"Un paese non è civile se non ha tra i principi fondamentali
che regolano la sua convivenza l'obbligatorietà dell'azione
penale perché i delitti siano sempre puniti, in ogni tempo
ed in ogni luogo". Con queste parole l'avvocato Gianfranco Maris,
parte civile per i familiari dei caduti in piazzale Loreto, per la
Provincia di Milano e per l'Anpi, ha iniziato il proprio intervento
al Convegno sulla sentenza contro Theodor Saevecke svoltosi a Milano
il 24 giugno nel salone di via Mascagni, presenti il procuratore militare
Pier Paolo Rivello, il professor Luigi Borgomaneri, consulente storico
del Pm, Sergio Fogagnolo per i familiari dei quindici martiri, l'avvocato
Antonello Mandarano, parte civile per il Comune di Milano e il presidente
dell'Anpi lombarda Tino Casali.
Un principio, quello dell'obbligatorietà dell'azione penale,
che non è stato sempre rispettato. Ha detto infatti Maris:
"Ora sappiamo per il rapporto che il Consiglio della magistratura
militare ha pubblicato di recente che tremila faldoni che contenevano
le notizie dei delitti commessi durante l'occupazione nazista in Italia
sono stati occultati nell'archivio del Tribunale supremo militare
di Roma in un grande armadio con le ante rivolte verso il muro. (ndr:
la scoperta è avvenuta nel 1994 e alcuni fascicoli sono già
stati affidati per lo svolgimento dei processi alle Procure militari
competenti per territorio.) Su ogni faldone c'era la scritta 'archiviazione
provvisoria', un istituto giuridico inesistente. Queste archiviazioni
sono state operate nel periodo dell'immediato dopoguerra sicuramente
con il concerto tra il procuratore generale presso il Tribunale supremo
militare ed i vari ministri della Giustizia e della Difesa. Una vera
e propria crisi etica di istituzioni che hanno subordinato il loro
dovere alle loro valutazioni politiche, gestendo in prima persona
e direttamente la 'politica', non di loro competenza, per favorire
la ricostruzione ed i rapporti di mercato tra i vari paesi d'Europa
nel timore che la celebrazione dei processi potesse compromettere
i rapporti economici tra 'vincitori e vinti' di un tempo".
Una crisi etica non superata. Maris ha speso parole amarissime per
il silenzio dei mass media in occasione del processo a Saevecke: "Informazione
poca e scarna. Persino 'l'Unità' e lo dico perché è
l'assenza che più mi dilania, non ha scritto del processo e
della sua conclusione. Spetterà a noi, con le nostre scarne
forze, sopperire a questa omissione".
Una sentenza quella contro Theodor Saevecke che se fosse stata emessa
nel 1946 avrebbe avuto un altro valore. Ma non sarebbe stata, come
è stata quella del giugno 1999, portatrice di nuovi valori
ed informazioni. Maris li ha definiti "valori addizionali",
un itinerario nuovo per la ricerca storica. Il primo è che
nel '44 la Patria non era morta al punto che "tanti uomini e
tante donne sentirono il bisogno, proprio in quel momento, di assumersi
impegni di lotta che implicavano il pericolo della vita stessa".
La sentenza di Torino giunge dunque puntuale a smentire coloro che
in questa inaccettabile e pericolosa stagione del revisionismo hanno
parlato e parlano dell'8 settembre del '43 come della tomba della
nazione, delle memorie divise, di perdita dell'identità del
popolo italiano. "Sui corpi straziati dei fucilati di piazzale
Loreto - ha aggiunto Maris - furono trovate fotografie di figli e
di mogli, come per gli impiccati di Bassano del Grappa e per gli assassinati
della Benedicta, su cui, con grafia spezzata, questi martiri, prima
di morire, scrissero Viva l'Italia. Dopo l'8 settembre, ci dicono
queste scritte, la Patria, distrutta per lo scempio retorico che il
fascismo ne aveva fatto, degradandola a strumento di mobilitazione,
per mandare i giovani a rapinare lontano, era rinata. E questo è
già un valore nuovo che oggi può esprimere una sentenza
che esamina quei fatti lontani". Altro chiarimento: piazzale
Loreto fu un tragico eccidio e non una rappresaglia. Lo dirà
in modo articolato la motivazione della sentenza fra qualche mese.
"La rappresaglia - ha sostenuto Maris - non esiste, non è
un diritto perché uno Stato che ne occupa un altro, non può
ucciderne i cittadini per incutere quel terrore diffuso che induce
all'obbedienza servile. Chi sostiene il contrario distorce la verità".
Infine una riflessione che cancella alla radice la disinvolta interpretazione
che diede ad esempio Renzo de Felice, dei fascisti "patrioti"
né più né meno come i partigiani nel preservare
l'Italia da più feroci azioni tedesche. "In questo processo
- ha commentato Maris - è emerso che gli armati in camicia
nera, la 'Muti' e la Gnr, erano strutture alle dipendenze dei tedeschi.
Il plotone di esecuzione formato da militi italiani era stato convocato
per ordine di Saevecke. La sentenza è esemplare: la Repubblica
sociale italiana è stata solo una struttura di mascheramento
e di supporto dell'occupazione tedesca, se è vero com'è
vero, che le sue milizie politiche armate erano direttamente sottoposte
agli ordini dell'Aussenkommando delle città occupate".
L'avvocato Maris ha infine segnalato che, sempre al Tribunale militare
di Torino, il 23 maggio, ha avuto inizio (Pubblico ministero il dottor
Rivello) il processo per una delle più spietate stragi tedesche
in Italia, quella del colle della Benedicta dove furono fucilati 75
giovani inermi. Il responsabile è il tenente colonnello Siegfried
Engel, capo della Gestapo di Genova. L'omologo di Saevecke. Come il
suo camerata, vive tranquillo in una cittadina tedesca.