Lo straordinario episodio l'anno scorso a Mauthausen

"Gli abbiamo dato un passaggio, ed era uno dei miei liberatori"

 

Cinquant'anni dopo quell'indimenticabile 5 maggio, il casuale incontro con uno dei soldati americani che erano entrati per primi nel Lager. I ricordi degli ultimi terribili giorni nel campo

Mese di maggio il mese del sole primaverile, per noi deportati il timido calore di quel sole austriaco voleva dire alleviare i tormenti del gelo invernale, perché a Mauthausen fa molto freddo.
Mangiavamo poco ed eravamo vestiti male, le umiliazioni, le angherie e le botte che dovevamo subire dai kapò e dalle "SS" si protraevano lungo tutto l'arco della giornata e della notte (quando la notte dovevamo soddisfare un bisogno si doveva passare attraverso il Blocco sul cui pavimento dormivano i compagni che non avevano trovato posto sui "castelli", eravamo costretti a farli spostare o a pestarli. Vi lascio immaginare le urla e gli strepiti di quei poveri disgraziati, con la conseguenza che il kapò si svegliava e cominciava a menar botte e a infliggere punizioni).
I giorni passavano e la liberazione sembrava sempre lontana, irraggiungibile, perché nel campo non si sapeva nulla di quello che succedeva all'esterno.
Sentivamo il rombo di centinaia di aerei, ma non sapevamo né la destinazione né la provenienza.
Da qualche giorno però qualcosa era cambiato, la disciplina si era fatta meno dura, la sbobba era la solita, nel miscki (ciotola che passata di mano in mano serviva a decine di prigionieri) trovavamo anche qualche pezzetto di rapa o di patata e non solo acqua come nei mesi precedenti; il kapò, forse intuendo la prossima fine, mescolava un po' meglio nel bidone.
Le "SS" erano scomparse, sostituite dalle guardie territoriali, sentivamo più per istinto che per conoscenza che la liberazione doveva essere vicina, però tanti nostri compagni continuavano a morire stremati dalle sofferenze e dalla fame.

5 maggio 1945

Non ricordo con precisione l'ora, ma ho ancora nelle orecchie l'urlo proveniente dal piazzale dell'appello vicino alla grande porta d'ingresso. Non potrò mai dimenticare la visione di quella camionetta con sopra dei soldati ben diversi da quelli che eravamo abituati a vedere, le loro divise semplici non avevano nulla di marziale: erano l'avanguardia delle truppe americane, erano la tanto agognata liberazione!
Non riesco ad esprimere l'emozione ed i sentimenti di quel momento: erano un misto di gioia e di rabbia, gioia per la ritrovata libertà e per la speranza di tornare a rivedere la mia famiglia, e rabbia per tutti i compagni che, stroncati da quella vita infernale, quella gioia non avrebbero assaporato. Purtroppo per molti la gioia della ritrovata libertà fu effimera, debilitati dalle privazioni e dalle sofferenze continuavano a morire.
Tralascio di narrare l'odissea del mese trascorso prima del rimpatrio e lascio a voi immaginare l'emozione e la gioia del rientro in famiglia.
Sono trascorsi 27 anni prima di riuscire a vincere il timore di ritornare a Mauthausen, infatti solo nel 1972 ho trovato la forza di tornare a rivedere i luoghi dove si è consumata tanta barbarie e si sono inflitte tante sofferenze.
L'emozione è stata forte tant'è che il primo giorno, anche su suggerimento dei miei che mi hanno visto sconvolto, non sono riuscito ad entrare nel Campo. Comunque, il giorno dopo, mi sono fatto forza ed ho rivissuto quelle drammatiche vicende.
Da allora in poi non sono più mancato all'appuntamento annuale delle manifestazioni internazionali della liberazione che si tengono ogni anno nella prima domenica di maggio.

5 maggio 1995

50° della liberazione, sapevo che sarebbe stata una cerimonia importante, ma non immaginavo di fare un incontro così inaspettato. Come tutti gli anni, dopo le tappe nei Campi di Bolzano e Ebensee siamo giunti a Linz dove abbiamo pernottato.
Il giorno 5 alla partenza per Gusen, un signore distinto sulla settantina ha chiesto un passaggio alla nostra guida perché i suoi amici erano già partiti. Sul pullman la nostra interprete ci traduceva quanto quel signore stava raccontandole, e mentre parlava l'emozione si stava impadronendo di me: era il sergente della Y Armata americana che a bordo di quella famosa camionetta avevo visto 50 anni prima. Egli spiegava di aver partecipato allo sbarco in Normandia e di aver attraversato la Francia, parte della Germania e l'Austria sino a Mauthausen.
Ricordava che, qui giunto, prese la strada che conduceva verso una collina e che ad un certo punto scorse quello che a prima vista sembrava un castello, anche se un po' particolare perché contornato da garitte di tipo militare; non incontrando nessuna resistenza si spinse fino all'entrata.
Era evidente lo sforzo per vincere l'emozione che si stava impadronendo di lui per quanto stava per raccontare: la sconvolgente visione che gli si è presentata quando ha varcato l'entrata del Campo. Non trovava le parole per descrivere la drammaticità di quello che aveva visto: una moltitudine di uomini scheletriti che gli si facevano incontro con urla che non avevano più nulla di umano e poi cadaveri... montagne di cadaveri e quel puzzo di carne bruciata!
Allora mi sono avvicinato a lui e gli ho mostrato la targhetta con la matricola che portavamo al braccio, dicendogli che anch'io facevo parte di quella moltitudine che doveva a lui la liberazione dall'incubo di sottouomini, allora mi ha guardato e ci siamo abbracciati commossi.
E stato un grande giorno che mai potrò dimenticare, gratitudine e commozione si confondevano nel mio animo.
Dopo la cerimonia a Gusen, tornati in albergo, abbiamo festeggiato questo incontro bello e inaspettato.

Sergio Rossetti