Il pianista polacco che si oppose ai nazisti

Pessima sorte quella toccata a un libro come Il pianista di Wladyslaw Szpilman, cancellato per cinquant'anni dalla censura, ristampato oggi, ma ugualmente ignorato. eppure è giusto quanto ricorda il sottotitolo: la straordinaria storia di un sopravvissuto, Szpilman è un pianista, è nato a Varsavia nel 1911, ha suonato a Varsavia per tanti anni della sua vita e suonava un Notturno di Chopin alla radio, quando le bombe tedesche che piovevano a grappoli sulla capitale polacca interruppero le trasmissioni.

Era il 23 settembre 1939 e i tedeschi occupando Varsavia piegavano la Polonia. Nessuno però si immaginava quanto sarebbe successo. Neppure Szpilman che era un giovane attento e ironico.
Ciascuno si nascondeva dietro una certezza, prima la qualità combattenti dell'esercito polacco, poi le truppe francesi, poi ancora la Marna, il fiume: quella classica linea di difesa dove tutto si sarebbe bloccato, come nel contrasto in cui si avverte l'andamento dinamico nella seconda parte dello Scherzo in si minore di Chopin, un crescendo tempestoso di crome, via via sempre più travolgenti sino all'accordo conclusivo, là dove i tedeschi si sarebbero ritiranti entro le proprie frontiere con lo stesso impeto della guerra e la vittoria alleata... Non bastò la Marna.
Ma un'altra certezza venne in soccorso: "Presto ci lasceranno andare. Basta che l'America ne sia informata". Szpilman, ebreo polacco, dopo una sessantina di pagine del suo libro, dovrà invece raccontare di ben altri dolori, del ghetto, della persecuzione feroce, del tradimento, della spietata concorrenza per un tozzo di pane o per una patata, della deportazione, dei morti, della violenza nazista, della rivolta. Szpilman dovrà raccontare, dopo quelli dell'invasione, quelli delk ghetto, i giorni teerribili del ghetto, per i quali ovviamente anche il tono della narrazione dovrà mutare. La possibilità dell'ironia bruscamente si esaurisce. Non si può più sorridere di un esercito malmesso o delle previsioni di pace e di guerra raccolte attorno ai tavolini di un café-concerto.
Quando le porte del ghetto verranno chiuse dai nazisti non resterà che lo spazio per una ricerca individuale di salvezza, che per lo più cancellerà gli antichi valori. La testimonianza di Szpilman restituisce quella vicenda nella sua crudezza, in una dimensione di violenza che non dà scampo a nessuno, quando il polacco diventa il delatore che ricorre a qualsiasi ingano pur di strappare una benemerenza presso l'occupante, quando l'ebreo del ghetto non si negherà alcun mezzo pur di costruirsi una speranza di sopravvivenza. Szpilman racconterà queste storie vissute con una prosa incalzante, quasi avventura, senza ombra di retorica, senza neppure alcun desiderio di vendetta si salverà e a salvarlo sarà un militare tedesco, Wilm Hosenfeld. il militare lo aveva scoperto nel covo ricavato da un sottotetto, però non lo denunciò, piuttosto cercò di procurargli pane e vestiti. Hosenfeld, finita la guerra, verrà rinchiuso in un campo sovietico. Non credettero alla sua dichiarazione d'aver salvato alcuni ebrei.
D'altra parte Szpilman non conosceva il suo nome: non se lo era fatto dire, temendo una volta catturato di poterlo svelare. Hosenfeld così morirà prigioniero dei russi, lasciando semplicemente un diario.
Hosenfeld sarà la causa della censura imposta al libro dalle autorità della Germania dell'Est: era impensabile, e quindi poco educativo, scrivere che un tedesco poteva essere buono. Viene in mente il tedesco di Nuto Revelli nel Disperso di Marburg, il cavaliere che mal si ritrova nei panni del nazista. L'incredulità è sempre assai diffusa... nel racconto delle sue peregrinazioni nel ghetto, fino alla liberazione. Szpilman ci restituisce un grande affresco, un affresco tenebroso, raramente rischiarato da rari raggi di luce, un affresco potentissimo sugli uomini, sulle loro miserie, sulle loro fortune, su quegli ebrei rinchiusi e tormentati, sulla loro rivolta.
La fame, la sofferenza non migliorano l'uomo così come le care a gas non ne nobilitano il carattere. La cronaca quotidiana nel ghetto lo dimostra. Ma sempre ci si può costruire una chance di riscatto e riscatto, pagato con il sangue, è una rivolta impossibile. In attesa del treno che li condurrà al campo di sterminio, due ebrei, uno dei quali il padre di Szpilman, si fronteggiano, "è una infamia per tutti noi! Permettiamo che ci portino alla morte come pecore al macello...". E l'altro: "Guarda, non siamo eroi, siamo persone assolutamente normali".
Una risposta a chi invoca un atto di ribellione ma anche alla insostenibile assurdità di quel caso, la tragedia così si consuma fino in fondo per la maggioranza. I morti saranno milioni, Szpilamn tornerà al pianoforte, suonando alla radio polacca, e ci lascerà questa storia scritta subito alla fine della guerra, quanto tutto il passato era ancora immagine viva, quasi temuta.
Libro bellissimo e ricchissimo, vivace per quella prosa veloce, colorita, concreta, quasi un romanzo che purtroppo non è e non poteva essere.

Oreste Pivetta