Codice Sirio di
Ferruccio Maruffi è un libro di deportazione diverso da tutti
gli altri: il lettore viene introdotto nella realtà concentrazionaria
per mano, non in modo brusco, ma quasi con dolcezza. E' la storia di
Franco, in realtà lo stesso Ferruccio, deportato a Mauthausen
nel marzo del '44. Il libro inizia con una spiegazione indiretta del
titolo: "Un anziano del lager aveva detto al giovane recluso: - Cerca
nel firmamento una stella e contemplala, se ti sarà possibile
ogni volta che si farà buio. Il nome di quel lontano corpo celeste
diverrà il tuo codice segreto per comunicare idealmente con gli
uomini liberi che, nello stesso istante avranno la ventura, come te,
di osservarlo -. Il deportato accettò il suggerimento e scelse Sirio,
la stella più splendente del cielo boreale".
Questo "codice segreto" diventa il filo che lega tutti gli episodi descritti,
è ciò che permette a Franco e ai suoi compagni di mantenersi
uomini; è la dignità, l'amicizia, la fantasia e l'ironia,
è la certezza della necessità di dover tornare per raccontare,
per far sapere.
"E proprio nel campo di concentramento che il sistema nazista ha perso",
dice spesso Ferruccio; il nazismo non aveva fatto i conti con la grandezza
dell'animo umano. Il nazismo ha però dovuto fare i conti con questi
uomini che sono riusciti a tessere una rete di solidarietà e
di "ribellione", che non si esprimeva nell'odio e nella violenza, bensì
nei piccoli gesti quotidiani.
Ed è qui che si inserisce la fabbricazione di cucchiai, per non
dover mangiare la zuppaccia" direttamente dalla scodella. Anche questo
diventa un atto di ribellione: "D'altra parte in un campo di sterminio,
mangiare la brodaglia di rape con il cucchiaio è quasi come pranzare,
pur stando in piedi, in un ristorante alla moda. Tanto più che
il valore di questa posata, anche se di foggia primitiva, non è
soltanto quello di umanizzare il pasto dei reclusi, bensì di
dotarli di qualcosa di concreto che vada decisamente contro le regole
del lager che, si sa, pretende uomini indifesi di fronte alle infinite,
diversificate nefandezze. Pertanto i vari Mario, Giovanni, Beppe, Bruno
e gli inossidabili Marco e Emi, se lo portano in tasca il cucchiaio,
o lo celano in qualche modo, come se fosse l'arma segreta della loro
rivolta ideale. [ ...] Illudendosi che ad ogni futura cucchiaiata di
minestra, parta un colpo dritto al cuore del sistema".
Anche il "non odiare" è un modo per opporsi al sistema: "L'odio,
nel luogo che aveva più di ogni altro al mondo, la massima potenzialità
esplosiva, ben presto avrebbe annebbiato la mente di ciascun deportato,
diminuendo l'attenzione indispensabile per individuare i pericoli nascosti
dietro l'angolo, in ogni giorno o minuto, vissuto nel Lager. [ ... ]
L'odio è come la cocaina, in pace e in guerra, prima eccita,
poi spegne la volontà dell'uomo e non sarà certamente
questa sorta di droga a far sopravvivere nessuno di noi. [ ... ] Opporvisi
significava [-] operare contro l'organizzazione della violenza che quel
prodotto distribuiva gratis
Anche l'amicizia, la solidarietà e il fatto stesso di parlare,
opponendosi così ad un'altra delle leggi del lager, diventano un'arma
in mano ai deportati che riescono così a lenire l'angoscia dell'emarginazione"
dovuta alla "babele di lingue" in cui vivono.
"[ ... ] Basta che un qualunque deportato, sia russo, tedesco o francese,
ci rivolga la parola che subito sentiamo crollare il muro dell'incomunicabilità,
magari [ ... ] avvertiamo persino una serena quiete per quel poco che
ci resta da vivere".
Ciò che emerge da questo libro è l'immagine di un'umanità
diversa, di un uomo che, anche nei momenti più terribili, riesce
a trovare la "chiave" che lo porta a reagire. E' un uomo che pur essendo
costretto a togliersi il berretto al passaggio delle SS impara che non
si deve sentire umiliato per questo: "Quando l'SS ti passa accanto devi
essere sempre pronto a portare la mano al capo e, guardandolo fisso
negli occhi, a calare con un ampio militaresco gesto il mutzen. Nello
stesso tempo però dovrai autoconvincerti che è lui a dover sentire
vergogna e disprezzo di se stesso".
E' un uomo che invece di pensare alla "Fastidiosissima" targhetta
attaccata al polso, con sopra inciso il numero di matricola, pensa di
indossare un orologio sul quale, invece delle cifre, può leggere l'ora
in modo da far sembrare la vita del campo meno "indefinita e senza tempo".
E' un uomo, che, pur in condizioni estreme di sopravvivenza, decide
di aiutare gli altri, come il giovane ebreo polacco che, nelle gallerie
di St. Georgen, porta un bicchiere d'acqua agli altri deportati, rischiando
la propria vita in ogni istante: "A suo rischio e pericolo c'è
infatti chi costruisce il recipiente con i ritagli di lamiere, chi lo
riempie d'acqua e lo porta dove ci sono i deportati che lavorano con
la fiamma ossidrica. Infine, questi ultimi, riscaldano il bicchiere,
che poi, passando di mano in mano, arriva fin dove si può".
Ferruccio non si sofferma mai a descrivere la violenza delle SS e dei
capò; si, ne parla, ma vuole soprattutto sottolineare la grande capacità
di reazione di uomini "normali", la grande capacità di reazione
dell'uomo.
Leggere Codice Sirio non porta a sentimenti di odio o vendetta, l'odio
non è mai presente nelle parole dell'autore. Si sente invece
il bisogno prepotente di testimoniare, soprattutto per coloro che non
sono riusciti a tornare.
Attraverso le parole di Ferruccio riprendono vita i suoi compagni: essi
rivivono, ci parlano e, rompendo il muro del tempo e della dimenticanza,
riaffermano ancora una volta la loro dignità di esseri liberi.
Un giorno un'SS aveva detto a Franco e ai suoi compagni: "Noi possiamo
distruggervi di fatica, bastonarvi a sangue e poi uccidervi! [ ... ]
Intanto se, per caso, sopravviverete, nessuno, dico nessuno, vi crederà
mai! Nemmeno vostra madre!".
Alla presentazione del libro, a Torino, il 6 marzo, c'erano degli storici
e dei giovani e questa, mi sembra, è la dimostrazione migliore
che anche in questa previsione i nazisti si sbagliavano. D'altronde
è proprio ai giovani che è rivolto questo libro, perché
sono loro che dovranno continuare a ricordare e a far ricordare a chi
vorrebbe metterci una pietra sopra e che dovranno far conoscere a chi
non sa ancora. Siamo noi giovani che dobbiamo far sì che quegli uomini
e quelle donne che hanno combattuto contro il nazismo e fascismo possano
continuare a vivere e parlare attraverso di noi.
Barbara Tomassetti
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