"Notte e nebbia - Racconto di Gusen" di Lodovico Barbiano di Belgiojoso

Poesia e realismo su quando "eravamo magazzini di dolore"

"Notte e nebbia - Racconto di Gusen"

Il nostro compagno e amico Lodo - Lodovico Barbiano di Belgiojoso - ha sentito «il dovere di testimoniare» con un prezioso piccolo libro di 120 pagine: Notte e Nebbia - Racconto di Gusen, Ugo Guanda editore, che si aggiunge all'ampia memorialistica sulla deportazione politica italiana.

Dopo un breve accenno alla cospirazione antifascista e all'arresto, le tappe della sua Odissea nella quale ci riconosciamo con diverse approssimazioni: San Vittore, Fossoli, Bolzano, Mauthausen, Gusen I la più lunga e crudele, Gunskirchen breve e conclusiva, ma non meno drammatica. Infine il rientro a Gusen dopo la liberazione e il rimpatrio. La rettitudine e la coerenza di Lodo nel rifiuto, a Gusen, di un posto migliore che avrebbe però comportato la sorveglianza dei compagni.

La narrazione delle vicende della prigionia non è soltanto cronistica, ma anche ricca di osservazioni molto profonde in una prosa poetica, intrisa di sapienza, che non è possibile riassumere e si possono trascrivere solo molto parzialmente. «Il campo era solo sofferenza. La sofferenza riempiva ogni spazio, come qualcosa di solido. La si coglieva nel fruscio lento di chi si muoveva trascinandosi, la si riconosceva nella voce e nei gesti, si trasmetteva agli oggetti, ai luoghi, al paesaggio». «Eravamo magazzini di dolo re che, concentrato entro i limiti del campo, si opponeva allo spazio infinito che si allargava al di là del muro. Una immensa concentrazione di sofferenza e, fuori, un mondo illimitato».

Queste le persone rinchiuse, questo l'ambiente in cui avvengono episodi di efferata crudeltà, dove la morte è la regola e la sopravvivenza l'eccezione. Belgiojoso in vari modi tenta di spiegare la sua salvezza, già nella profezia di Don Liggeri: «Si vede che non avevi bisogno di fuggire», a proposito del tentativo non riuscito di fuga a Fossoli. «Avevo scoperto in me, quasi fosse un patrimonio sepolto, un bagaglio segreto, la semplice essenziale arte di sopravvivere: un codice elementare, che imponeva di tesaurizzare tutto, di mettere tutto a frutto». «Disperatamente per tutto il tempo della prigionia, ho costretto me stesso a un gioco: conquistare la mia libertà anche in questa condizione servile. Tale sforzo, tale esercizio direi, mi ha sempre aiutato; e se penso alle ragioni della mia salvezza, attribuisco un'importanza cruciale alla caparbia volontà di affrontare le condizioni imposte come una formidabile sfida: "Mi volete fare questo?" mi dicevo, mi dicevo: "Benissimo! Ma io vi disprezzo, dentro di me vi disprezzo "». «... l'unica possibilità di salvezza era nella fantasia più sfrenata, nel gioco eccitato dell'immaginazione. Ero nudo a cavallo, con una spada in mano, come una statua equestre e comandavo: "Avanti, Avanti" a quegli esseri ripugnanti ridotti allo stato di vermi». Allude Belgiojoso alla descrizione che precede di un gruppo di prigionieri usciti bagnati dalla doccia all'aperto nel freddo invernale, stretti l'uno all'altro senza quasi confini: un'umana gelatina. «I prigionieri anziani raccontavano che una volta era ancora peggio perché c'era sempre qualche morto accoltellato. Per sopravvivere non bisognava avere né odi né rancori, non bisognava essere né creditori né debitori».

In un altro episodio - la cucitura di un bottone mancante - contribuisce alla dignità del prigioniero ed è quindi fattore di sopravvivenza. Difficile una sintesi dei motivi di sopravvivenza, sui quali gli ex deportati si interrogano, e così psicologi e saggisti, non dimenticando la preponderanza del caso,"la fortuna" e la morte sempre incombente.

La narrazione ha anche altri oggetti: episodi di inenarrabile crudeltà, episodi di altruismo, legami di amicizia e di solidarietà, casi di capi dotati di un minirno di comprensione.

Una irrealizzabile fantasia di Lodo: delimitare uno spazio tutto per sé chiuso da quattro mura che lo isoli dagli sconci rumori e dai mefitici odori del block.

Nei Lager ci sono anche dei momenti liberi in cui è possibile posare uno sguardo su «la calma degli Dei» (ricordo Magini, che poi accompagnò assieme a Maris Belgiojoso in Italia, recitare Valery a Gunskirchen)(pag.87).

Lo stravolgimento della condizione umana emerge con pietosa, amara, evidenza nel canto della prostituta:

... je n'aime personne, je hais tout le monde.

Ici tout m'étonne:

c'est l'ennemi qui m'embrasse,

c'est l'ami qui m'angoisse, les copains qui meurent defaim... (1).

Il canto strappa a Belgiojoso questo disperato commento: «La fame, ormai, non era più fame, il sonno non era più sonno, il gelo non era più gelo, l'arsura non era più arsura, i1 dolore non era più dolore. Nemmeno la morte era più morte». In conclusione, quella di Belgiojoso è una narrazione tanto realistica quanto poetica di un autore che già si era misurato valorosamente con la poesia: Come niente fosse, Edizioni del Leone. Disegni carichi di verità e di spontaneità accompagnano con eleganza e proprietà lo scritto.


(1) Amo nessuno

odio tutti

qui tutto è stravolto

il nemico mi abbraccia

l'amico mi angoscia

i compagni muoiono di fame

B.V.