La Scala della morte di Mauthausen nelle parole
di uno scrittore. Si può ancora scrivere poesia dopo i campi
di sterminio?
Il più grande libro sui Lager lo ha scritto,
nelle settimane fra la condanna a morte e l'impiccagione, Rudolf Höss.
La sua autobiografia, Comandante ad Auschwitz,
è il racconto ogettivo, imparziale e fedele di atrocità
che sconvolgono ogni metro umano, rendendo intollerabili la vita e la
realtà, e che dovrebbero sconvolgere e quindi impedire anche
la loro rappresentazione, la stessa possibilità di raccontarle.
Nella pagina di Höss lo sterminio sembra narrato dal Dio di Spinoza,
dalla natura indifferente al dolore, alla tragedia e all'infamia; la
penna registra imperturbabile ciò che accade, l'ignominia e la
viltà, gli episodi di bassezza e d'eroismo fra le vittime, le
dimensioni immani del massacro, la grottesca solidarietà automatica
che si crea per un attimo, sotto le bombe, fra carnefici e perseguitati.
Höss non è il solito burocrate,
pronto a seconda degli ordini a salvare o ad assassinare con eguale
efficienza; non è un torturatore come Mengele, non è neppure
Eichmann, che racconta e rielabora la propria vicenda perché
interrogato dagli israeliani, tentando di non pagare il fio dei suoi
delitti. Höss scrive dopo la condanna a morte, senza che nessuno
glielo chieda; la molla che lo spinge a scrivere è oscura, non
si lascia spiegare dal desiderio di nobilitare la propria figura, perché
l'autoritratto che ne risulta è certo quello di un criminale
e il libro sembra obbedire a un'imperiosa esigenza di verità,
a un bisogno di ribadire la propria vita, dopo averla vissuta, di protocollarla
con precisione, di passarla impersonalmente agli atti. Per questo il
libro è un monumento, la registrazione della barbarie, preziosa
contro i reiterati e abietti tentativi di negarla o almeno di smussarla,
sfumarla. Il comandante di Auschwitz, assassino
di centinaia e centinaia di migliaia di innocenti, non è più
abnorme del professore Faurisson, che ha negato la realtà di
Auschwitz. Scendo la Scala della Morte,
che conduceva alla cava di pietra
di Mauthausen. Su questi 186 alti gradini
gli schiavi portavano macigni, cadevano per la fatica o perché
le SS li facevano inciampare e rotolare sotto i sassi, venivano abbattuti
a bastonate o a fucilate. I gradini sono blocchi ineguali e impervi,
il sole scotta; il massacro è
ancora vicino, vengono in mente divinità arcaiche avide di sacrifici
umani, le piramidi di Teotihuacán e idoli aztechi, anche se dèi
più moderni e civili non hanno impedito ai torturatori di torturare.
Il libro di Höss è terribile - terribilmente istruttivo
- perché la sua epica concatenazione di fatti mostra come nella
meccanica ruota delle cose si possa giungere, un passo dopo l'altro,
a diventare non solo vigili urbani o cuochi dell'esercito del Terzo
Reich, comparse dell'orrore, ma anche primattori e registi dello sterminio,
comandanti ad Auschwitz. Gli scalini
sono alti, sono stanco e sudato anche se non porto macigni e non ho
le SS ai fianchi. Adorno ha detto che dopo i campi di sterminio è
impossibile scrivere poesia. Quella sentenza
è falsa - e infatti è stata smentita dalla poesia, per
esempio da Saba, che sapeva cosa significasse scrivere "dopo Maidanek",
altro terribile Lager, ma che ha scritto "dopo Maidanek"; è falsa
anche perché non c'è stato soltanto il nazionalsocialismo,
e pure dopo i Conquistadores, la tratta dei negri, i gulag o Hiroshima
la rima fiore-amore era - è - altrettanto problematica.
a sentenza è tuttavia paradossalmente
vera, perché il Lager è un esempio estremo di annullamento
dell'individuo - di quell'individualità senza la quale non c'è
poesia. Su questa scala di Mauthausen si sente, fisicamente, la superfluità
dell'individuo, il suo annichilimento, la sua sparizione; come secoli
fosse un dinosauro o un okapi, un animale
estinto o in via di estinzione. Non solo
la svastica, ma la storia universale, i processi generali cospirano
a questo esautoramento. Il protocollo dell'interrogatorio di Eichmann
è un documento estremo di una parcellizzazione dell'esistenza,
della persona e del suo agire, che abolisce responsabilità e
creatività. Eichmann non uccide, provvede al convoglio e al trasporto
di coloro che devono essere uccisi; la
responsabilità sembra non coinvolgere nessuno - perché
ognuno, anche ad altissimo grado, è solo anello di una catena
di trasmissione di ordini - o tutti, ad esempio pure le organizzazioni
ebraiche, che i nazisti costringono a collaborare e a scegliere gli
ebrei da deportare. Su questi scalini, il singolo si sente uno dei
loro grandi numeri
macinati dallo Spirito del Mondo che evidentemente
dà segni di squilibrio mentale, uno di quei numeri di matricola
che l'ufficio competente del Lager incideva sul braccio
dei detenuti.
Ma su questi gradini l'individuo ha saputo
anche rendersi unico e incancellabile, più grande di Ettore sotto
le mura di Troia. Quella giovane donna che, sulla soglia della camera
a gas di Auschwitz, si volta verso Höss, e gli dice, sprezzante
- com'egli racconta - che non ha voluto farsi selezionare, come avrebbe
potuto, per seguire i bambini che le erano affidati, e poi entra sicura
con loro nella morte, è la prova dell'incredibile resistenza
che l'individuo può opporre a ciò che minaccia di annientare
la sua dignità, il suo significato. Nei vari Lager e anche su
questa scala di Mauthausen sono avvenute tante di queste gesta, di queste
Termopili che fermano la marea dell'abiezione.
Mentre sono ancora sulla scala, ho davanti agli occhi una fotografia,
fra le tante viste poco prima nel Lager. E' la fotografia di
un
un uomo senza nome, probabilmente, dall'
aspetto,
un balcanico, un europeo sudorientale. Il viso è sfigurato dalle
percosse, gli occhi sono due crumi gonfi e sanguinosi, l'espressione
è paziente, di umile e solida resistenza. Indossa una giacca
rattoppata, sui calzoni si vedono delle pezze ricucite con cura, con
amore del decoro e della pulizia. Quel rispetto di sé e della
propria dignità, conservato nel cuore dell'inferno e rivolto
anche ai propri pantaloni sbrindellati, fa apparire le uniformi delle
SS, o delle autorità naziste in visita al Lager, in tutta la
loro miserabile straccionería da carnevale, costumi presi a nolo
al monte dei pegni, con la convinzione che un bagno di sangue li potesse
far durare per un millennio. Sono durati dodici anni, meno della mia
vecchia giacca a vento che porto di solito in gita.
Claudio Magris
(da "Danubio")
|