Gli eccezionali risultati di una ricerca guidata da Giuseppe Valota
Il prezzo degli scioperi a Sesto S.G.
Un paio di anni fa si conosceva solo la storia di 262 sestesi deportati nei campi in Germania, Austria e Polonia. Restano senza nome decine di operai arrestati alla Pirelli nel novembre del '44. La grande maggioranza prelevati in casa, di notte.

Nell'elenco delle fabbriche e dei mestieri la fotograria di un centro produttivo e di un lavoro operaio che non esistono più. Nella lista 12 donne e molti ragazzi. Tra gli altri, 7 ingegneri, 13 capisquadra, 5 artigiani, 3 ferrovieri e anche 2 guardie.

Premessa

Questo studio esce come anticipazione di un lavoro più complesso che doveva vedere la luce in occasione del 50° anniversario della Liberazione dell'Italia e dei campi di sterminio e che invece potrà essere pubblicato soltanto nei prossimi mesi. Esso è stato reso possibile per il concorso e la collaborazione di tanti, impossibile ricordarli tutti, che hanno a vario titolo collaborato con noi, a cui va il nostro sincero ringraziamento. Una segnalazione particolare è però doverosa nei confronti del signor Rodolfo Spadaro, per la collaborazione prestata nella consultazione dell'Archivio storico della Breda, della dott.ssa Viviana Rocco, dell'Archivio aziendale Pirelli, del sig. Giuseppe Vignati, dell'Istituto storico della Resistenza e del Movimento operaio di Sesto San Giovanni. Un ringraziamento va anche alla dott.ssa Gabriella Solaro, dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia di Milano, alla sig.a Maria Costa, dell'Archivio storico Di Vittorio di Sesto San Giovanni e, uno del tutto particolare, al "nostro" Italo Tibaldi, della Direzione nazionale dell'Aned, per i tanti dati forniti, e a Dino Bernardi e Marina Bassan del Comune di Sesto San Giovanni. Un pensiero affettuoso e riconoscente va al dottor Giacomo Bertazzoni, recentemente scomparso, che tanto ha voluto e sostenuto questa ricerca.


Introduzione

Questa ricerca sulla deportazione a Sesto San Giovanni è il frutto di un lavoro lungo e complesso, iniziato molti anni fa con la costituzione della sezione Aned della nostra città.
I deportati e i familiari si impegnarono a raccogliere documenti, dati e fotografie relative alla tragica realtà della deportazione sestese. Con il passare del tempo, assottigliandosi sempre più il numero dei testimoni diretti, la documentazione raccolta è venuta assumendo un'importanza vitale. In questi ultirmi anni però, anche stimolati dall'avvicinarsi del cinquantesimo anniversario della liberazione dei campi di sterminio, si è deciso di dare un ordine più sistematico al materiale raccolto negli anni, stimolando al contempo una più approfondita ricerca di ulteriori dati e testimonianze. Percorrendo questa strada abbiamo scoperto tanti nuovi dati che ci hanno permesso di fare ulteriore luce sulla deportazione sestese. Le notizie di cui disponevamo sono state a volte confermate, altre integrate, in qualche caso corrette. Abbiamo ricostruito tante vicende delle quali non si era saputo più nulla. Abbiamo dato un nome a tanti volti. Anche sul numero dei deportati ci stiamo faticosamente avvicinando alla verità. Quanti si sono avvicinati alla storia recente dì Sesto San Giovanni e hanno considerato il contributo che essa ha dato alla Resistenza ed il tributo di sangue e di dolore che tra le sue case e le sue fabbriche è stato versato indicavano in quasi 500 il numero dei deportati. Però questo numero non aveva ancora trovato una conferma oggettiva. Accanto alle ipotesi mancavano i volti, i nomi e i cognomi e la deportazione continuava ad essere avvolta in una nebbia che tardava a diradarsi e che il tempo rischiava di rendere sempre più fitta. Cosi, mentre soltanto un paio d'anni or sono avevamo ricostruito le vicende di 262 deportati, all'inizio del 1996 (vedi Triangolo Rosso n.1/1996) eravamo arrivati a 286. Oggi, alla fine del febbraio 1997, possiamo descrivere l'iter di 435 deportati che risiedevano o lavoravano a Sesto San Giovanni. Tuttavia, se pure oggi il quadro del nostro lavoro è indubbiamente molto avanzato, la nostra ricerca è ancora lontana dal considerarsi conclusa. Ci sono ancora molte tessere del mosaico da inserire, alcuni quesiti ancora da chiarire, altre vicende da interpretare. Prima tra tutti quella della "famosa" retata della Pirelli Bicocca del 23 novembre 1944. In quella occasione i nazisti arrestarono in fabbrica 183 lavoratori e 166 di questi, cinque giorni più tardi, vennero deportati in Germania, e almeno 3 di loro riuscirono ad evadere dai vagoni piombati. Allo stato attuale però non siamo stati ancora in grado di fare piena luce su questo "trasporto" e soltanto per altre vie abbiamo ricostruito le vicende, o parte di esse, di 56 di questi deportati. Soltanto quando sarà possibile venire a capo anche di questo episodio la ricerca della deportazione sestese potrà dirsi sostanzialmente conclusa.

I dati

Uno dei cardini della ricerca sono state le interviste ai deportati e ai loro famigliari, in tutto più di 130, raccolte su audiocassette, la cui trascrizione è in corso. Queste testimonianze hanno un valore insostituibile e rappresentano un patrimonio immenso di umanità e di verità su quegli anni drammatici. Ci sono ì ricordi dei deportati sopravvissuti, l'antifascismo, gli scioperi, l'arresto e il viaggio sui vagoni piombati. Poi l'arrivo nei Lager, il lavoro forzato, le umiliazioni, le percosse, la fame, la lotta per la sopravvivenza e la morte di tanti compagni. Infine la liberazione, il ritorno a casa e il tentativo di riprendere una vita normale. E ci sono poi le testimonianze dei famigliari. Il drammatico arresto, le peregrinazioni da un carcere all'altro alla ricerca di informazioni sulla sorte del congiunto, l'assenza, durata mesi o anni, di notizie certe, tranne quelle poche contenute in qualche biglietto miracolosamente recapitato. E i giorni della Liberazione, i giorni di festa per la ritrovata libertà diventano quelli della ricerca disperata dei propri cari. C'è la corsa tra gli ospedali, le stazioni, i centri di smistamento, le case dei primi rimpatriati con in mano la fotografia del familiare. C'è il riabbraccio con chi è tornato a casa, ma molto spesso c'è la scoperta della morte del marito, del figlio, del genitore. Ma, per quanto importantissmie, le testimonianze non erano sufficienti a ricostruire il fenomeno della deportazione. Essenziale per la nostra ricerca è stato quanto contenuto nella Gazzetta Ufficiale n. 130 del 22 maggio 1968 e successivi elenchi integrativi riferiti al Dpr 2043 del 6/10/63 relativo all'indennizzo del governo tedesco ai deportati sopravvissuti o ai familiari dei caduti. L'inoltro di queste domande ha procurato l'acquisizione di documenti storici, soprattutto quelli raccolti presso la Croce Rossa Internazionale di Arolsen, che sono poi rimasti depositati presso la nostra sezione. Utilissimi si sono dimostrati i documenti allegati alle domande per l'ottenimento dell'assegno vitalizio di cui alla legge 18.11.80 n. 791. Queste informazioni, integrate dalla consultazione sistematica di libri, memorie, giornali, pubblicazioni che si occupavano della deportazione, messe a confronto con un patrimonio di memoria orale che nella nostra realtà cittadina è ancora particolarmente significativo, hanno fornito la base per dare nuovi impulsi alla nostra ricerca. In questo ultimissimo periodo, la consultazione di alcuni archivi storici particolarmente importanti, come quelli della Breda e della Pirelli, i contatti con i musei di alcuni campi di sterminio che ci hanno fornito elenchi di deportati transitati per quei campi, schede personali, numeri di matricola, gli elenchi degli incarcerati di San Vittore, il rapporto e la collaborazione sistematica che ci è venuta dall'Isrmo di Sesto San Giovanni, hanno permesso di dare al nostro lavoro i suoi attuali contorni.

I criteri

Prima di ricercare quanti sono i deportati è necessario stabilire "chi è" il deportato. Noi, come per altro è abitualmente in uso, abbiamo considerato tali i deportati civili per questioni politiche o sindacali. Per il riconoscimento dei campi di concentrarnento "KZ" ci siamo avvalsi dell'elenco dei campi di concentramento tedeschi durante il periodo bellico in Europa (campi principali e dipendenti) elaborato dal Ministero del tesoro - Ufficio Perseguitati Politici in data 2 maggio 1960; e dell'elenco dei campi di concentramento pubblicato sulla Bundesgesetzblatt (Gazzetta Ufficiale tedesca) del 1977 e riportato sul libro Aned Ricerche - I campi di sterminio nazisti edito da Franco Angeli.

L'elenco

Dai dati attualmente (in data 24.2.1997) in nostro possesso risulta che i deportati sestesi furono 435, 12 dei quali donne. 216 non fecero più ritorno a casa e 219 riuscirono a sopravvivere. Naturalmente si trattava in larga parte di lavoratori delle tante fabbriche sestesi. Nomi che per un secolo hanno scandito la storia industriale d'Italia e che oggi sono spesso soltanto capannoni vuoti, aree dismesse, impianti arrugginiti da smantellare. Viene per prima la Breda, con le sue tante sezioni, che allora rappresentavano tante aziende autonome, con 185 deportati, 112 dei quali caduti. Ma ugualmente pesante è il tributo pagato dalle maestranze della Falck (93 deportati, 56 caduti e 37 sopravvissuti), come pure dalla Pirelli (114 deportati, 27 caduti e 87 sopravvissuti) e dalle tante altre grandi e piccole aziende sestesi. L'elenco dei Lager di destinazione è sterminato. Quasi in ognuno dei tanti "KZ" disseminati tra Austria, Germania e Polonia c'è traccia di qualche nostro concittadino. Nel nostro elenco abbiamo però considerato come luogo di destinazione quello nel quale il deportato è deceduto o è stato liberato. Il campo verso cui però ci fu il trasferimento più massiccio è quello di Mauthausen e relativi sottocampi. A Gusen, da allora indicato come "il cimitero degli italiani", vennero spediti a lavorare 125 sestesi, 94 dei quali vi trovarono la morte. 14, 10 dei quali caduti, finirono ad Ebensee; 19, tutti deceduti, nel macabro castello di Hartheim e 51 (38 caduti) nel campo principale di Mauthausen. Un Lager del quale sino ad ora si è sentito poco parlare è quello di Kahla, campo autonomo vicino ad Erfurt, nel quale sono stati deportati 23 lavoratori della Pirelli, 9 dei quali sono deceduti. Il resto è una diaspora sparsa per una cinquantina di campi di concentramento e di sterminio. Numerosissimi i "transport" che raccolsero i deportati. Anche se sono bastati tre trasporti - il Transport n. 34, che partì da Bergamo il 17 marzo 1944 per arrivare a Mauthausen il 20 marzo; il Transport 38, che parti ancora da Bergamo il 5 aprile 1944 e arrivò a Mauthausen l'8 aprile; e il Transport partito il 28 novembre 1944 da Milano (del quale siamo riusciti sinora a risalire soltanto a 56 nomi dei 166 partiti) - per inviare nei campi di sterminio ben 351 deportati sestesi. Come ciò avvenne è facilmente spiegabile. Dall'1 all'8 marzo si dispiegò un grande sciopero a seguito del quale la repressione fu durissima. 200 lavoratori furono arrestati e deportati. Particolarmente gravose furono le retate del 12, del 14 e del 28 marzo: decine e decine furono i lavoratori prelevati nella notte dalle proprie case, spediti nelle varie questure e carceri locali, poi a San Vittore, in seguito al carcere di Bergamo e infine caricati su un carro bestiame e deportati in Germania, quasi sempre senza un interrogatorio e senza un'accusa, se non quella di avere partecipato agli scioperi organizzati in fabbrica. Altrettanto pesante fu la retata della Pirelli del 23 novembre 1944, durante la quale all'interno dello stabilimento furono arrestati dai nazisti 183 lavoratori. Ma chi erano i deportati sestesi? Abbiamo già detto che erano in gran parte lavoratori delle fabbriche sestesi. In prevalenza operai, ma anche ingegneri (ben 7), impiegati, capi squadra, capi tecnici e manovali. Molti erano giovanissimi, ma la maggior parte aveva tra i 30 e i 40 anni. Un buon gruppo era addirittura più anziano e superava i 50 anni. 124 avevano casa a Sesto San Giovanni, ma più o meno altrettanti nell'immediato circondario, tra Milano, Monza e Cinisello Balsamo. Almeno la metà era nata in Lombardia e soprattutto in provincia di Milano. Consistente anche il numero di deportati proveniente da Veneto, Toscana e Emilia Romagna, tre regioni dalle quali era assai grande il flusso migratorio verso le fabbriche della nostra città. Significativo anche il luogo e le circostanze della cattura. Se in una prima fase era piuttosto diffuso l'arresto in fabbrica (poi ripreso con la grande retata della Pirelli del novembre '44), subito dopo si passò a forme più sicure e meno rischiose, andando a prelevare le persone da deportare direttamente presso l'abitazione, quasi sempre (oltre la metà dei casi conosciuti) di notte.