Il commmiato di Tullia Zevi

 

Signor presidente della Repubblica, la sua presenza qui oggi conferma una costante attenzione verso tutte le componenti in cui si articola la società italiana: componenti grandi e piccole,maggioritarie e minoritarie, civili e religiose. Un'attenzione e una vigilanza che si traducono in sicuro punto di riferimento quando emergano situazioni difficili o incerte. Ricordo il suo accorrere presso di noi nella nostra sede, ad esprimere orrore e cordoglio, nel giorno dell'assassinio del primo ministro di Israele Yitzhak Rabin, il soldato valoroso e l'uomo di pace che compì il gesto rivoluzionario di tendere la mano a Yasser Arafat. Possano la fiducia e le speranze che egli riponeva nella coesistenza con i popoli vicini realizzarsi. Ricordo, signor presidente, l'udienza al Quirinale ai rappresentanti dell'Associazione nazionale ex deportati e della nostra Unione all'indomani della sentenza dell'ex capitano delle SS Erich Priebke emessa l'estate scorsa dal Tribunale militare di Roma. Sollevò un'ondata di delusione, ira, e dolore fra i familiari dei martiri delle Fosse Ardeatine, che solo la successiva sentenza in Appello, che sanci l'imprescrivibilità dei crimini contro l'umanità, riuscì a lenire.
Signor presidente, la sua presenza qui oggi costituisce anche un momento di dialogo, un'occasione che ci consente di accennare ad alcuni temi che reputiamo importanti per le nostre Comunità e per il nostro Paese nel suo insieme. Il governo e il Parlamento hanno attuato una serie di provvedimenti aventi effetti positivi sulla nostra vita comunitaria. Desidero pertanto esprimere vivo apprezzamento per l'interesse manifestato nel recepire le nostre richieste e per la tempestività con cui sono state accolte.
Fra le disposizioni di maggior rilievo vorrei qui ricordare:

- l'approvazione della legge di modifica della nostra intesa che consente la partecipazione di questa Unione alla ripartizione dell'otto per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche;
- l'assunzione a carico dello Stato dell'onere relativo ai benefici degli ex-deportati e perseguitati razziali dipendenti dell'Unione, delle Comunità e degli Enti ebraici.
E' questo un atto di sostanziale giustizia reso alla collettività ebraica, esonerandola dall'assurdo onere di dover provvedere essa stessa ai benefici riconosciuti ai perseguitati razziali;
- la consegna all'Unione da parte del ministero del Tesoro sulla base di una apposita legge, delle "bisacce" custodite presso la Tesoreria dello Stato dopo decenni di fortunose peregrinazioni. Contengono beni trafugati ad ebrei deportati dal nord-est dell'Italia, che verranno affidati alla Comunità di Trieste. Chi ha partecipato alla cerimonia della consegna, non dimenticherà le parole dense di profonda umanità pronunciate dal ministro del Tesoro Ciampi.
Con la manifesta volontà di fare chiarezza e ammenda per le infamie commesse a seguito delle leggi razziali e delle persecuzioni nazifasciste, il ministro del Tesoro ha proposto alla presidenza del Consiglio di istituire una commissione ministeriale di inchiesta, analoga a quelle già operanti in numerosi Paesi europei, la quale indaghi e ricostruisca le vicende delle spoliazioni dei beni appartenenti a cittadini ebrei nel periodo che va dal 1938 al 1945.
E' stata inoltre comunicata l'intenzione del governo di stanziare un contributo al Fondo internazionale per i risarcimenti alle vittime della Shoa, e per la promozione di iniziative umanitarie e sociali. Più che il valore materiale di quanto verrà reperito e stanziato, vale il significato morale della volontà di far luce e giustizia su eventi carichi di violenza e di iniquità. Vorrei inoltre menzionare la proposta di legge presentata da oltre 50 senatori, attualmente all'esame della commissione Affari Costituzionali del Senato. Vi si propone di destinare a "Giorno della memoria" il 27 gennaio, data della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, un giorno dedicato a tutte le vittime del nazifascismo. Il testo della legge prevede momenti di approfondimento e di riflessione nelle scuole, anche in attuazione del programma del ministero della Pubblica istruzione di potenziare lo studio della storia del Novecento.
Alla memoria del passato si affianca il futuro, ed è nella famiglia e nella scuola che si preparano i giovani al futuro. Lo scorso 30 maggio, circa 300.000 aderenti ai 56 movimenti ecclesiali cattolici di tutto il mondo sono confluiti verso Piazza San Pietro, felici e fieri di essere uniti sotto la guida di un Pontefice dalla concezione grandiosa della loro fede. Nelle stesse ore, in un'altra piazza di Roma circa 30.000 insegnanti, scolari e genitori esprimevano la loro preoccupazione per le prevedibili conseguenze che l'istituzione di un regime di parità fra scuola pubblica e scuola privata avrà sul sistema scolastico pubblico. Tanto più se non dovesse venir predisposto anche un piano di rilancio organizzativo e finanziario che consenta alla scuola pubblica di rimanere l'asse portante della formazione dei giovani.
Il pericolo è che la scuola pubblica diventi solo il rifugio dei non-abbienti, lasciando il compito di creare le nuove classi dirigenti alle scuole private. E' un problema questo ampiamente dibattuto anche nelle nostre Comunità. La scuola pubblica è anche il principale luogo formativo e aggregativo dei neo-immigrati. Deve perciò potenziare il suo carattere di "casa comune", ossia laica a-confessionale e pluralista, in cui ogni alunno, qualunque sia la sua origine, si senta a proprio agio in un ambito inter-culturale.
Inter-culturalità significa dialogo, e dialogo implica dialogo inter-religioso. Un dialogo in cui ciascuno riconosca la specifica identità, la pari dignità e la piena legittimità della religione dell'altro. Il dialogo ebraico-cristiano procede con serietà ed impegno, anche se, inevitabilmente, permangono resistenze negative. Ringrazio per la loro presenza i rappresentanti delle Chiese evangeliche della Commissione della Santa Sede per i rapporti con l'Ebraismo, della Comunità di Sant'Egidio, delle associazioni di amicizia ebraico-cristiana. Abbiamo accolto con grande attenzione sia il recente documento del Vaticano dal titolo "Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoà", sia le forti parole di Giovanni Paolo Il durante la processione del Venerdi Santo di quest'anno, sia la lettera rivolta agli ebrei italiani da Monsignor Chiaretti, presidente della commissione per l'ecumenismo e il dialogo della Cei (che tutto l'episcopato italiano ha fatto propria nella sua recente assemblea nazionale). Sono momenti significativi nel processo di revisione e di condanna di secolari pregiudizi, emarginazioni e soprusi antiebraici, iniziato con
Giovanni XXIII e con il documento Conciliare "Nostra Aetate". Ebrei e cristiani non possono mancare all'appuntamento con un terzo interlocutore, con l'Islam, in forte crescita in Europa. Rivolgo un saluto cordiale all'Ambasciatore Mario Scialoja, direttore generale del Centro islamico culturale d'Italia. Occorre rifiutare pericolose generalizzazioni, e saper distinguere gli immigrati di fede musulmana venuti a vivere e a lavorare fra noi dai seguaci dei movimenti eversivi del fondamentalismo islamico. Desidero esprimere il nostro vivo apprezzamento al ministro dell'Interno ed al capo della Polizia per la vigile attenzione delle forze dell'ordine a tutela della sicurezza e dell'incolumità delle nostre istituzioni. Ringrazio il prefetto Masone per la sua presenza qui oggi.
Vorrei concludere con un veloce sguardo sull'Europa ed il suo futuro. Gli Stati nazionali, dopo essersi per secoli combattuti e dilaniati hanno iniziato un processo di integrazione. E' un cammino prevedibilmente irreversibile, che avanza fra entusiasmi, come quello suscitato dalla nascita dell'Euro, e timori. Timori generati dall'affluire in parte incontrollabile di immigrati e profughi dall'Est e dal Sud del mondo in cerca di una vita migliore, dall'alto tasso di disoccupazione, dal disagio sociale, e dalle manifestazioni di razzismo e xenofobia che ne derivano. E' pericolosa la tentazione, o meglio l'illusione, che l'Europa possa rinchiudersi come in una fortezza optilenta, dimenticando gli enormi doveri che abbiamo verso il cosiddetto Terzo Mondo.
La fame, l'indigenza, le malattie dei diseredati sono forse la sfida più seria che il nostro continente deve affrontare per la sua stessa salvaguardia. Perché oggi, in un mondo globalizzato, i problemi degli altri diventano subito problemi nostri. Tutte le componenti politiche, sociali, culturali, civili e religiose della società, e fra esse le Comunità ebraiche, devono edificare insieme un'Europa non solo della moneta e dei mercati, ma dell'etica, dei diritti e dei doveri. Un'Europa in cui ognuno di noi deve fare la propria parte - come insegnano i nostri Maestri e come ripetiamo nelle nostre preghiere - per il Tikkun ha-olan, per la guarigione del mondo.