Yitzhak Katzenelson - Il canto del popolo
ebraico massacrato La Giuntina, Firenze 1995
Mentre, a cinquant'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, si
ricorda il processo di Norimberga, iniziato il 20 novembre 1945, al
quale seguì, un mese dopo, quello di Dachau ai medici assassini,
e si affollano intanto gli organi di informazione del nome del cinico
e sgusciante Priebke, mi trovo sul tavolo un libro del quale è
difficilissimo parlare, tanto acuta è l'angoscia che provoca
la sua stessa genesi, e che tuttavia è necessario conoscere e
far conoscere.
E' opera di un intellettuale ebreo che, per le complesse vicende seguite
all'invasione tedesca della Polonia ed al sistematico sterminio di tutto
un popolo, si è trovato in un Lager diverso da quello nel quale
erano stati rinchiusi la moglie e due dei loro figli, da lì avviati
(14/9/1943) alle camere a gas di Treblinka. Lui, come molti altri dei
confinati nei ghetti, sa perfettamente ciņ che è accaduto, che
sta accadendo e che accadrà agli ebrei d'Europa e, fra non molto,
anche a lui e al figlio rimastogli vicino. Katzenelson, oltre che sociologo
ed educatore, è scrittore, drammaturgo e poeta assai noto. Perciņ
tocca a lui, anche a giudizio dei suoi compagni dei comitati di resistenza,
il compito di testimoniare, affinché il mondo sappia e possibilmente
non dimentichi.
Dai vari ghetti dell'Europa invasa, ogni giorno migliaia e migliaia
di ebrei vengono spinti, a nerbate, sui carri che li trasferiranno là
dove i forni li aspettano.
Affinché possa dedicarsi al compito che forse lui soltanto puņ
assolvere, i suoi compagni fanno quel che possono per rimandare, di
giorno in giorno, il suo fatale appuntamento con la morte. E lui, superando
lunghi momenti di smarrimento e le insidie della follia, narra, con
mano che trema e tuttavia è decisa.
"Canti" definisce Yitzhak Katzenelson le varie parti del suo poema.
Ché di poema si tratta, in quartine a rime alternate e per il
quale ha scelto di usare la lingua del popolo, l'yiddish. Ma sono veramente
"canti" i suoi, o non piuttosto grida laceranti e disperate, dove è
sunteggiato tutto dell'immane tragedia, e va dall'invito perentorio
al suo popolo, compresi gli assassinati, perché gridino con lui,
"da ogni lembo di terra / da sotto ogni pietra" ... "e dalla polvere,
dalle fiamme, dal fumo" ... "da quelle fosse profonde dove strato dopo
strato / fosti coperto di calce e bruciato". Dovrebbe squarciare il
cielo, quel grido di tutto un popolo; ma, come già la terra,
anche i cieli hanno chiuso gli occhi e "non sono crollati dalla vergogna".
Per questo il poeta non puņ fare distinzioni, come non ne hanno fatto
e non ne fanno i nazisti, che uccidono tutti, cominciando dai bambini;
che, a milioni, "hanno teso le mani" verso i cieli "prima di venire
massacrati" con "milioni di nobili madri, di padri / e nulla ha fatto
tremare il vostro impassibile azzurro". Ed esplode l'invettiva. Sono
stati "Hitler, Himmler, Alfred Rosemberg? No tutti i tedeschi insieme
/ tutto il popolo, il più malvagio, il più turpe ......
Non è perņ soltanto contro i tedeschi che Katzenelson alza la
voce, ma anche ed anzitutto contro quel manipolo di ebrei che hanno
disceso, come è accaduto anche altrove e per molto meno, anche
l'ultimo scalino dell'ignominia, trasformandosi in feroci aguzzini.
"Ho osservato i picchiatori ed anche i picchiati / mi sono torto le
mani dalla vergogna" ... "Con lucidi stivali ai piedi / in testa berretti
con la stella di David quasi fosse una svastica" ... "Vi hanno preso
da sotto i letti, da dentro gli armadi, urlando / "il carro aspetta"
... "Carri pieni di ebrei. Si torcono le mani, si strappano i capelli
/ alcuni tacciono, e il loro grido è il più forte".
C'è chi non ha resistito all'orrore e ha ucciso un tedesco. E
anche altri come lui. '"Il 18 gennaio ho visto prendere e portare
alla morte cinquemila ebrei / e solo due tedeschi, due assassini ho
visto dei dodici uccisi quel giorno / solo dodici! E quei vigliacchi
armati tremavano tutti. / "Gli ebrei sparano". E non si sono più
avventurati a coppie nei nostri nascondigli, ma in branchi come lupi"...
"Ma gli ebrei in America, in Eretz Israel, lontani e tristi avrebbero
versato una lacrima / e in silenzio o forse ad alta voce, avrebbero
detto "Oh, se non avessero reagito... Non dovevano!".
E del 3-5 ottobre 1943 il primo Canto. Quando cioè sono già
in atto, dalla metà di settembre, i Transporte dall'Italia invasa:
lunghi, stracolmi convogli di militari e civili, di partigiani e di
detenuti per motivi politici, fra i quali anch'io, e di ebrei: intere
famiglie, vecchi, donne anche incinte, bambini.
Tutti al massacro.
L'ultimo Canto, il quindicesimo, è di tre mesi e mezzo dopo.
Katzenelson non si è mai fatto illusioni, sa che anche la sua
fine è vicinissima. Chiude la sua opera in capaci bottiglie,
la fa seppellire all'esterno, alla base di un palo.
Verrà catturato il 29 aprile 1944 e mandato a morire ad Auschwitz
insieme all'ultimo figlio rimastogli. Il canto del popolo ebraico massacrato
verrà ritrovato alla fine della guerra e pubblicato in varie
lingue. La versione poetica italiana è di Daniel Vegelmann, dalla
traduzione dallo yiddish di Sigrid Soliti. Il volume contiene il testo,
a fronte, in yiddish, e la sua trascrizione in caratteri ebraici.
Giovanni Melodia (Matricola
Dachau 56.675)
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