Era il 23 settembre 1939 e i tedeschi occupando Varsavia piegavano
la Polonia. Nessuno però si immaginava quanto sarebbe successo.
Neppure Szpilman che era un giovane attento e ironico.
Ciascuno si nascondeva dietro una certezza, prima la qualità
combattenti dell'esercito polacco, poi le truppe francesi, poi
ancora la Marna, il fiume: quella classica linea di difesa dove
tutto si sarebbe bloccato, come nel contrasto in cui si avverte
l'andamento dinamico nella seconda parte dello Scherzo in si minore
di Chopin, un crescendo tempestoso di crome, via via sempre più
travolgenti sino all'accordo conclusivo, là dove i tedeschi
si sarebbero ritiranti entro le proprie frontiere con lo stesso
impeto della guerra e la vittoria alleata... Non bastò
la Marna.
Ma un'altra certezza venne in soccorso: "Presto ci lasceranno
andare. Basta che l'America ne sia informata". Szpilman,
ebreo polacco, dopo una sessantina di pagine del suo libro, dovrà
invece raccontare di ben altri dolori, del ghetto, della persecuzione
feroce, del tradimento, della spietata concorrenza per un tozzo
di pane o per una patata, della deportazione, dei morti, della
violenza nazista, della rivolta. Szpilman dovrà raccontare,
dopo quelli dell'invasione, quelli delk ghetto, i giorni teerribili
del ghetto, per i quali ovviamente anche il tono della narrazione
dovrà mutare. La possibilità dell'ironia bruscamente
si esaurisce. Non si può più sorridere di un esercito
malmesso o delle previsioni di pace e di guerra raccolte attorno
ai tavolini di un café-concerto.
Quando le porte del ghetto verranno chiuse dai nazisti non resterà
che lo spazio per una ricerca individuale di salvezza, che per
lo più cancellerà gli antichi valori. La testimonianza
di Szpilman restituisce quella vicenda nella sua crudezza, in
una dimensione di violenza che non dà scampo a nessuno,
quando il polacco diventa il delatore che ricorre a qualsiasi
ingano pur di strappare una benemerenza presso l'occupante, quando
l'ebreo del ghetto non si negherà alcun mezzo pur di costruirsi
una speranza di sopravvivenza. Szpilman racconterà queste
storie vissute con una prosa incalzante, quasi avventura, senza
ombra di retorica, senza neppure alcun desiderio di vendetta si
salverà e a salvarlo sarà un militare tedesco, Wilm
Hosenfeld. il militare lo aveva scoperto nel covo ricavato da
un sottotetto, però non lo denunciò, piuttosto cercò
di procurargli pane e vestiti. Hosenfeld, finita la guerra, verrà
rinchiuso in un campo sovietico. Non credettero alla sua dichiarazione
d'aver salvato alcuni ebrei.
D'altra parte Szpilman non conosceva il suo nome: non se lo era
fatto dire, temendo una volta catturato di poterlo svelare. Hosenfeld
così morirà prigioniero dei russi, lasciando semplicemente
un diario.
Hosenfeld sarà la causa della censura imposta al libro
dalle autorità della Germania dell'Est: era impensabile,
e quindi poco educativo, scrivere che un tedesco poteva essere
buono. Viene in mente il tedesco di Nuto Revelli nel Disperso
di Marburg, il cavaliere che mal si ritrova nei panni del nazista.
L'incredulità è sempre assai diffusa... nel racconto
delle sue peregrinazioni nel ghetto, fino alla liberazione. Szpilman
ci restituisce un grande affresco, un affresco tenebroso, raramente
rischiarato da rari raggi di luce, un affresco potentissimo sugli
uomini, sulle loro miserie, sulle loro fortune, su quegli ebrei
rinchiusi e tormentati, sulla loro rivolta.
La fame, la sofferenza non migliorano l'uomo così come
le care a gas non ne nobilitano il carattere. La cronaca quotidiana
nel ghetto lo dimostra. Ma sempre ci si può costruire una
chance di riscatto e riscatto, pagato con il sangue, è
una rivolta impossibile. In attesa del treno che li condurrà
al campo di sterminio, due ebrei, uno dei quali il padre di Szpilman,
si fronteggiano, "è una infamia per tutti noi! Permettiamo
che ci portino alla morte come pecore al macello...". E l'altro:
"Guarda, non siamo eroi, siamo persone assolutamente normali".
Una risposta a chi invoca un atto di ribellione ma anche alla
insostenibile assurdità di quel caso, la tragedia così
si consuma fino in fondo per la maggioranza. I morti saranno milioni,
Szpilamn tornerà al pianoforte, suonando alla radio polacca,
e ci lascerà questa storia scritta subito alla fine della
guerra, quanto tutto il passato era ancora immagine viva, quasi
temuta.
Libro bellissimo e ricchissimo, vivace per quella prosa veloce,
colorita, concreta, quasi un romanzo che purtroppo non è
e non poteva essere.
Oreste Pivetta
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