Un volume della Camera dei deputati sulle leggi razziali che colpirono gli ebrei

1938: l'anno zero dell'Olocausto italiano

Gruppi di ebrei lasciano il carcere di Varese, destinazione il campo di Fossoli. Si tratta delle uniche fotografie esistenti in Italia che fissano il momento dell'arresto e della traduzione di ebrei nel 1943-45.(Archivio privato Franco Giannantoni, Varese).Nella foto sotto una vignetta antisemita apparsa sui giornali in concomitanza con le leggi razziali.

La persecuzione degli ebrei nel 1938 colpì uomini, donne, bambini, le loro identità, le loro libertà, i loro diritti. Li schiacciò, espellendoli dal consesso umano, equiparandoli inoltre, al di là della loro fede politica, a nemici del regime.
Migliaia di ebrei abbandonarono l'Italia, altre migliaia l'ebraismo, senza cessare in molti casi di essere perseguitati. Altri infine, disperati, si tolsero la vita. Già prima della "svolta" del 1943 che decretò la deportazione e la morte, la dittatura fascista aveva deciso quale avrebbe dovuto essere l'obiettivo finale: l'eliminazione degli ebrei dal Paese.
"Bisogna mettersi in mente - aveva riferito Mussolini il 25 ottobre 1938, intervenendo al Consiglio nazionale del partito - che noi non siamo camiti, che non siamo semiti, che non siamo mongoli. E, allora, se non siamo nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo venuti dalle Alpi, dal Nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo, puri". Si era trattato di una pura invenzione.
Questa infame pagina della nostra storia è racchiusa in ogni dettaglio, legge dopo legge, tutte firmate dal re Vittorio Emanuele III (l'annotazione valga per le ricorrenti polemiche sul rientro dei Savoia in Italia) nel volume edito dalla Camera dei deputati dal titolo "La persecuzione degli ebrei durante il fascismo - Le leggi del 1938" (pp. 191, lire 20.000), in vendita nelle librerie del Poligrafico dello Stato) con una presentazione del presidente Luciano Violante e con saggi della scrittrice Rosetta Loy e degli storici Pietro Scoppola, Corrado Vivanti, Michele Sarfatti e Gadi Luzzatto Voghera, oltre ai contributi "contro il razzismo" di Chirac, Clinton, Havel, Herzog, Weizman e dell'ex Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.
Un volume importante ma soprattutto opportuno, che serve a rinfrescare la memoria dei tanti immemori di questi tempi: esso raccoglie la serie anastatica completa delle norme varate nel 1938 (il più consistente pacchetto è del 17 novembre 1938, dieci giorni dopo l'incendio delle sinagoghe in Germania), le illustrazioni della bieca propaganda antisemita e due documenti di straordinario interesse spesso richiamati ma poco conosciuti nella loro struttura originale, il "Manifesto degli scienziati sulla razza" del 14 luglio e la "Dichiarazione sulla razza" redatta dal Gran Consiglio del Fascismo, divenuta legge il 14 dicembre alla Camera con voto segreto (nella stessa seduta, singolare coincidenza, all'unanimità e per acclamazione, venne soppressa la Camera dei deputati e venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni) e il 20 dicembre 1938 al Senato Regio (dieci voti contrari, fra cui quelli di Einaudi e De Nicola; assenti Croce, Mosca, Albertini, Barzini, Loria).
L'emanazione delle leggi razziali e l'abolizione della Camera dei deputati erano il segno incontrovertibile che il fascismo di Mussolini si allineava per intero ad un certo modello internazionale di regime, imperiale e totalitario del quale la Germania era l'avanguardia (anche se alle spalle c'era la fresca pratica razzista nei confronti delle popolazioni di colore nelle colonie africane), sanzionando da quel momento la divisione dei cittadini in due categorie, i non ebrei e gli ebrei "morti civili", un "popolo ombra" negletto dalla vita civile, ignorato dalla maggioranza degli italiani che si sarebbe interrogata sul suo destino solo nel dopoguerra.
La persecuzione razziale del fascismo non fu comunque un fatto secondario né suggerito dal modello tedesco. Fu una scelta precisa accompagnata dal silenzio complice della cultura che non alzò una voce, non espresse un dissenso e dall'indifferenza di gran parte del popolo italiano.
Dunque non folclore, né germanofilia di maniera. Un disegno che poggiava su un metodo che lentamente era entrato a far parte del senso comune collettivo senza toccare, almeno agli inizi, i livelli del delirio nazista (con la Repubblica sociale italiana dall'autunno del '43 sarebbero giunti la perdita della cittadinanza italiana, la deportazione e il massacro), anche se lo storico Michele Sarfatti ha potuto affermare che le leggi razziali italiane erano state formulate in modo più rigido, analitico e persecutorio del modello ispiratore germanico. Basti come esempio per tutte le degenerazioni razziali del fascismo, il documento del biologo Nicola Pende e di altri studiosi e docenti universitari, per cui gli italiani erano una "razza" a sé e che quella razza non era un "concetto linguistico, storico o culturale". Gli italiani, suggeriva lo scritto, erano in termini di "sangue" proprio "gli stessi di mille anni prima". Gli ebrei, al contrario, erano mediterranei semitici, degli "altri". Differenze "biologiche".
Da qui (e il libro offre una galleria di esempi significativi) le orripilanti caricature dell'ebreo, i nasi giudaici e le mani fornite di acuminati artigli, autentici inviti al linciaggio, che finivano per assumere una vera e propria giustificazione "scientifica".
Ebrei da isolare dal resto della società (il censimento del 22 agosto 1938 aveva registrato 58.412 persone di razza ebraica, compresi i nati da matrimoni misti, dei quali 48.032 di nazionalità italiana su circa 40 milioni di abitanti!), cacciati dalle scuole di ogni ordine e grado, università compresa, dagli uffici, le carriere professionali stroncate, matrimoni "misti" (quelli con gli ariani) impediti, così come soppresso il servizio militare, vietata la proprietà di società e di aziende se non a dimensioni familiari, proibito addirittura il possesso di una radio.

F.G.

"La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938"
Editore Camera
dei deputati
pp. 191, lire 20.000