Un appello del professorFederico Cereja, storico di Torino

Chi ancora non l'ha fatto,
racconti: è il momento

Le testimonianze costituiscono una fonte fondamentale della ricerca storica.
Anche il convegno di Salsomaggiore su Dora lo ha dimostrato

Il convegno di ottobre di Salsomaggiore mi induce a fare una serie di riflessioni sui problemi inerenti alla deportazione e al suo stdio, tra storia e memoria. E' stato particolarmente utile dedicare un convegno, ricco di spunti, a uno dei campi meno ricordati come quello di Dora, a conferma di come la "galassia concentrazionaria", per riprendere una definizione da me proposta anni fa, sia ancora da indagare. Occasioni come questa portano inevitabilmente a fare dei bilanci, a cercare di chiarire i percorsi fatti e soprattutto le strade o i sentieri ancora da analizzare e ricostruire.
Una considerazione mi pare di primaria importanza: vi è stata una direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione che ha imposto di incentrare lo studio della storia nell'ultimo anno delle scuole sul periodo del Novecento. Vari possono essere i giudizi ma è indubbio che un "Evento" come quello della deportazione non può non diventare centrale nella riflessione. Il problema è però complesso, perché delimitare i programmi allo studio del Novecento vuol dire spostare l'asse di interesse. Non più storia italiana e neppure europea, ma storia mondiale con infinite implicazioni e anche rischi di omologazione di fenomeni diversi. Questo secolo ha conosciuto vicende particolarmente tragiche, e la deportazione e il genocidio sono episodi ricorrenti in forme diverse. Negli ultimi anni è stata coniata l'aberrante definizione di "pulizia etnica". I fenomeni storici, tutti, hanno una caratteristica, di essere "singolari", legati a particolari momenti, con loro proprie peculiarità, che mai egualmente si ripetono. Riconoscere e riaffermare la specificità e l'unicità del disegno del nazismo, mi pare importante per evitare sovrapposizioni e confusioni con altri eventi, assolutamente importanti ma che hanno diverse motivazioni, anche variegate, e spesso tragiche soluzioni. L'allargamento ad un panorama mondiale non deve stravolgere questa storia dei KZ.
Per quel che riguarda l'impegno delle sezioni dell'Aned nei viaggi di studio, con l'apporto e il sostegno degli enti locali, mi pare che i risultati siano assolutamente positivi, come anche il costante e assiduo intervento nelle scuole, con incontri coi testimoni. La conoscenza dei luoghi modifica ogni idea che un giovane, ma anche un insegnante poteva essersi fatto: salire alla fortezza di Mauthausen, scendere per la scala di pietra, entrare ad Auschwitz-Birkenau, vedere le tracce delle baracche a Dachau o a Sachsenhausen, confrontarsi con le "dimensioni" dei campi è un momento di arricchimento indispensabile. Molte sezioni Aned si sono impegnate da anni in questo senso e credo che l'esperienza dei viaggi lasci una traccia indelebile, come le innumerevoli relazioni dei ragazzi che vi hanno partecipato confermano.
Alle volte vi è un eccessivo entusiasmo: vorrei ricordare il pensiero di Primo Levi, che poteva a buon diritto presentarsi come storico, ma sempre rifiutò questa responsabilità, che diceva: noi deportati dobbiamo essere testimoni di ciò che abbiamo visto e vissuto. La ricostruzione del periodo e le ragioni profonde degli avvenimenti spettano agli storici. I ruoli sono e debbono essere diversi: il protagonista, che è testimone della sua vicenda, lo storico che ricostruisce il quadro generale e complessivo e cerca di comprendere cosa è stato, sapendo che mai potrà conoscere.
La ricerca storica è continuata, vi sono archivi, e le stesse sezioni Aned si sono impegnate in modo puntualissimo e penso per esempio ai contributi sugli scioperi della fabbriche del Centro-Nord. Importanti lavori sono rimasti, come dire, sommersi e non li si conosce appieno, ma molti dei deportati hanno lavorato, ritrovato dati decisivi per una ricostruzione di ciò che è stato. Credo che sia possibile recuperare e condurre ad unità una serie di memorie che ci permettano di tracciare una storia della deportazione, non certo unitaria (non la credo possibile), ma fatta con contributi diversi, sfaccettati e significativi, come è stata la storia di ognuno di voi. Ogni volta che ho occasione di incontrarvi, mi sorprende la ricchezza di testimonianza. Oggi mi preme raccogliere la voce di chi non ha ancora parlato e recuperare ciò che è stato scritto, in manoscritti personali e non pubblicati, in articoli sui giornali o fogli locali, in anni magari lontani, subito dopo il ritorno, in libri di diffusione provinciale, per me difficilmente reperibili. Vi chiedo di segnalarmi tutto ciò di cui avete conoscenza, perché le varie voci e testimonianze non rimangano quasi sconosciute e affidate a brevi importantissimi ricordi del ritorno. Il convegno di Salsomaggiore e le ricerche per la storia dell'Aned, a cui avete risposto in modo intenso e straordinario, mi assicurano che la storia dei deportati potrà essere narrata, sia storicamente che con puntuali riscontri. Cercare di ricostruire questo "evento" unico, difficile e complesso ritengo sia una vostra testimonianza per i compagni scomparsi e una lezione per i giovani, per conoscere e perché, come molti di voi dicono giustamente: Mai più.

Federico Cereja

 

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