"Dizionario dei Lager", di Oliver Lustig

Tragico vocabolario di morte quotidiana

Oliver Lustig fu deportato ad Auschwitz, con la madre e tre fratelli minori subito avviati alla camera a gas. Il padre fu assassinato a Mauthausen. Fu poi trasferito a Kaufering e liberato a Landsberg, sottocampo di Dachau. Nei campi ha perso, oltre ai nonni ed ai genitori, tre dei sei fratelli. Oggi vive a Bucarest ed è membro del Comitato internazionale di Dachau. Partendo da una considerazione e cioè che nei campi di sterminio furono elaborati fonemi del tutto nuovi ed originali rispetto ai linguaggi in uso nei paesi europei, Lustig ha raccontato la sua esperienza in un modo solo apparentemente banale, ricorrendo alla forma un poco scolastica del dizioriario. Con un risultato, al contrario, di assoluto impatto ed importanza. Da Alle haraus, prime parole che i deportati udivano al loro arrivo al campo, a Steri1isierungsprog, da Durch den kamin a Schweigen, da Kapo a Vergasung, da Haftlinge Zigeunerlager, a Aufstehen, a Revier, a Grunden, a Fehlt Einer, attraverso le tremende parole del Lager, Lustig racconta in un continuo senza requie alcuna, la vita - o meglio la morte quotidiana - che il campo proponeva. Episodi di rara tragicità che non escono da una rappresentazione epica, da un palcoscenico su cui si rappresenta una catarsi, bensi momenti di una programmata "soluzione finale" voluta da uomini (?) contro altri uomini, anzi sottouomini, a loro dire. .Tanti brevi capitoli per testimomare di una storia lunga quanto è insopportabile il dolore. Tanti capitoli che hanno per protagonisti tutti coloro cui non è più possibile raccontare.

A.P.

"Dizionario dei Lager" di Oliver Lustig La Nuova Italia L. 19.200 Ludano Baccari