La testimonianza di Gianni Araldi |
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La tragedia del campo "Dora" dallo scavo del tunnel delle V2 alla marcia verso Bergen Belsen |
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Lo stato
maggiore tedesco aveva predisposto per il campo di prigionia la costruzione
di 88 baracche - 22 per gli SS e 10 di alloggio per il punto d'appoggio
alle forze armate. Il campo Dora era
un sottocampo alle dipendenze di Buchenwald. In breve tempo ebbe però
un enorme sviluppo per l'importanza bellica che aveva assunto e nel
1944 divenne campo principale con 7 sottocampi e 32 kommandos di lavoro
esterno. Secondo dati statistici del 23 marzo 1945 nel campo Dora
compresi sottocampi e Kommandos di lavoro c'era un totale di 34.521
prigionieri. Per la costruzione del
campo ed il traforo del tunnel erano indispensabili dai 18.000 ai
22.000 prigionieri, perciò da Buchenwald arrivavano transporti
di 2.000-3.000 deportati per rimpiazzare i morti.
Uno dei lavori più massacranti
e disumani fu quello di dare maggior dimensione al tunnel per dare
inizio alla costruzione delle V.1 e V.2: il tunnel a lavoro ultimato
si presentava come un paese sotterraneo; 20 km di gallerie parallele
collegate con 54 enormi stanzoni trasversali che permettevano la costruzione
delle V.2. su catene di montaggio; entrava ed usciva un treno merci
normale. Data la gran fretta del comando
superiore della SS ad ultimare il tunnel, il lavoro si trasformò in
lavoro forzato, alimentato da sberle, calci e frustate per accelerare
i tempi e i deportati che ci avevano preceduto
ridotti già a scheletri viventi morivano a decine e decine ogni giorno.
Il lavoro forzato era sottoposto a continui maltrattamenti e sostenuto
da una alimentazione sufficiente soltanto a tener in vita chi non
avesse avuto il minimo consumo di energia.
Il campo Dora per diversi mesi è stato un vero inferno, al nostro
arrivo - parlo come ex militare italiano prigioniero di guerra internato
a Dora - nell'ottobre 1943 non esisteva come formazione perché mancava
di tutto, perfino delle baracche dormitorio, era recintato con pali
in cemento collegati da filo spinato e alimentato a corrente elettrica
ad alta tensione. Si
presentava in una vallata disboscata con enormi sbancamenti di terra,
il fondo macinato dal continuo spostamento dei mezzi meccanici formava
una poltiglia dove durante le tre ore di appello restavamo immersi
fino alle caviglie. Questo campo era
stato definito un inferno, non da noi ex militari, ma dai deportati
politici che avevano già una lunga e dura esperienza del campo di
sterminio di Buchenwald. Se era un inferno per loro, che cosa era
per noi militari, che eravamo odiati da tutti!
Al nostro arrivo c'erano le SS a riceverci. Subito cominciarono a
menar sberle e colpi col calcio del fucile gridando Badoglio-Badoglio
(proprio in quel periodo Badoglio aveva dichiarato l'entrata in guerra
dell'Italia contro la Germania perciò erano inferociti e si sfogarono
con noi); come pure è stato
preoccupante l'impatto coi deportati politici di altre nazioni che
ci insultavano e ci privavano anche dei nostri averi, considerandoci
soldati di Mussolini. Eravamo terrorizzati,
non vi era nessun riferimento umano, si viveva alla giornata; ricordo
di essere rimasto per oltre 20 giorni senza nemmeno potermi lavare
gli occhi, l'acqua era razionata, veniva data a mezzo di un tubo con
tanti forellini che doveva servire a migliaia e migliaia di prigionieri,
e noi militari eravamo scacciati da tutti perciò ci era impossibile
avvicinarci. Un
giorno in 6 amici eravamo seduti per terra demoralizzati al massimo,
con tanta voglia di piangere come bambini, quando all'improvviso si
avvicinò un deportato politico di nazionalità cecoslovacca che ci
sorprese per il suo comportamento verso di noi: era il primo atto
umano che si riceveva; questo perché
era di sangue italiano essendo figlio di madre italiana.
Da quel giorno per noi 6 è stato
di grande sollievo, tutte le sere veniva a trovarci dandoci suggerimenti
indispensabili su come dovevamo comportarci con le SS e coi deportati,
specialmente coi triangoli verdi; i deportati triangolo verde erano
detenuti comuni e triangolo verde con sigla S. erano criminali e ergastolani.
Quando furono ultimate al campo le
baracche dormitorio questo nostro amico cecoslovacco, persona umana
e colta che conosceva alla perfezione 6 lingue straniere, vedendoci
tartassati da tutti decise di fare il capo Bloch 18 per soli militari
italiani. Da quel giorno la nostra
situazione cambiò radicalmente; vivevamo tutti assieme ed eravamo
riusciti a far comprendere a tutti che
pure noi italiani eravamo sulla stessa barca, perciò anche i rapporti
coi deportati politici cominciarono ad essere buoni: senza l'intervento
di questo amico nessuno di noi sarebbe stato un superstite.
Quando si delineò con chiarezza la vittoria
degli alleati, la prima preoccupazione dei comandanti del Dora fu
quella del come farci sparire tutti quanti.
Dapprima decisero di minare gli imbocchi della galleria, così, saltando
in aria, diventasse la nostra tomba comune. Questo progetto però,
non poté realizzarsi perché un grosso bombardamento sulla città di
Nordhausen, la più vicina al nostro campo, fece convogliare la popolazione
civile nel rifugio del tunnel. Per
intere giornate squadriglie di bombardieri
oscuravano il cielo e noi,
provati all'estremo, restammo del tutto
impassibili, è incredibile ma vero, nessuna bomba fu sganciata
sul rifugio del tunnel o sul campo. Gianni Araldi |
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