"Il tempo di parlare" di Helen Lewes

Una ebrea annientata da persone "normali"

 

Helen è nata a Truttiov, in Cecoslovacchia. Oggi vive a Belfast, ove insegna danza e coreografia. Nel 1942 fu deportata a Terezin, poi trasferita ad Auschwitz, infine a Stutthof, ove fu liberata dall'Armata Rossa il 1 marzo 1945, durante una marcia nel corso della quale le SS si ripromettevano di far scomparire testimoni pericolose.
In questo libro testimonianza, dall'andamento narrativo, ma senza nulla di inventato e senza alcuna concessione lirica, ove al contrario tutto è verità comprovata, Helen racconta la sua vicenda con sbalorditiva integrità.
E la storia di una donna sopravvissuta a ciņ cui non si puņ sopravvivere. A tutti coloro che si domandano come mai gli ebrei abbiano permesso che accadesse loro quanto è accaduto, la Lewis risponde con chiarezza: la soppressione delle minime libertà civili, il sequestro dei depositi bancari, il furto violento delle case, la perdita del lavoro e di conseguenza la perdita della fiducia in se stessi sono stati i passaggi di una preventiva distruzione, terminata poi con le camere a gas e i forni crematori.
Tutto era vietato agli ebrei, il cibo ancor più insufficiente che agli altri, tram e treni interdetti, se non in poche e particolari ore, apparecchi radio confiscati... un popolo ridotto alla miserrima condizione di paria. Comprensibile quindi come gli ebrei salissero sui carri di bestiame confusi, spaventati, schiacciati dal peso della stella gialla. Una testimonianza che rivela, se ce ne fosse ancora bisogno e ce n'è bisogno, chi furono i mostri: persone qualsiasi, con una propria famiglia come tutti noi e che come persone normali uccisero, torturarono, bruciarono, gasarono loro simili, del tutto indifferenti a qualsiasi ragione umana.
Citando l'Ecclesiaste, Helen ha ritenuto essere giunto il tempo di parlare. Parlare non per autocompassione ma per testimoniare affinché cose come quelle da lei viste e vissute non abbiano a ripetersi più, mai più. Perché il pericolo non sono i mostri, ma il sonno della ragione che troppo spesso si agita nei più comuni degli individui.

A.P.