"Ebrei tra leggi razziste e deportazioni", di Cinzia Villani

Così anche il fascismo si scoprì antisemita

 

Il volume, ricco di riproduzioni di documenti dell'epoca, ricostruisce l'escalation" della persecuzione degli ebrei nelle province di Bolzano, Trento e Belluno.

Ho sempre ammirato la pazienza certosina di certi ricercatori capaci di scandagliare nelle più strane biblioteche, in polverosi archivi, nelle pagine di vecchi giornali oramai ingiallite per trovare quella particolare spesso sconosciuta informazione che è il pallino dal quale non demordono e dal quale riescono talvolta a scovare notizie sorprendenti.
Se poi a questa maniacale ossessione del documento si aggiunge la capacità (e la fortuna) di scovare addirittura superstiti, testimoni oculari di avvenimenti oramai sepolti sotto decenni di dimenticanza, la mia ammirazione diventa smisurata e colma di una grande, sincera gratitudine. Dico questo riferendomi al libro di Cinzia Villani intitolato Ebrei tra leggi razziste e deportazioni nelle province di Bolzano, Trento e Belluno, edito dalla Società di Studi Trentini e Scienze storiche, Trento 1996, pagg. 221. Questo bel volume, ricco di riproduzioni di documenti rende comprensibile lo strano clima nel quale prefetti, questori e podestà dei Comuni dell'Alto Adige, del Trentino e del Bellunese si sono trovati a gestire le ambigue direttive del governo centrale fascista in materia di persecuzione degli ebrei, contestualmente all'opzione che cittadini italiani di quelle zone potevano esercitare decidendo di trasferirsi nel Terzo Reich, paradiso da essi sognato che, però, doveva dare loro anche qualche delusione. Il sovrapporsi di questi due problemi, in aggiunta alle molte difficoltà della vita quotidiana appestata dalla fanatica mania dell'italianizzazione forzata a tutti i livelli, ha fatto sì che, in quelle tre province, anche la persecuzione degli ebrei assumesse talvolta forme a dir poco tragicomiche.
Quando, tre mesi dopo aver conquistato il potere, i nazisti organizzarono il grande boicottaggio dei negozi e degli studi professionali degli ebrei, molti tra questi capirono che la vita in Germania sarebbe stata impossibile e decisero di emigrare. Alcuni scelsero di stabilirsi a Merano, sia per la mitezza del suo clima sia perché la lingua tedesca vi era correntemente parlata. Gente tranquilla e benestante che beneficiò di buona accoglienza. La polizia fascista non ebbe difficoltà ad accordare loro permessi di soggiorno e, talvolta anche di attività d'ogni genere.
Poi, quando l'Italia subì le sanzioni delle Nazioni Unite a causa dell'aggressione all'Abissinia e, poco dopo, fu a fianco dei nazisti aiutando Franco nella guerra di Spagna, le relazioni fra le due dittature divennero progressivamente più strette.
Superato lo scoglio dell'annessione dell'Austria, l'amicizia consentì alla Gestapo di piazzare ben 22 suoi uomini nelle questure italiane in qualità di consiglieri, dando così inizio alla collaborazione fra le due polizie, la nazista e la fascista. Ai nazisti ovviamente la presenza degli emigrati tedeschi in Italia, in gran parte ebrei, non piaceva, e dietro loro insistenza la polizia fascista cominciò ad interessarsi di loro.
Per la prima volta nei rapporti della burocrazia fascista apparve la parola "israelita". Gli esuli tedeschi erano tenuti d'occhio, con molta discrezione, non davano fastidio e non vennero infastiditi.
Il 16 febbraio 1938 "Informazione diplomatica" pubblicava una dichiarazione del governo di "non avere assolutamente intenzione di adottare misure politiche economiche o morali contrarie agli ebrei in quanto tali".
Lo sconcerto fu grande in Italia e all'estero. Non si capiva a che cosa preludesse o mirasse quell'inattesa presa di posizione. Il 14 luglio il foglio d'ordine del Pnf riportava un manifesto redatto da un gruppo di scienziati per sottolineare l'arianità del popolo italiano nonchè la necessità che gli italiani si proclamassero francamente razzisti.
Contestualmente viene orchestrata una campagna di stampa sempre più violenta che preludeva alla "Dichiarazione sulla razza" che il Gran Consiglio del fascismo rilasciò il 6 ottobre. Seguirono a ruota provvedimenti legislativi che ernarginavano gli ebrei italiani dalla società civile. Naturalmente gli stranieri soggiornanti sul territorio nazionale furono esortati ad andarsene, se non volevano essere internati o espulsi. Di punto in bianco anche il fascismo si scopriva antisemita. La burocrazia, che doveva applicare le leggi, maldestramente tallonata dal partito, irritata dalle arroganti intrusioni dei nazisti, spesso non sapeva che pesci pigliare. La propaganda ufficiale, avvertendo il disagio dell'opinione pubblica, si sforzava di dimostrare l'ineluttabilità e l'importanza dell'azione. Ma estromettere dal tessuto di una popolazione persone che da anni di tranquilla convivenza vi erano profondamente radicate, non era facile. Nel bene e nel male la persecuzione procedeva. Dopo l'8 settembre 1943 con l'annessione delle tre province, incorporate nell'Alperivorland retto da un Gauleiter nazista, la situazione è precipitata.
Gli altoatesini optanti per il Terzo Reich furono indotti ad andarsene al più presto. Quelli che rimanevano furono precettati nelle forze armate naziste. Agli ebrei pensava la Gestapo. Già il 16 settembre 1943 venne effettuata una razzia a Merano, da dove parti il primo trasporto in assoluto di ebrei verso ignota destinazione. Le statistiche e la lista delle vittime, che concludono questa importante ricerca, attestano, se ce ne fosse bisogno, l'infamia della persecuzione degli ebrei in Italia.

Teo Ducci