Consiglio nazionale di Rimini |
La Relazione di Gianfranco Maris |
Andare oltre il generico antifascismo |
Credo che in una riunione come la nostra di oggi,
in relazione al tema che abbiamo scelto, "Per quale democrazia, per quale
Costituzione?", sia necessario spiegare perché abbiamo sentito il bisogno
di riunire il Consiglio Nazionale a 20 giorni dalla consultazione elettorale
e proprio su un tale tema. Questa riunione, sicuramente collegata alla consultazione elettorale, non è astratta e indipendente da questo momento politico. Su l'Antifascista del mese di marzo, l'ANPPIA ha pubblicato una paginetta, in cui ricorda di essere una associazione unitaria e che, come tale, non può fornire specifiche indicazioni di voto. Tuttavia, prosegue l'ANPPIA, "noi richiamiamo ai valori di libertà, di democrazia partecipata, di solidarietà e di fratellanza tra i popoli e mettiamo in guardia contro le lusinghe di un uomo forte, contro la svalutazione della politica del Parlamento, dei partiti come strumenti per fare politica, contro il nazionalismo". E qui si ferma. E' un messaggio chiaro, ma non esplicito. Mi sono domandato se questa sia - nell'anno 1996, con le profonde modificazioni che si sono realizzate nel nostro Paese, sul piano sociale, sul piano della formazione dei gruppi dirigenti, sul piano della trasformazione dei vecchi partiti - una posizione giusta, sufficiente, congrua, in misura con i tempi e con la gravità dell'ora. L'antico costume di tutte le associazioni unitarie, compresa l'ANED, che è sicuramente unitaria, in campagna elettorale, è stato quello di non pronunciarsi a favore di questo o di quel partito. Questa è una posizione datata, ad un tempo in cui non c'era l'attuale sistema politico. Sotto il profilo del sistema elettorale, erano presenti nell'ANPI, nell'ANPPIA, nella FVL, nella FIAP, nell'ANED, tutti i partiti dell'arco "costituzionale"; i quali avevano le medesime dichiarate finalità: la Costituzione. Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Lo schema istituzionale è saltato, le finalità dell'agire politico sono radicalmente diverse, non c'è un arco costituzionale, tutto è stato riposto in discussione e il sistema elettorale attuale è un sistema decisamente alternativo. Alcuni intendono questo sistema di tale natura da determinare un vero e proprio trasferimento nella maggioranza - che si forma con il premio, avendo il 40% dei voti, sia pure in una coalizione, si ha il 60% dei seggi - di tutti i poteri possibili, compreso quello di stabilire le regole o di non averne nessuna. Questo sistema ha messo fuori gioco il Parlamento ed ha spostato il centro di formazione della volontà politica fuori dalle sedi deputate, quelle istituzionali, Camera e Senato. Ha paralizzato l'agire politico dei partiti, tanto che, per uscirne, negli ultimi tempi, è stato fatto un disperato tentativo, fra coalizioni radicalmente contrapposte, di mettersi d'accordo sulle riforme istituzionali: semi presidenzialismo alla francese o cancellierato alla tedesca, tanto per avere delle regole che siano vincolanti per tutti ed anche, quindi, per la formazione che vincerà. Ha reso, questo nuovo sistema, del tutto inagibili le antiche regole. Si sono modificati nel frattempo i blocchi storici, sociali e politici che erano stati per lungo tempo, i soggetti attivi della politica, anche per le radicali trasformazioni della nostra società. Il lavoro in campagna praticamente non esiste più. Siamo passati dall'80% degli uomini che lavoravano in campagna al 12 %; il terziario assorbe lavoro, cambiano i rapporti di produzione nell'artigianato e nell'industria, cambiano la cultura e gli interessi immediati dei cittadini e risultano così modificati anche i blocchi storici politici e le alleanze, che tradizionalmente hanno gestito il potere nel Paese in tutti questi anni. Ormai sembra persino che si confondano tra di loro gli interessi dei ceti medi, dei ceti borghesi e degli operai. La situazione nuova è aggravata dalla inesistenza di regole. Prima, o bene o male, chiunque vincesse, chiunque riuscisse ad avere il potere esecutivo nelle mani, attraverso una maggioranza parlamentare, aveva però delle regole, che rispettava in virtù di meccanismi come la proporzionalità della presenza delle forze politiche sempre, in tutti i momenti di confronto, su qualsiasi tema. Oggi tutto questo non c'è più, non vi sono regole che consentano di mantenere il sistema maggioritario, senza doppio turno, neanche nell'alveo di un sostanziale rispetto di alcuni valori primari, di alcuni diritti fondamentali, di alcuni interessi diffusi di tutta la collettività, non solo di quella rappresentata nella maggioranza ma anche di quella che resta esclusa dal "potere maggioritario". Duque oggi, ecco la mia conclusione, le associazioni politiche, sia pure unitarie, come l'ANPPIA, l'ANED, l'ANPI, la FVL e la FIAP hanno il dovere, non solo il diritto, di verificare la propria coscienza politica, hanno il dovere di verificare se al proprio interno sussistono ancora le ragioni politiche che hanno determinato la nostra stessa nascita e di renderle esplicite. Se persistono le ragioni etiche e politiche che hanno dato a noi legittimità in tutti questi anni. Senza temere, di fronte ad un dibattito di questo genere, in campagna elettorale, se qualcuno possa tradurre il tema che noi ci siamo dati, "per quale democrazia, per quale costituzione?-, addirittura nella proposizione diretta "per chi votare"? Dobbiamo leggere dentro di noi e rispondere al quesito: che cosa significa per noi non dimenticare? Si tratta di un esercizio di etica astratta, puramente mnemonico, per cui l'esercizio si esaurisce nel non dimenticare i nostri compagni che sono stati assassinati nei campi, gasati, percossi, torturati, affamati? Si tratta solamente di questo esercizio mnemonico, oppure è un tradurre la memoria in un agire politico attuale? Per quanto mi concerne - e credo di interpretare i sentimenti di tutti - traduco questo "non dimenticare", in una indicazione di come agire oggi. La "memoria": quale funzione propulsiva di vita deve avere per noi oggi? Secondo quello che ritengo sia il nostro pensiero, da cui è nato il nostro logo "diamo alla memoria un futuro", vuol dire agire oggi secondo i valori che hanno determinato la nostra scelta di lotta, nel rispetto delle finalità di quella lotta. Se fu lotta per creare condizioni nuove, per costruire una società nuova, oggi in quello spirito dobbiamo agire, altrimenti la memoria diventa un esercizio mnemonico senza significato. Ecco perché ritengo che, nel momento in cui si deve affrontare un confronto elettorale di portata storica, siano necessarie una riflessione e una decisione nostre comuni per stabilire qual'è la democrazia che noi vogliamo, qual'è la Costituzione che noi vogliamo, che cosa noi ci aspettiamo dalle istituzioni anche da quelle che dovranno sostituire quelle vecchie. Ci aspettiamo che realizzino i fini della Costituzione, o ci è del tutto indifferente quello che faranno? Dossetti, che è stato uno dei padri della Costituzione italiana, il primo ottobre del 1995, sei mesi fa, denunciava un pericolo attuale nel Paese di manomissione e di violazione dei valori e dei diritti inderogabili della Costituzione e sottolineava come questo pericolo si fosse fatto più grave e più insidioso negli ultimi tempi. Sono passati sei mesi. In questi sei mesi questo pericolo si è attenuato o si è aggravato? Non poniamo la questione in termini di pericolo di fascismo; poiché sicuramente non si pone più in questi termini rozzi; oggi il fascismo non arriva con le leggi liberticide contro la stampa, contro le associazioni, con il partito unico, con la.violenza. Non sono questi i paradigmi che il contesto politico, economico e sociale prospettano. Il pericolo di involuzione antidemocratica, come diceva Dossetti, è molto più insidioso. La "democrazia" che altri dichiarano di volere è la nostra democrazia, quella per la quale abbiamo lottato, con i medesimi contenuti e le medesime finalità? E' questo il problema! Quali sono i contenuti della democrazia dei raggruppamenti che si confrontano in questa consultazione? Chi vince che democrazia garantirà al Paese? Con quali strutture istituzionali, come modificherà le strutture esistenti o come, avvalendosi del suo potere di maggioranza, influirà anche nelle procedure di modificazione della nostra Costituzione? Questo è il tema che noi qui dobbiamo affrontare. Vediamo, per esempio, quale democrazia è deducibile dalle parole e dai fatti della destra, come alleanza nazionale o del centro destra, per quanto riguarda il resto del polo di Berlusconi e dei cattolici, che sono dentro questo Polo. Vediamo un po' quali sono i temi privilegiati dalla loro propaganda. Il tema scelto è soprattutto uno: la tassazione. Le tasse. Badiamo bene, che l'Italia soffra di un sistema fiscale caotico e per mille aspetti vessatorio sarebbe assurdo e ingiusto negarlo, non c'è dubbio. E' vessatorio, caotico, schizofrenico, perseguita alcuni e salva altri. Ma - ecco il punto - come viene impostato questo problema dalla destra e dal centro destra? Non è impostato come uno dei tanti problemi, come il problema della scuola, il problema dell'assistenza medica, il problema della casa, il problema dei trasporti, il problema del commercio al minuto e via, via; cioè come uno dei tanti problemi che affliggono la nostra convivenza come comunità. Viene impostato come il "momento" di lotta attorno al quale si deve formare una forza che deve "spaccare"; è una sorta di assalto allo Stato. Vi è uno studio, a livello europeo, condotto dalla Commissione Europea dei mercato unico e della armonizzazione fiscale. Quindi non cito questo studio in quanto di questa commissione fa parte Mario Monti, un nostro commissario europeo. Lo studio è della Commissione, tanto è vero che su quella tematica si discute a Torino e si discuterà a Verona il 13 aprile prossimo, negli incontri dei rappresentanti dell'Europa Unita. Ebbene, quello studio europeo ha stabilito che la pressione fiscale sui lavoratori dipendenti è del 43,2% mentre sugli autonomi, sui commercianti ecc. ecc. e del 40,5 % . Quindi è già non vero, falso, il volere trasformare la categoria dei piccoli commercianti come la fascia più perseguitata d'Italia. Già questa scelta indica bassa propaganda e bassa strumentalità. Tutti i commentatori politici, gli osservatori politici nazionali ed internazionali, sanno perfettamente che vi sono questioni in discussione, a livello europeo, come la moneta unica europea, l'entrata dell'Italia nella unità europea, che escludono la possibilità di "tagliare le entrate" togliendo tasse. Per essere ammessi alla moneta unica ed entrare nella Europa unita, bisogna rispettare determinati tassi d'inflazione, determinati tassi d'interesse, bisogna stabilire cambi stabili, bisogna ridurre il debito pubblico e il debito dello Stato. Ora, il conciliare queste cose, che sono indispensabili per la sopravvivenza dell'Italia, come Paese Europeo, con una propaganda dirompente e aggressiva nei confronti dello Stato per le tasse è assolutamente irresponsabile; significa evocare una protesta sociale senza sbocchi, sul piano di menzogne e irrazionalità, a soli fini di potere; come se tolte le tasse, tutti, liberi da vincoli, chissà come e chissà perché e chissà per chi, parteciperebbero al miracolo di una esplosione della produzione e del benessere. Non so dove andrebbero a finire i 20 milioni di disoccupati coi quali invece bisogna fare i conti oggi, nel nostro Paese e in Europa. Le destre hanno vinto già in Francia, hanno vinto in Spagna, hanno vinto in Germania nelle ultime consultazioni regionali e possono vincere anche in Italia; soltanto che all'estero le destre della Francia, della Spagna, della Germania non inglobano quelli che noi qui chiamiamo post-fascisti soltanto perché lo scorso anno hanno sciacquato i loro panni nelle fonti termali di Fiuggi. Improvvisamente e non dopo un travaglio di anni. Tutto improvvisamente! Arrivano a Fiuggi fascisti e dopo la relazione di Fini, il loro fascismo non esiste più; viene tutto storicizzato, tutto il passato diventa uguale per tutti! E'chiaro che una così repentina trasformazione meglio potrebbe essere definita puro trasformismo opportunistico, a smaccati fini di potere. La presenza di post-fascisti, che tali sono unicamente perché ieri e non l'altro ieri hanno abbandonato questa veste, attribuisce alla coalizione del Polo una caratteristica di destra che nessuna altra destra europea ha. Ciò è molto preoccupante, senza contare la natura delle forze sociali che A.N. e Forza Italia e gli altri del Polo mobilitano; senza contare contenuti e mezzi della mobilitazione. Si tratta di una alleanza che a me pare addirittura incestuosa, fra i commercianti, i piccoli commercianti, e i detentori della grande distribuzione, che li guidano, come Berlusconi. I piccoli commercianti credono di avere i medesimi interessi della grande distribuzione nazionale, perché accettano tale guida politica. Questa alleanza incestuosa si unisce poi a fasce di autonomi, che sembra partecipino più alle caratteristiche di un proletariato emarginato che alle caratteristiche di un ceto medio. Questo raggruppamento di forze sociali è stato definito, da un giornale di destra, come il nuovo gruppo dirigente, il blocco storico sociale e politico nuovo; che si presenta animato da grande populismo plebiscitario. A questo punto mi domando, se queste forze sociali, queste forze politiche, potranno mai esprimere una democrazia che abbia i contenuti di partecipazione che noi abbiamo sempre voluto che la democrazia avesse. Questo è uno dei primi pericoli che bisogna ben avere presenti. E ancora, quali sono gli strumenti organizzativi che vengono utilizzati per portare avanti una siffatta politica? Avrete seguito la vicenda di Dotti e della Contessa Ariosto. Non mi interessano le cose che la signora ha detto; mi interessa porre in luce un'altra cosa. Quando Berlusconi si è rivolto a Dotti, per indurlo a smentire l'Ariosto, ha detto: "L'avv. Dotti, che dovrebbe essere ancora l'Avv. della Fininvest"; primo avvertimento: potresti essere ancora l'avvocato ma potresti anche non esserlo più tra due minuti. E ha aggiunto: "che dovrebbe essere candidato nostro"; secondo avvertimento: potresti essere ancora candidato ma potresti anche non esserlo più tra due minuti. Altro che mafia. Questo ha messo in luce qualche cosa di molto più grave che non il personale soggettivo conflitto di interessi fra Berlusconi e il potere. Blusconi ha enormi intessi, rappresentati da un impero economico, che sono costantemente in conflitto con gli interessi dell'agire politico in nome e per conto di una vasta comunità. Questa è una cosa, ma altra diversa cosa, e più grave ancora è la struttura della sua personale organizzazione, alla quale affida l'agire politico suo e del suo Polo. Si tratta di una organizzazione aziendale, di suoi collaboratori, al suo personale servizio, alla quale non concede nessuna autonomia ed alla quale impone la sua personale esclusiva volontà, di imprenditore e di leader politico. I suoi avvocati, ne conosco tre, Previti, Dotti e Contestabile sono il suo ministro, il suo capogruppo e il sottosegretario alla giustizia; il suo apparato aziendale diventa il suo apparato politico. Poi ci sono i peones ai quali danno il kit con dentro la cravatta azzurra, la spillina ecc. e la fascetta ecc. Ma il suo apparato aziendale è il suo apparato politico. Per cui recluta e a suo piacimento licenzia. Interpellato risponde: " Dotti non è stato candidato perché il comitato non lo ha voluto candidare". Gli chiedono: "quando si è riunito il comitato?" "Non si è riunito l'ho consultato". Ha votato? "No, non ha votato". Questo vi dimostra che tipo di apparato politico è nelle sue mani. Una situazione organizzativa politica di questo genere è di elevata pericolosità. Le battute "se Fini avrà più voti di noi sarà a capo del Governo" mentre l'altro risponde: "No, no. Per carità, sempre e soltanto Berlusconi sarà capo del Governo", non tranquillizzano affatto. L'unica organizzazione politica è quella di Alleanza Nazionale, che ha sempre più fermamente imposto le sue scelte come scelte globali per tutto il polo. Fuori da questo quadro abbiamo soltanto macchiette, ma non tanto macchiette. Ieri sera ho visto che alcuni compagni hanno assistito divertendosi, allo show di Bossi. Non so cosa abbia detto, ma indubbiamente è gravissimo che il leader di un raggruppamento politico qualifichi il nostro Parlamento il "sottoparlamento di Roma". E questo dico non tanto per una osservanza formale dell'art. 5 della nostra Costituzione, che fino a prova contraria è norma che deve essere rispettata da tutti, che dice che la Repubblica è una e indivisibile. Noi, in questo momento, viviamo in uno Stato nel quale la legge fondamentale dice che la Repubblica è una ed indivisibile. Chi disattende questa norma si pone fuori dalla legge e dalla Costituzione. Un raggruppamento politico che nega la Costituzione da prova di inaffidabilità totale per ragioni culturali, ancora prima che politiche. Andiamo verso una Europa unita e costoro propongono addirittura di entrarci con una Regione, separata dalle altre; mentre nasce, nell'Europa unita, un nucleo forte che si chiama Francia e Germania. Se vogliamo guardare agli aspetti culturali e morali della vicenda esaminiamo poi il processo di formazione dell'unità d'Italia. Se ci sono state mai delle Regioni che avrebbero avuto diritto di guardare al processo formativo dell'unità d'Italia come a un fatto negativo per loro, sono state sicuramente le regioni meridionali. Perché l'unità d'Italia è stata realizzata sulla base di un rapporto coloniale tra il nord e il sud, nell'ambito del quale il nord ha sicuramente imposto al Sud gli stessi rapporti economici che l'America del nord ha imposto all'America del sud. Questa è la realtà storica economica e sociale della nostra storia. Ma andiamo oltre. Ci si è mai posti questo semplice quesito? Come mai il nord è così sviluppato ed è così fiorente? Ricordo gli anni fra il '55 e il '70. I comuni della Lombardia di 7/8mila abitanti, sono diventati di 35-55-75 mila abitanti, soltanto che non sono state le donne della Lombardia che hanno dato alla luce 12 bambini l'anno ciascuna, no. Era gente che veniva dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Sardegna, dalla Puglia, dalla Basilicata, veniva dalla Campania. Veniva dal Sud. Ecco, allora: se vogliamo parlare di nord, oggi, dobbiamo parlare del lavoro e del sacrificio di milioni e milioni di donne e di uomini del sud, e del nord, che con il loro comune impegno hanno dato vigore e benessere alle province settentrionali. Dove sono la cultura e le coordinate morali delle posizioni separatiste? Quanti sono stati i partigiani, i resistenti, i deportati, i fucilati ed i torturati della Resistenza nati nel Sud, che per un comune traguardo di libertà e di giustizia hanno sacrificato se stessi e le loro famiglie? Come arrogante e ignorante appare la "differenza" che Bossi ed il suo raggruppamento vorrebbero far valere! Dei problemi degli uomini, del lavoro dell'occupazione, delle pensioni, dello Stato sociale, dei costi e della necessità della solidarietà umana, ormai parlano soltanto i partiti del centro sinistra! E questo è il canto che noi vogliamo sentire, un impegno corale al quale sentiamo di voler partecipare. Vi è poi ancora un altro pericolo di fronte a noi: l'astensionismo. Nelle ultime elezioni regionali è stato il terzo partito, come forza, come numero. L'atteggiamento di ciascun uomo, di ciascuna donna, di fronte alle elezioni, deve corrispondere a un ragionamento aggiornato razionalmente. Il nuovo sistema maggioritario ha fatto si che, anche a causa del gioco - per la verità perverso - delle astensioni, per dare spazio da parte di una lista ad un'altra, noi spesso ci si trovi a votare per persone che non si conoscono o che non si stimano. E' un fatto negativo, sicuramente molto negativo. E questo spiegherebbe l'astensione. Ma con il nuovo sistema elettorale l'astensionismo diventa una scelta anacronistica ed autolesionista. Connaturato con il sistema maggioritario, politicamente e, culturalmente, vi è il principio del "meno peggio", anche con il doppio turno. Cioè, io oggi voto per il mio candidato, però, se non vince, nel secondo turno, per non vanificare il voto, scelgo per il meno peggio, faccio una opzione; anche se non è il mio candidato quello per il quale voto. Nel nostro caso, oggi, le divergenze possono determinare anche un personale distacco dal candidato che è presente nel mio collegio. E tuttavia, bisogna capire che, votando per quello, porto un granello di sabbia, il mio voto, il mio peso, verso un certo raggruppamento, nella contrapposizione con un altro. Quello che conta è che, alla fine i voti saranno raccolti e, contati e attribuiti al raggruppamento. Guai se non si tenesse presente questo fatto e ci si lasciasse andare, ci si abbandonasse ad un concetto astratto di "purezza di voto", corrispondente esclusivamente alle proprie personali inclinazioni, senza tenere conto di quelli che sono i meccanismi del voto e delle conseguenze di tali meccanismi. L'altro pericolo, infine, è insito nella scelta. Oggi dobbiamo scegliere fra una democrazia partecipata, quale è quella che è stata fondata con il sangue della Repubblica, e una democrazia senza regole, che noi non conosciamo, gestita da forze che sono più un'organizzazione aziendale che non una organizzazione politica. Qui si tratta di scegliere, praticamente, fra l'uomo e il mercato. L'uomo è guida del mercato o l'uomo è oggetto del mercato? Questo è, per sintesi estrema, il più scarnita possibile, il problema che abbiamo davanti a noi oggi; e, nella scelta, non si possono commettere errori. Noi ci siamo spesso posti in posizione critica nei confronti dello storico Pavone, abbiamo detto che sbagliava quando diceva che la guerra di Resistenza è stata anche una guerra civile: ma non si sbagliava se noi pensiamo che la Resistenza è stata anche una contrapposizione tra due concezioni della società. Da una parte c'erano i fascisti, oggi alleati con un partito azienda, fatto, cioè, dell'imprenditore e dei suoi addetti, che volevano una società gregaria, soggetta a rapporti autoritari, rapporti proprietari, a rapporti plebiscitari. Dall'altra parte, c'eravamo noi, che pensavamo a una democrazia partecipata, capace, attraverso la partecipazione, di trasformare la nostra società di costruire una società di uomini liberi, protagonisti dei propri destini. La Repubblica, dice la Costituzione, garantisce pari dignità sociale a tutti gli uomini e alla donne e si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana e impediscono la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese. Questo è il fulcro della democrazia. Ora, noi vogliamo una democrazia - come vuole la Costituzione - che inglobi questa finalità; e non può essere che una democrazia partecipata. Non ci interessa, quindi una democrazia aziendale, da definire democrazia solo perché non ci danno da bere l'olio di ricino e non ci picchiano sulla testa. Se vogliamo una Repubblica che tuteli il lavoro, che garantisca la retribuzione sufficiente ai lavoratori per una esistenza libera e dignitosa, alla donna lavoratrice pari dignità e diritti ed ai cittadini inabili il mantenimento e l'assistenza, che garantisca, cioè, una comunità nella quale solidarietà e uguaglianza siano sostanza e non apparenza, allora dobbiamo avere una democrazia e una Costituzione che non siano neppure la Repubblica di De Gaulle, con il presidente a elezione popolare che nomina il suo presidente del Consiglio, il quale non ha bisogno della fiducia del Parlamento e può fare le leggi anche se il Parlamento non le approva, una Repubblica nella quale, se il Parlamento discute, il Presidente lo scioglie. Noi abbiamo bisogno di una Repubblica diversa, una Repubblica nella quale tutti gli uomini e tutte le donne contino e possano partecipare alla gestione della cosa pubblica, proprio per garantire quei contenuti che sono stati la base ideale e concreta del progetto politico della Resistenza italiana. E' questo che oggi è in gioco. |
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