Milano
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Come
è cambiato
da allora
il valore della
libertà
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Sono trascorsi cinquantuno
anni e ancora si parla di pacificazione. Ma basta! Non
si cambia la testa della gente. Nel 1943 avevo 18 anni
ed ero stato educato e cresciuto dal fascismo. Sono
stato fascista per ingenuità ed ignoranza. Scuola, cultura,
propaganda, informazione, stile di vita, tutto erafascista,
tutto era coinvolgimentofascista. Come potevo non esserlo?
Ma poi viene il tempo della maturità, delle cose che
si rivelano da sé, e sulle quali la riflessione si impone.
Che radici filosofichepoteva avere un regime che siproponeva
con gli slogan: "Libro e moschetto, fascista perfetto
"; "Credere, Obbedire, Combattere"; "Noi sogniamo l'Italia
Romana "; "Molti nemici, molto onore"? Come non potevano
aprirsi gli occhi a fronte di proposte che miravano
solo alla guerra e alle sue disgrazie? Le cose sono
poi andate come il buon senso dice che debbano andare:
la guerra perduta, lutti e rovine che, purtroppo, molti
non sanno e altri hanno dimenticato. E che dire del
dover tacere, della negazione della libertà di critica?
Nel 1943 ho scelto la libertà mentre altri hanno continuato
ad ubbidire alla logica dell'imporre alpopolo la "non
" libertà. Oggi leggo sui muri: "Nord libero " e nessuno
si rende conto di poter scrivere così perché "siamo
liberi ". Nel 1943, clandestinamente, si andava a scrivere
sui muri: "Italia libera " e il rischio era quello di
venirefucilati. Da tanta confusione non so se l'uomo
ne verrà fuori. A 18 anni ho scelto la libertà perché
la vita senza libertà non è vita.
Roberto Camerani,
ex Deportato Mauthausen -
Milano
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Pieve Emanuele (Milano)
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Il vostro impegno
valido presidio
contro l'assopirsi
delle coscienze
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Cari amici, ho letto con interesse
la documentazione da voi inviatami sui Lager nazisti.
Questa lettura è stata per me un'occasione di riflessione
sulla lezione drammatica, ma anche di inestimabile valore,
tramandataci dalla storia sull'abisso in cui l'umanità
ha rischiato di sprofondare inseguendo la folle ideologia
della supremazia razziale.
I vostri documenti parlano direttamente alla coscienza
della persona: ogni pagina è stata per me un forte richiamo
a non dimenticare.
Certo il confrontarsi con eventi tanto atroci è sempre
un'esperienza difficile: le pagine riservate al dottor
Mengele ed al campo di Mauthausen scuotono l'animo per
la loro crudezza ed assurdità; la lettura dei proclami
razzisti di Hitler provoca raccapriccio; la constatazione
di come le tesi razziste siano state legittimate anche
in Italia ferisce oltre che la persona, un'intera civiltà
erede di una tradizione millenaria, ma incapace di sottrarsi
ad un'avventura tanto vergognosa.
Dimenticare appare a molti una soluzione semplice e
comoda: allontanare il ricordo permette infatti di non
confrontarsi con un passato nel quale si riflettono gli
orrori di cui l'uomo è stato capace.
Ma dimenticare sarebbe un errore gravissimo; equivarrebbe
a rinunciare alla lezione della storia e, sostanzialmente,
a spianare la strada per un ritorno della barbarie. E
l'errore sarebbe tanto più grave ai giorni nostri, giorni
in cui dalla ex Jugoslavia ci giungono notizie di massacri
sistematici compiuti durante la guerra in nome della
"pulizia etnica" e dalla Germania ricomincia a soffiare
un vento xenofobo violento e carico d'odio che molti consensi
ha già riscosso in Francia ed in Italia.
Ecco allora che
l'attività di testimonianza e di affermazione dei valori
di libertà che la vostra associazione svolge in maniera
tanto utile ed efficace costituisce un valido presidio
contro l'assopirsi delle coscienze e della ragione.
Credo fermamente che
l'impegno a non dimenticare sia non solo un atto di rispetto
e di
sincera solidarietà che noi tutti dobbiamo a coloro
che del dramma della deportazione furono vittime dirette,
ma anche un valore fondamentale su cui fondare il futuro
della nostra società. Francesco
Penne Pieve Emanuele
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