Quattro storie di donne passate per Auschwitz


Un silenzio che per alcune è durato quasi 50 anni. Le vicende di Arianna, Loredana, Teresa e Zita aiutano a non dimenticare ma anche a rafforzare i valori della solidarietà e della umanità.

Arianna aveva undici anni quando, per il suo cognome ebraico, con tutta la famiglia fu presa dai nazisti a San Daniele del Friuli ed entrò nell'incubo e nell'ansia che l'avrebbero accompagnata per tutta la vita: la perquisizione al Comando tedesco di Udine, la risiera di San Sabba, il viaggio nel vagone-bestiame, l'arrivo ad Auschwitz. La separazione ìmmediata dal padre e dai fratelli (anche le separazioni sono una tortura!) e poi dalla madre e dalle sorelle, il Kinderblock, la marcia forzata sotto la neve con i piedi congelati; e poi Ravensbrück e Belsen. Si salvò dall'ultima selezione coprendo la sua stella di Davide col triangolo rosso di una morta. Fece di tutto per sopravvivere, sorretta dalla speranza di ritornare a casa, di ritrovare la sua famiglia che, purtroppo, fu sterminata ad Auschwitz. Anche Loredana era giovanissima e fu arrestata a Milano insieme ad altri 56 operai della Caproni in una retata di rappresaglia dopo gli scioperi del marzo 1944. "Devi andare a lavorare in Germania" le dissero in Questura e invece finì ad Auschwitz-Birkenau e poi a Flossenburg. Teresa faceva parte di un gruppo di antifascisti di San Martino Dall'Araine collecato anche a Don Mazzolari e alle sue 'Tiamine verdi". Timida, insicura, condizionata dalla forte personalità delle sorelle maggìori, fu arrestata al posto di una di loro. Nel carcere di Verona due suoi compagni vennero fucilati e lei destinata ai campi di sterminio. Così arrivò ad Auschwitz. Zita, ebrea ungherese, fu catturata dai nazisti con la mamma, la sorella e un nipotino che furono eliminati subito dopo l'arrivo ad Auschwìtz. Aveva 25 anni e iniziò la deportazione determinata a resistere. Per due fette di pane al giorno cantava con la sua bella voce di contralto e i nazisti la chiamava Zarah Leander. Dopo due mesi fu mandata nel campo di Lippstadt. Nel 1945 tornò in Italia per raggiungere le sorelle che risiedevano a Milano. Auschwitz ha lasciato in queste donne un segno indelebile. Le accomunano tanti ricordi dolorosi: le baracche del lager infestate dalle cimici, le urla rauche e le frustate delle SS e delle Kapò, le lunghe attese prima degli appelli con i loro corpi nudi e denutriti esposti al freddo per ore, la loro femminilità cancellata dalla fine del mestruo e dalla rasatura del corpo e dei capelli, l'essere diventate solo un numero. E poi il terrore delle selezioni, la morte sempre vicina, visibile negli sguardi disperati delle compagne ammalate destinate ai camini o alla camera a gas.
E dopo Auschwitz la sofferenza del ritorno, la difficoltà a ricominciare a vivere in una società che, per rimuovere la propria angoscia, talvolta non vuole ascoltare i loro ricordi che rievocano gli orrori del nazismo e del fascìsmo. Per alcune di loro il silenzio è durato cinquant'anni. Questo libro racconta la loro storia e quindi affronta la specificità dei problemi delle donne deportate nei lager nazisti, ma induce a riflettere anche sugli avvenimenti di oggi. Purtroppo nel mondo si ripetono ancora manifestazioni di razzismo, genocidi, orrìbili massacri contro i quali le nostre coscienze dovrebbero ríbellarsi. Le storie di Arianna, di Loredana, dì Teresa, di Zìta aiutano a non dimenticare ma anche a rafforzare i valori di umanità e di solidarietà tra i popoli perché gli orrori del passato non debbano ripetersi.

 

"L'Erba non cresceva ad Auschwitz"

di Minma Paulesu Quercioli

Pagine 132 con fotografie - L. 20.000 - Mursia editore