivo apprezzamento per la rassegna voluta dall'Aned con la collaborazione del Teatro Comunale, dell'Unicoop di Firenze e della Coop Lombardia.

Il catalogo della mostra inviato nelle scuole della città.

Successo della rappresentazione dell'operina "Brundibàr" di Krása.
Molti bambini delle scuole fiorentine hanno visto arrivare in classe in questi giorni un libro un po' speciale. Raccoglie disegni e poesie di loro coetanei, ma non sono poesie e disegni qualsiasi. Accanto ai fiori, alle farfalle e ai paesaggi infatti, compaiono capannoni scuri, ciminiere sinistre, scheletri e divise. Le date di nascita degli autori oscillano tra il 1928 e il 1933, quelle di morte citano tutte lo stesso anno e lo stesso luogo: Auschwitz 1944.
Il libro si chiama Terezìn, come il campo di concentramento boemo in cui fra il 1941 e il 1945 furono deportati 15.000 bambini ebrei, ed è il catalogo della mostra omonima allestita nel foyer del Teatro Comunale dal 18 febbraio all'8 marzo a cura dell'Unicoop Firenze, dell'Aned e della Coop Lombardia. Sempre al Comunale, dal 18 febbario all'1 marzo, l'Ensemble strumentale e le voci bianche della Scuola di Fiesole insieme al coro e all'orchestra del Maggio diretti da Arnold Bosnam hanno portato in scena per la prima volta in Italia, insieme al caustico Berliner Requiem di Brecht e Weill, l'opera per bambini Brundibàr, scritta nel 1939 dal musicista praghese Hans Krása e rappresentata a Terezín 55 volte. Una per ogni convoglio piombato in partenza per Auschwitz.

Il commento di Rubens Tedeschi

Terezìn, l' incubo dietro la musica

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, la recensione all'operina "Brundibàr" andata in scena al Comunale di Firenze scritta da Rubens Tedeschi dell'Unità il 21 febbraio '97.

Nella sala minore del Comunale, una mostra e uno spettacolo, belli e sconvolgenti, hanno affrontato, con coraggio pari al successo, uno dei temi brucianti del nostro secolo: la strage degli innocenti. Nel ridotto, lo spettatore cammina tra i disegni e le poesie realizzati da bimbi e ragazzi ebrei concentrati dai nazisti nel ghetto di Terezín, prima di venire eliminati ad Auschwitz. Ne catturarono 15.000, se ne salvarono 100. Cifre allucinanti, accostate ai quadretti colorati, ai freschi saggi poetici in cui i piccoli internati esprimevano la loro ansia di vita, di normalità, di bellezza. Da questa aspirazione nasce Brundibàr, l'operina composta nel 1939 da Hans Krása per i bimbi dell'orfanotrofio ebraico di Praga, alla vigilia dell'invasione tedesca che spedì il musicista e i suoi attori a Terezín. Qui grandi e piccini combattono l'ultima battaglia contro l'avvilimento e la degradazione organizzando scuole e spettacoli, tollerati dai nazisti a beneficio degli ingenui inviati della Croce Rossa. In queste tragiche circostanze la garbata vicenda di Brundibàr (il suonatore d'organetto) è il simbolo della lotta tra il bene e il male. Il cattivo è Brundibàr che vuol cacciare i bambini dalla strada dove raccolgono, cantando, le monete per comprare il latte alla mamma ammalata. La prepotenza sarà sconfitta, e l'operina si chiude con una marcetta vittoriosa. Un messaggio di speranza affidato, in un mondo senza speranze, alla freschezza delle canzoncine, dei giochi (delizioso quello della marionetta con la citazione stravinskiana di Petruchka), dei racconti del cane, del gatto, dell'uccellino, miniati da Krása con l'eleganza e la lievità di un artista capace di calarsi senza leziosità nel mondo infantile. Poi anch'egli scomparirà, con i suoi interpreti, nei forni di Auschwitz. Per ricreare questa atmosfera delicata e lacerante, il Comunale si è affidato ai bravissimi allievi - voci e strumenti - della Scuola di Musica di Fiesole che, diretti da Arnold Bosman, hanno offerto un'esecuzione di ammirevole vivacità. I giochi dei bimbi si svolgono, però, fra le grigie mura di una città-prigione: un ambiente tetro, disegnato da Leila Fteita dove le occhiaie vuote delle finestre si aprono su un panorama di macerie. Il contrasto con la gaiezza dell'infanzia è angoscioso e ci conduce al tragico finale ideato dalla regista Marina Bianchi: la marcetta vittoriosa si spegne nel sinistro sferragliare di un treno invisibile mentre i ragazzi ammucchiano in un canto i poveri cappotti che non indosseranno più. Non vedranno la sconfitta dei loro carnefici, molti dei quali sopravviveranno grazie al complice oblio. Non basta però il ricordo. Occorre anche capire come simili orrori siano stati possibili. A questo provvede la prima parte della serata presentando, in una efficace versione scenica, il cupo Berliner Requiem musicato nel 1928 da Kurt Weill sui testi di Bertold Brecht. Hitler non è ancora al potere, ma Brecht e Weill sentono avvicinarsi la tempesta. La morte, erede del primo conflitto mondiale, grava sui boschi, sui fiumi, sulle città della Germania dove il milite ignoto è schiacciato dal peso dei monumenti. Qui c'è soltanto un velo a separare la Terezín del domani dalla triste umanità che sta per consegnarsi alle camicie brune: un'umanità sconfitta dove i forti battono i deboli, le ragazze vengono scannate e le madri uccidono i neonati. La Bianchi e la Fteita ricreano con forza questo clima di oppressione senza possibilità di riscatto. Le voci, ora, sono quelle virili del coro del Maggio che, con tre ottimi solisti (José Ignacio Ventura, Jorge Ansorema e Stanislav Kotlinski), danno robusto risalto ai duri canti di Kurt Weill, in gara con le trombe e i legni della scuola di Fiesole, egregiamente diretti da Bosman. Uno spettacolo prezioso, per non dimenticare, che dovrebbe venir ripreso in tutta Italia.

Rubens Tedeschi

Disegni dei bambini di Terezìn
Disegni dei bambini di Terezìn