Caro Cecco, a Pallanza, il 15 dicembre scorso,
eravamo venuti in tanti, da Torino e dintorni piemontesi, per festeggiare
in anticipo i tuoi novant'anni. Nella sala del Comune c'erano il sindaco,
i rappresentanti della Provincia, delle associazioni della Resistenza
e il fedelissimo Paracchini dell'Anei.
Dopo i discorsi e la consegna di un piatto ornamentale, i giovani
avevano cantato Bella Ciao. La festa era continuata nel ristorante
e alla fine baci e abbracci. E di rimando, soltanto due giorni
dopo, tu cosa hai fatto? Ci hai piantati in asso, morendo
quasi in un
amen.
Noi siamo rimasti di sale senza aver
potuto manifestarti la nostra amarezza. E il nostro dolore, si capisce.
Avevi lasciato scritto che volevi una
dipartita in punta di piedi, che questo era il modo migliore per "ricordare
e onorare la memoria dell'immane stuolo dei tuoi compagni sterminati
nei Lager". Ti chiedo scusa ma alla tua disposizione testamentaria non
ci sono stato. Mi sono detto che il "silenzio" era proprio quello che
desideravano gli sterminatori che ci avevano voluti morti come se non
fossimo mai nati e che oggi farebbe comodo a certi personaggi che da
qualche tempo hanno la smania di chiudere la partita alla pari.
Così senza studiarci sopra ho informato
le tre presidenze romane. Che ti sia dispiaciuto oppure no, la commemorazione
c'è stata e la parola "Mauthausen" l'han sentita anche i sordi
che siedono là, dove ce li abbiamo messi noi.
Al tuo funerale invece sono state rispettate le tue volontà e
ho semplicemente letto il telegramma che ti aveva inviato il Presidente
della Repubblica in anticipo anche lui: "Mentre mi unisco a tutti quelli
che applaudono con gioia al tuo solenne compleanno mi è caro
salutarti Cavaliere di Gran Croce per i grandi tuoi meriti a servizio
della libertà e della giustizìa del nostro popolo. Ti
abbraccio. Oscar Luigi Scalfaro". A quanti nei giorni seguenti hanno
chiesto di te ho detto che, oltre ricordarti come socialista anti-Hammamet
e come pluriparlamentare, sempre con la valigia in mano, ti eravamo
riconoscenti per esserti fatto - quasi da solo - la guerra alla Germania
Federale al fine di ottenere quel simbolico risarcimento per il lavoro
coatto, in un primo tempo negato con la scusa che il nostro Paese era
stato alleato della Germania nazista.
E per buona misura ho aggiunto che così di guerre avevi finito
col vincerne due; con quel risarcimento era stata riconosciuta
di fatto la figura giuridica del deportato italiano, procurando al tempo
stesso un aiuto economico a tante famiglie indigenti e trascurate dalla
legislatura italiana e che per questo ti dovevamo non soltanto affetto
ma anche gratitudine. Ho anche ricordato
che di viaggi su e giù per l'Europa ne avevi fatti per dare prestigio
all'Italia nel consesso internazionale, dimostrando che anche nel periodo
più buio della nostra storia nazionale c'era stata un'altra Italia:
un'Italia antifascista che né il Tribunale speciale, né
le patrie galere, né i confini di polizia avevano potuto soffocare.
Infine ho anche ripetuto che la cosa
che tutt'ora ci inorgoglisce di più è il sapere che, quale
rappresentante italiano avevi fatto parte del Comitato di
Resistenza clandestino operante nel campo di sterminio di Gusen.
Mi fermo qui? Non ancora. Abbi pazienza.
Viviamo momenti storicamente sempre più contrastati. Inutile
nascondercelo. Rompono non solo i revisionisti, ma, come ti ho accennato,
anche i nostalgici del littorio e noi ci troviamo a dover riacchiappare
i punti fermi. Per esempio un Francesco Albertini che apparteneva a
quella schiera di uomini che si battevano senza piangersi addosso. La
faccio lunga, ma c'è un'ultima cosa che devo dirti. Ed è
importante. Abbiamo trascorso oltre mezzo secolo da deportati, sia pure
"ex", e a te non andava di doverlo ammettere. Certo come tutti noi,
anche tu avrai pensato mille volte e una: il campo è laggiù
al confine del mondo. Noi siamo qui a casa nostra, liberi come l'aria.
Che sofferenza non sia mai! E avrai provato a non lasciarti condizionare
da "quei" ricordi affidandoti agli affetti più cari, agli amici
che ci sono ancora e a quelli che non ci sono
più, agli ideali che non andranno
perduti mai. Come noi ci avrai provato ogni anno, per trecento e più
giorni, ma poi, quando arrivava la primavera e il 5 del mese di maggio
era sempre più vicino, avrai scoperto che con il cuore e la mente
non ti eri mai allontanato dal campo più di tanto. Adesso ho
proprio finito e chiudo. "Che bella giornata
ho trascorso!" avevi detto ad Anna Cherchi al momento del commiato.
Anche per noi, Cecco. E stata la festa dell'amicizia! Quella tipo Lager,
la più tenace che sia mai esistita. "E il piatto d'argento decorato
che ti abbiamo donato con tanto di dedica? " mi chiedi. Quello voleva
essere il contrario di un miscka arrugginito e slabbrato. Perché
ogni tanto bisogna pur esorcizzarlo, il campo. Non ti pare? Ti abbraccio.
Ferruccio Maruffi |