Vincitori del concorso della
Regione Piemonte sulla deportazione
|
L'omaggio degli studenti al "Ghetto dei bambini" di Terezin |
"Oggi abbiamo sentito parlare di guerra, ci siamo ricordati di te. Oggi abbiamo visto persone soffrire, ci siamo ricordati di te. Anche tu, come loro. Pensiamo a te come bambino tra tutti i bambini che hanno sofferto e soffrono ancora. Ci chiediamo: perché?" |
Inizia così la poesia che gli allievi della V A dell'elementare
Madonna della Scala di Chieri dedicano al "bambino di Terezin",
un bimbo ideale che rappresenta i 15.000 (1633 i sopravvissuti) che hanno
vissuto nel campo allestito dai nazisti nel 1942. Versi affidati a Pluto, nome di battaglia di Beppe Berruto, ex deportato a Dachau. E Pluto, per leggerli, sceglie la cerimonia davanti alla lapide che ricorda tutte le vittime di quel campo (oltre 100.000). Davanti a lui 150 studenti medi, i vincitori del concorso voluto dalla Regione Piemonte per ricordare gli orrori della deportazione. Terezin - all'ingresso la stessa scritta del lager di Auschwitz: "Il lavoro rende liberi" - viene ricordata soprattutto come "il ghetto dei bambini". Di loro restano disegni, poesie, giochi. E' qui che il Comitato regionale per l'affermazione dei valori della Resistenza ha deciso di portare gli studenti del Piemonte. Arrivano dalle scuole della provincia di Torino (Steiner, Guarini Ferraris, Porro, Porporato, Casale); di Cuneo (Govone ed Einaudi); di Novara (Antonelli e Fermi); di Vercelli (Lagrangia e Stampa); di Alessandria (Ciampini, Ottolenghi, Palli); di Biella (Avogadro); del Vco (Galois e Marconi); di Asti (Alfieri e Galilei). "Un viaggio a contatto diretto con i testimoni. Il Piemonte è l'unica Regione ad avere un simile programma", spiegano Andrea Foco, presidente del Comitato e il consigliere Agostino Gatti. Con i ragazzi i rappresentanti dell'Associazione nazionale ex deportati (Berruto, Bigo e Albino Moret) e dell'Associazione nazionale ex internati (Romolo Barisonzo). Nessuno è stato a Terezin ma i loro racconti (la Regione dovrebbe garantire la conservazione nel tempo di questa tradizione orale) stimolano i ragazzi. Antonella di Arona esalta "il coraggio della testimonianza". Replica Barisonzo: "Forse abbiamo sbagliato una cosa: una volta tornati a casa non abbiamo rivendicato nulla". E a Riccardo di Osasco che chiede: "Si può perdonare?", Albino Moret, uno dei 1660 militari finiti nel lager di Dora a fabbricare le V2, risponde: "L'ufficiale e i 7 del plotone di esecuzione che fucilarono 50 miei compagni non potrò mai perdonarli". (da "La Stampa" |
![]() |
![]() |
![]() |