Un gruppo di studenti torinesi di ritorno dai Lager

"Quei fiori sulla fossa comune, un invito a continuare la lotta"

 

"L'esperienza più forte che abbia mai vissuto". "Un giorno toccherà a noi mantenere accesa l'attenzione, tenere viva la mernoria". "Non ho responsabilità per il passato, ma ne ho per il presente e per il futuro". "Un viaggio che dovrebbero fare tutti"

"Dopo cinquant'anni dicono, si dovrebbero seppellire i vecchi rancori tra antifascisti e fascisti. Guardando le camere a gas e i forni crematori ho capito che la pacificazione è un imbroglío: mezzo secolo non è niente, non basta a dimenticare, né a lenire il dolore". Irene è tornata da poche ore da un viaggio nei campi di sterminio austriaci di Mauthausen, Gusen e Ebensee. Ha vinto, insieme ad altri 116 studenti piemontesi, un concorso indetto, come tutti gli anni dal '73, dalla Regione e a cui hanno partecipato in 1.700. Un viaggio particolare, una visita ai lager con un gruppo di ex deportati in quegli stessi campi: "L'esperienza più forte che abbiamo mai vissuto", dice Alice, segnata dall'emozione che a tratti le fa tremare la voce. Ma è determinata a capire i nessi tra passato e presente. "Se è già successo, potrebbe succedere di nuovo". Siamo andati al liceo classico Cavour di Torino per parlare con il professor David Sorani che ha accompagnato 7 ragazze e 1 ragazzo della sua scuola. Con lui ci sono Irene, Alice, Aurora, Alberto e Sara.
Hanno voglia di parlare perché; dicono in coro, "abbiamo un compito da assolvere: gli ex deportati che ci hanno accompagnato sono anziani, pnma o poi moriranno. E allora toccherà a noi manteneme accesa l'attenzione, tenere viva la memoria". "Dovrebbero andarci tutti ali studenti, non solo quelli che come noi scelgono di fare la ricerca - dice Alice - e che quindi hanno già una sensibilità a questi problemi. Nessuno deve permettersi di dire: io non sapevo". "Non ho responsabilità per il passato - spiega Aurora - ma ne ho per il presente e per il futuro. A volte noi giovani pensiamo di avere tutto, e che nulla ci possa essere tolto. Non è così, dobbiamo lottare ancora per gli stessi ideali per cui in tanti sono morti. Non possiamo restare immersi nella nostra realtà ovattata, avendo lo studio come unico impegno". La cosa che mi ha colpito è il non vedere più i campi di sterminio, smantellati dalla volontà di rimozione. A Ebensee (un sub-campo a 60 chilometri da Salisburao, n.d.r.) - dice Alberto - sorge una villetta dove prima c'era il camino del forno crematorio. Una villetta con un camino, finché gli ex deportati non hanno ottenuto che fosse abbattuto, del tutto simile a quello che c'era cinquant'anni fa e da cui passavano i resti di uomini e donne. Un amministratore della città ci ha aperto l'accesso al tunnel fatto scavare agli internati, ma non sapeva dirci nulla di quella storia, di quel tunnel".

Un tunnel, ci racconta Pino Chiezzi, il consigliere regionale di Rifondazione comunista che ha partecipato alla visita, fatto scavare dai nazisti per costruire i missili destinati a distruggere Londra. La gente dei paese non si accorgeva di nulla', ci ha raccontato quel consigliere, e invece tutti sapevano perché è proprio dentro il tunnel che andavano a rifugiarsi durante i bombardamenti alleati. E i figli di quelli che ieri sapevano - spiega Alberto - oggi hanno fatto i soldi e i sono comprati le villette costruite sul lager". E Aurora: "Che disgusto per la serenità ostentata da quelle ville". A Gusen, dice Chiezzi, altre ville: "Gli ex deportati hanno comprato un'area della lottizzazione per salvare dalla distruzione il forno crematorio". Sara, invece, è stata colpita dalla solidarietà tra gli internati durante la vita, per usare un eufemismo, nel lager, raccontata dai protagonisti durante la visita a Mauthausen: "Ci siamo ritrovati tutti insieme a discutere di ebrei, zingari, omosessuali, di eguaglianza tra gli uomini, oggi che si torna a parlare di diversità e superiorità di razze e colori su altre razze e colori. Dobbiamo superare l'emozione e la rabbia e ragionare, capire, discutere, come hanno fatto con noi gli ex deportati". Alice: "Oltre la disperazione e il pessimismo, che sono state le mie prime reazioni e oltre l'interrogativo "come fa l'uomo a ridursi così contro altri uomini", ho trovato l'ottimismo e la forza. Me l'hanno trasmessa gli uomini che ci hanno accompagnati, trovando il coraggio di tomare nei loro lager e rinnovare il dolore". La solidarietà "ti fa essere uomo con la U maiuscola anche nelle situazioni più spaventose". Il professor Sorani è alla terza visita ai lager con gli studenti: "Mi ha colpito lo stridore tra la bellezza di quei posti e la storia atroce che vi è racchiusa. Il ricordo più forte che ho, una sensazione che i ragazzi mi hanno comunicato, sta nei momenti di silenzio intenso, di riflessione tra sé e sé. Sono momenti che fanno crescere più di mille lezioni di storia. La visita a un lager è la logica conclusione di uno studio, una ricerca. Vedere con i propri occhi serve a non dimenticare, e andare avanti". "A Mauthausen, sopra le fosse comuni c'è un prato cosparso di fiori. L'ho inteso come un invito della natura - dice Irene - a continuare a lottare". "Dovrò sforzarmi per contenere una reazione violenta quando un compagno di scuola mi dirà: 'Cosa sei andata a fare, son passati tanti anni'. Ma dopo aver visto l'abisso dell'umanità - conclude - troverò la forza di spiegare, insistere, costringere tutti a ragionare. Oltre l'emotività".

Loris Campetti