L'avvocato Gianfranco Maris, parte civile

"Una sentenza che aiuta a capire la storia"

Sono iniziati altri processi per le stragi naziste in Italia fra il '43 e il '45: ritrovati nelle cantine di Palazzo Cesi di Roma, sede della magistratura militare d'appello, migliaia di fascicoli "provvisoriamente" archiviati nell'immediato dopoguerra per "opportunità politiche".

"Un paese non è civile se non ha tra i principi fondamentali che regolano la sua convivenza l'obbligatorietà dell'azione penale perché i delitti siano sempre puniti, in ogni tempo ed in ogni luogo". Con queste parole l'avvocato Gianfranco Maris, parte civile per i familiari dei caduti in piazzale Loreto, per la Provincia di Milano e per l'Anpi, ha iniziato il proprio intervento al Convegno sulla sentenza contro Theodor Saevecke svoltosi a Milano il 24 giugno nel salone di via Mascagni, presenti il procuratore militare Pier Paolo Rivello, il professor Luigi Borgomaneri, consulente storico del Pm, Sergio Fogagnolo per i familiari dei quindici martiri, l'avvocato Antonello Mandarano, parte civile per il Comune di Milano e il presidente dell'Anpi lombarda Tino Casali.
Un principio, quello dell'obbligatorietà dell'azione penale, che non è stato sempre rispettato. Ha detto infatti Maris: "Ora sappiamo per il rapporto che il Consiglio della magistratura militare ha pubblicato di recente che tremila faldoni che contenevano le notizie dei delitti commessi durante l'occupazione nazista in Italia sono stati occultati nell'archivio del Tribunale supremo militare di Roma in un grande armadio con le ante rivolte verso il muro. (ndr: la scoperta è avvenuta nel 1994 e alcuni fascicoli sono già stati affidati per lo svolgimento dei processi alle Procure militari competenti per territorio.) Su ogni faldone c'era la scritta 'archiviazione provvisoria', un istituto giuridico inesistente. Queste archiviazioni sono state operate nel periodo dell'immediato dopoguerra sicuramente con il concerto tra il procuratore generale presso il Tribunale supremo militare ed i vari ministri della Giustizia e della Difesa. Una vera e propria crisi etica di istituzioni che hanno subordinato il loro dovere alle loro valutazioni politiche, gestendo in prima persona e direttamente la 'politica', non di loro competenza, per favorire la ricostruzione ed i rapporti di mercato tra i vari paesi d'Europa nel timore che la celebrazione dei processi potesse compromettere i rapporti economici tra 'vincitori e vinti' di un tempo".
Una crisi etica non superata. Maris ha speso parole amarissime per il silenzio dei mass media in occasione del processo a Saevecke: "Informazione poca e scarna. Persino 'l'Unità' e lo dico perché è l'assenza che più mi dilania, non ha scritto del processo e della sua conclusione. Spetterà a noi, con le nostre scarne forze, sopperire a questa omissione".
Una sentenza quella contro Theodor Saevecke che se fosse stata emessa nel 1946 avrebbe avuto un altro valore. Ma non sarebbe stata, come è stata quella del giugno 1999, portatrice di nuovi valori ed informazioni. Maris li ha definiti "valori addizionali", un itinerario nuovo per la ricerca storica. Il primo è che nel '44 la Patria non era morta al punto che "tanti uomini e tante donne sentirono il bisogno, proprio in quel momento, di assumersi impegni di lotta che implicavano il pericolo della vita stessa".
La sentenza di Torino giunge dunque puntuale a smentire coloro che in questa inaccettabile e pericolosa stagione del revisionismo hanno parlato e parlano dell'8 settembre del '43 come della tomba della nazione, delle memorie divise, di perdita dell'identità del popolo italiano. "Sui corpi straziati dei fucilati di piazzale Loreto - ha aggiunto Maris - furono trovate fotografie di figli e di mogli, come per gli impiccati di Bassano del Grappa e per gli assassinati della Benedicta, su cui, con grafia spezzata, questi martiri, prima di morire, scrissero Viva l'Italia. Dopo l'8 settembre, ci dicono queste scritte, la Patria, distrutta per lo scempio retorico che il fascismo ne aveva fatto, degradandola a strumento di mobilitazione, per mandare i giovani a rapinare lontano, era rinata. E questo è già un valore nuovo che oggi può esprimere una sentenza che esamina quei fatti lontani". Altro chiarimento: piazzale Loreto fu un tragico eccidio e non una rappresaglia. Lo dirà in modo articolato la motivazione della sentenza fra qualche mese. "La rappresaglia - ha sostenuto Maris - non esiste, non è un diritto perché uno Stato che ne occupa un altro, non può ucciderne i cittadini per incutere quel terrore diffuso che induce all'obbedienza servile. Chi sostiene il contrario distorce la verità".
Infine una riflessione che cancella alla radice la disinvolta interpretazione che diede ad esempio Renzo de Felice, dei fascisti "patrioti" né più né meno come i partigiani nel preservare l'Italia da più feroci azioni tedesche. "In questo processo - ha commentato Maris - è emerso che gli armati in camicia nera, la 'Muti' e la Gnr, erano strutture alle dipendenze dei tedeschi. Il plotone di esecuzione formato da militi italiani era stato convocato per ordine di Saevecke. La sentenza è esemplare: la Repubblica sociale italiana è stata solo una struttura di mascheramento e di supporto dell'occupazione tedesca, se è vero com'è vero, che le sue milizie politiche armate erano direttamente sottoposte agli ordini dell'Aussenkommando delle città occupate".
L'avvocato Maris ha infine segnalato che, sempre al Tribunale militare di Torino, il 23 maggio, ha avuto inizio (Pubblico ministero il dottor Rivello) il processo per una delle più spietate stragi tedesche in Italia, quella del colle della Benedicta dove furono fucilati 75 giovani inermi. Il responsabile è il tenente colonnello Siegfried Engel, capo della Gestapo di Genova. L'omologo di Saevecke. Come il suo camerata, vive tranquillo in una cittadina tedesca.