La persecuzione degli ebrei nel 1938 colpì uomini, donne, bambini,
le loro identità, le loro libertà, i loro diritti. Li
schiacciò, espellendoli dal consesso umano, equiparandoli inoltre,
al di là della loro fede politica, a nemici del regime.
Migliaia di ebrei abbandonarono l'Italia, altre migliaia l'ebraismo,
senza cessare in molti casi di essere perseguitati. Altri infine, disperati,
si tolsero la vita. Già prima della "svolta" del 1943
che decretò la deportazione e la morte, la dittatura fascista
aveva deciso quale avrebbe dovuto essere l'obiettivo finale: l'eliminazione
degli ebrei dal Paese.
"Bisogna mettersi in mente - aveva riferito Mussolini il 25 ottobre
1938, intervenendo al Consiglio nazionale del partito - che noi non
siamo camiti, che non siamo semiti, che non siamo mongoli. E, allora,
se non siamo nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo
venuti dalle Alpi, dal Nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo,
puri". Si era trattato di una pura invenzione.
Questa infame pagina della nostra storia è racchiusa in ogni
dettaglio, legge dopo legge, tutte firmate dal re Vittorio Emanuele
III (l'annotazione valga per le ricorrenti polemiche sul rientro dei
Savoia in Italia) nel volume edito dalla Camera dei deputati dal titolo
"La persecuzione degli ebrei durante il fascismo - Le leggi del
1938" (pp. 191, lire 20.000), in vendita nelle librerie del Poligrafico
dello Stato) con una presentazione del presidente Luciano Violante e
con saggi della scrittrice Rosetta Loy e degli storici Pietro Scoppola,
Corrado Vivanti, Michele Sarfatti e Gadi Luzzatto Voghera, oltre ai
contributi "contro il razzismo" di Chirac, Clinton, Havel,
Herzog, Weizman e dell'ex Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.
Un volume importante ma soprattutto opportuno, che serve a rinfrescare
la memoria dei tanti immemori di questi tempi: esso raccoglie la serie
anastatica completa delle norme varate nel 1938 (il più consistente
pacchetto è del 17 novembre 1938, dieci giorni dopo l'incendio
delle sinagoghe in Germania), le illustrazioni della bieca propaganda
antisemita e due documenti di straordinario interesse spesso richiamati
ma poco conosciuti nella loro struttura originale, il "Manifesto
degli scienziati sulla razza" del 14 luglio e la "Dichiarazione
sulla razza" redatta dal Gran Consiglio del Fascismo, divenuta
legge il 14 dicembre alla Camera con voto segreto (nella stessa seduta,
singolare coincidenza, all'unanimità e per acclamazione, venne
soppressa la Camera dei deputati e venne istituita la Camera dei Fasci
e delle Corporazioni) e il 20 dicembre 1938 al Senato Regio (dieci voti
contrari, fra cui quelli di Einaudi e De Nicola; assenti Croce, Mosca,
Albertini, Barzini, Loria).
L'emanazione delle leggi razziali e l'abolizione della Camera dei deputati
erano il segno incontrovertibile che il fascismo di Mussolini si allineava
per intero ad un certo modello internazionale di regime, imperiale e
totalitario del quale la Germania era l'avanguardia (anche se alle spalle
c'era la fresca pratica razzista nei confronti delle popolazioni di
colore nelle colonie africane), sanzionando da quel momento la divisione
dei cittadini in due categorie, i non ebrei e gli ebrei "morti
civili", un "popolo ombra" negletto dalla vita civile,
ignorato dalla maggioranza degli italiani che si sarebbe interrogata
sul suo destino solo nel dopoguerra.
La persecuzione razziale del fascismo non fu comunque un fatto secondario
né suggerito dal modello tedesco. Fu una scelta precisa accompagnata
dal silenzio complice della cultura che non alzò una voce, non
espresse un dissenso e dall'indifferenza di gran parte del popolo italiano.
Dunque non folclore, né germanofilia di maniera. Un disegno che
poggiava su un metodo che lentamente era entrato a far parte del senso
comune collettivo senza toccare, almeno agli inizi, i livelli del delirio
nazista (con la Repubblica sociale italiana dall'autunno del '43 sarebbero
giunti la perdita della cittadinanza italiana, la deportazione e il
massacro), anche se lo storico Michele Sarfatti ha potuto affermare
che le leggi razziali italiane erano state formulate in modo più
rigido, analitico e persecutorio del modello ispiratore germanico. Basti
come esempio per tutte le degenerazioni razziali del fascismo, il documento
del biologo Nicola Pende e di altri studiosi e docenti universitari,
per cui gli italiani erano una "razza" a sé e che quella
razza non era un "concetto linguistico, storico o culturale".
Gli italiani, suggeriva lo scritto, erano in termini di "sangue"
proprio "gli stessi di mille anni prima". Gli ebrei, al contrario,
erano mediterranei semitici, degli "altri". Differenze "biologiche".
Da qui (e il libro offre una galleria di esempi significativi) le orripilanti
caricature dell'ebreo, i nasi giudaici e le mani fornite di acuminati
artigli, autentici inviti al linciaggio, che finivano per assumere una
vera e propria giustificazione "scientifica".
Ebrei da isolare dal resto della società (il censimento del 22
agosto 1938 aveva registrato 58.412 persone di razza ebraica, compresi
i nati da matrimoni misti, dei quali 48.032 di nazionalità italiana
su circa 40 milioni di abitanti!), cacciati dalle scuole di ogni ordine
e grado, università compresa, dagli uffici, le carriere professionali
stroncate, matrimoni "misti" (quelli con gli ariani) impediti,
così come soppresso il servizio militare, vietata la proprietà
di società e di aziende se non a dimensioni familiari, proibito
addirittura il possesso di una radio.
F.G.
"La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi
del 1938"
Editore Camera
dei deputati
pp. 191, lire 20.000
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