"Cosa avvenne a Dachau", di Johannes Neuhäusler |
Il sorprendente strabismo del vescovo ausiliare |
Tradotto in italiano un testo tanto noto quanto incredibilmente infarcito di imprecisioni. Una puntuale messa a punto di Giovanni Melodia. |
Tradotto dal tedesco in inglese e in francese
e poi anche in italiano, il libro (75 pagine) ha titolo e sottotitolo
promettenti e suggestivi: Cosa avvenne
a Dachau? Un tentativo di avvicinarsi alla verità. E'stato
scritto dal dottor Johannes Neuhäusler, ex deportato a Dachau e
vescovo ausiliare di Monaco di Baviera.
Nato nel gennaio del 1888 l'autore aveva quindi 53 anni quando, nel
luglio del 1941, venne internato a Dachau, ma, a causa dell'alta carica
ecclesiastica che ricopriva, non finì in una delle due baracche
riservate ai sacerdoti ma nel cosiddetto
Bunker, e cioè la prigione interna al recinto, riservata
ai personaggi di un certo rilievo, che avrebbero potuto essere oggetto
di scambio o di ricatto. Egli era pertanto "completamente separato dal
campo comune", come precisa lui stesso (pag. 3), e tuttavia sente come
suo imprescindibile dovere quello di raccogliere ogni possibile testimonianza
su quanto accadeva là dove il suo sguardo non poteva arrivare,
informazioni in base alle quali ci fa una descrizione del Lager che
però risulta non del tutto coincidente con quella di altri
diretti testimoni.
Scrive egli infatti (pag. 9): "Nella cantina bar delle SS diretta dai
prigionicri si potevano comperare sigarette e talvolta anche alimentari
come ad esempio: marmellata di rape, paste di avena, cetrioli conservati
in aceto di legno, lumache, ecc., tutto molto caro e spesso neppure
buono, ma ugualmente divorato dagli affamati prigionieri", rivelando
così di non sapere che tutto questo finì nei primi mesi
del 1943, e cioè ancora prima che giungessero a Dachau i primi
gruppi di prigionieri italiani. Dai deportati
"anziani" venimmo via via a sapere che qualche volta era accaduto che
familiari di deportati inviassero ai loro congiunti somme di denaro,
nella speranza che potessero servire ad alleviarne le condizioni, denaro
che però non venne mai consegnato al destinatario ma registrato
a parte, su un conto dal quale venivano defalcate, ai prezzi esosi stabiliti
dal comando SS del campo, gli acquisti effettuati nella cantina.
Per sfruttare meglio il prigioniero, le insaziabili
SS arrivarono ad imporre beffardi abbinamenti dei generi di prima
necessità
con profumi francesi frutto delle loro rapine, o con pettini e lozioni
per capelli, di nessuna utilità per i reclusi, sistematicamente
rapati a zero. (1)
Comunque, nel periodo del quale noi italiani possiamo parlare per esperienza
diretta, l'unica "carta-moneta" esistente nel campo era costituita dai
cosiddetti Präminscheine, dei
"biglietti -premio" appunto, destinati ai Kapos più efficienti
nel senso che sappiamo, ai loro odiosi collaboratori ed ai prigionieri-lavoratori
più zelanti. Di tutto questo il Neuhäusler mostra di non
sapere niente, come se quanto elenca fosse sempre stato a disposizione
dei deportati, mentre, proprio da quella metà del 1943, nella
cosiddetta cantina non c'era quasi più nulla da acquistare, salvo
le sigarette che divennero così merce di scambio fra deportati:
tot sigarette cioè, per una mezza fetta del grigiastro, acidulo
pane del Lager. Nella pagina successiva
il nostro autore cade in un'altra non trascurabile imprecisione. Scrive
infatti che "nella segreteria veniva pure distribuita la posta per i
vari blocchi", non specificando -probabilmente perché i suoi
informatoti non gliel'hanno detto,(ma è
strano perché tutti lo sapevano) - che la posta non venne mai
concessa ai sovietici e poi agli italiani, mentre potevano usufruirne
francesi, belgi, cecoslovacchi, polacchi, ecc.
Erano discriminazioni che le SS mettevano in atto per rendere più
ardui i rapporti fra le varie nazionalità. (2)
Ancor più difficile da giustificare
è la tabella riportata a pag. 14 nella quale sono riportati i
dati di affollamento delle baracche contrassegnate con i numeri pari,
ma vengono completamente ignorate - come se non esistessero - le baracche
con la numerazione dispari, quelle cioè
della quarantena per i nuovi arrivati e quelle di punizione,
nelle quali imperversavano i Kapos più sadici e brutali, scelti
apposta per far capire
a tutti loro e da subito, che cosa li aspettava, e far pagare carissimo
ai puniti le loro infrazioni. Sempre da quel lato dispari erano anche
le baracche dei tbc, anch'esse super affollate e dalle quali nessuno
mai è uscito vivo, così come dalla baracca 5, dispari
dunque, degli atroci esperimenti pseudo scientifici, eseguiti sempre
senza anestesia. Un'altra affermazione
che non può non stupire la troviamo a pag. 16, nella quale si
afferma che il comandante Weiss "abolì pure l'uso di rapare i
prigionieri. Era subentrato l'uso di tagliare loro una striscia di capelli
in mezzo alla testa, ancora più corta, la cosiddetta stradina".
Chi non sia stato deportato a Dachau,
leggendo quella frase è portato a pensare che quella (che noi
chiamavamo Strasse) fosse stata
irnposta a tutti i prigionieri, cosa non vera. Essa caratterizzò
invece soltanto i russi e successivarnente gli italiani e voleva essere,
nelle intenzioni dei nazisti, il "solco dell'ignominia", per additarci
al disprezzo degli altri prigionieri; una indicazione che purtroppo
non fu priva di dolorose conseguenze. (3)
Quando il libretto 77 pagine, del Neuhäusler
venne pubblicato (1960), erano passati quindici anni dalla liberazione
dei Lager e già parecchie testimonianze erano state rese pubbliche,
fra le quali quella di un fervido seguace di De Gaulle, nonché
religiosissimo, Edmond Michelet, dirigente dei deportati francesi a
Dachau, il quale, nonostante il più volte esibito "spirito cristiano",
nel suo Rue de la Libertè,
così si esprime a proposito dei prigionieri italiani e
della Strasse: "Le dédain général qui entourait
les Italiens, faisait contraste avee la considération dont jouissait
l'autre soeur latine". ( ... ) Agli italiani "les Alleniands avaient
imposé la strasse au milieu de la téte, comme aux Russes,
et cette humiliante tonsure, qui leur coupait la chevelure en deux,
accentuait encore leur aspect
de bagnards et les rendait grotesques. Par la suite, des milliers dautres
Italiens vinrent nous rejoindre; c'étaient dans l'ensemble de
pauvres bougres qui ne comprenaient rien à ce qui leur arrivait
et mouraient comme des mouches".
Le altezzose e soddisfatte affermazioni del Michelet, e altre e altre
dello stesso tono, si trovano nel suo libro alle pagg. 83 e 84 (ma anche
altrove), libro che Neuhäusler conosce bene, tanto che lo cita
più volte (pagg. 54, 55, 56, ecc.). Una conoscenza che non gli
impedisce di ignorare l'imposizione discriminatoria e persecutoria della
mille volte maledetta Strasse. (4)
Un'altra strana lacuna si trova a pag.
33, dove ricorda che il generale Delestraint "venne fucilato assieme
ad altri tre prigionieri francesi e undici cecoslovacchi", ma sul fatto
che in quella stessa data (14.11,1944) tre italiani (Giovanni Ferraiolo,
Antonio Gastriotto e Luigi Boselli) fecero la medesima fine, e con loro
anche il capitano Samuel Barda, israeliano (ma in realtà era
l'italiano Enzo Sereni) non spende una sola parola.
A pag. 41 e seguenti parla di "caffè", senza dire agli
ignari che si trattava in realtà di un infuso d'erbe, coltivate
nel grande orto annesso al Lager; e poi di "armadietti da tenere in
ordine", arirnadietti che nelle baracche dispari non c'erano - o non
c'erano più - per motivi di spazio, dato l'enorme affollamento,
ma anche perché, tanto, il prigioniero non aveva nulla da mettervi,
e poi di "pagliericci buttati in strada per punizione", ma noi delle
baracche dispari quei pagliericci non li abbiamo visti mai, sui cosiddetti
"castelli" non ce n'erano più da un pezzo, si dormiva sul nudo
tavolato e il posto non era mai lo stesso.
Poco dopo confonde la lavanderia con il locale delle docce e, quando
affronta il problema degli esperimenti sulle cavie umane, dice che in
quelli di raffreddamento prolungato, la
temperatura del corpo umano, nei soggetti
sottoposti all'orribile prova, veniva fatta scendere a 27 gradi
sotto lo zero, mentre "non appena col
raffreddamento si raggiungevano i 28 gradi sopra lo zero, il
paziente moriva invariabilmente", come affermano, con l'autorevolezza
che viene loro dalla mole di documenti attentamente esaminati e dagli
atti del processo ai medici, Mitscherfich e Melke, nel loro Medizin
olme Menschlichkeit, edito a Francoforte sul Meno già nel
1949. (5)
Ce ne sono altre e altre di inesattezze e lacune, fra le quali il silenzio
sui comitati nazionali e su quello internazionale, dei quali non dice
mai nulla, cosii come non si parla mai, né nel bene né
nel male, degli italiani, come invece ha fatto il Michelet, il cui "spirito
cristiano" ci piace raffrontare con quello di padre Giannantonio Agosti,
nel cui Nei Lager vinse la bontà
(la sua), non trovi mai una parola di biasimo per alcuno, ma soltanto
una grande umiltà e amore per il prossimo. (6)
Tornando ora, per chiudere, al Neuhäusler,
non si può non chiedersi se furono i "testimoni diretti" da lui
incaricati di informarlo su quanto era accaduto nel Lager a fornirgli
notizie approssimative e limitate, o se fu lui a non sapere interpretare
correttamente quanto riferitogli su fatti che, comunque, si erano svolti
quindici anni prima e che già sfumavano e si confondevano nella
memoria di alcuni. Comunque la sua buona
volontà e la fondamentale buona
fede non sono in discussione (e la sua maniera di porgere al
lettore queste memorie, senza enfasi e senza demonizzare nessuna categoria
di prigionieri lo dimostrano). Non si può ad ogni modo non rilevare
che è forse mancato un suo attento e critico raffronto tra quanto
gli veniva detto e quanto affermato nei vari testi di cui già
allora poteva ampiamente disporre.
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Note
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1 - E. Siegrist,
Dachau: dimenticare sarebbe una colpa,
Genova, ottobre 1945, alle pagg. 32, 35; P. Berben, Dachau: 1943-1945,
Bruxelles, 1968, pagg. 61, 68, 69.
2 - Siegrist, pagg. 62, 63, 64; Berben, pagg. 73, 74. Le discriminazioni per la posta si univano a quelle per i pacchi viveri che ai russi e agli italiani non fu mai consentito ricevere. v. ancora Siegrist, alle pagg. 92, 105, 140, 141, 142,149. 3 - E. Michelet, Rue de la Liberté, Paris, éd. du Seuil 1956, a pag. 155. 4 - Dopo la liberazione il Michelet pretendeva che alla lingua, alla bandiera, all'alimentazione e ad ogni cosa che avesse attinenza coi i francesi, venisse data preminenza assoluta e privilegi esclusivi, provocando l'irritazione del comando americano, che gli minacciò sanzioni. (v. V Benz in Les cahiers de Dachau, alle pagg. 21, 22, 23, 24. E nello stesso libro: A. Haulot, pag. 135: Tes plus grosses difficultés nous sont venues du cóté frangais: indiscipline, orgueil forcené, incapacité des chefs, nationalisme outré, etc." Nonostante ciò, o forse proprio per questo, un vescovo francese ha proposto, all'apposita Commissione vaticana, il M. per l'inclusione nel novero dei beati, in attesa della santificazione... 5 - v. pag. 60 dell'edizione italiana. 6 - ed. Lux de Crux, Milano, giugno 1960. |