Il campo di concentramento nelle parole di Enea Fergnani

Fossoli
Entravi e diventavi un numero

 

Il campo di concenotramento di Fossoli sorgeva a pochi chilometri da Carpi. Riprendiamo una descrizione dei campo dal libro "Un uomo e tre numeri" di Enea Fergnani, edito da Speroni Editore nel '45

 

Un seraente magiore e un nu«ugolo di SS ci vengono incontro e ci danno il benvenuto dirigendo verso di noi i fucili mitragliatori. Scesi dalle autovetture, uomini e donne ci incolonniamo davanti ad una fila di baracche. Ancora un appello. Alcuni mancano. Terminato l'appello, a gruppi di dieci veniamo introdotti nell'ufficio matricola dove dettiamo alle dattilografe, quasi tutte Ebree, i dati per la compilazione della scheda personale; poi noi uomini ci rechiamo nel locale dei barbieri, dove ci vengono sommariamente tagliati i capelli fino alla cute. Terminate queste operazioni, ci viene applicato alla giacchetta e ai calzoni un grande triangolo di stoffa rossa col vertice in basso e, sopra, un rettangolo bianco col nuovo numero di matricola. Da questo momento io sono il numero 152. Verso le quattro del pomeriggio, adunata generale per un nuovo appello e per l'assegnazione alle varie baracche. Al campo, prima del nostro arrivo, si trovava già un centinaio di ospiti tra i quali una ventina di pastori della provincia di Frosinone, distinti da un triangolo rosa, internati come ostaggi. Vi erano anche Ebrei ed Ebrei misti. Le baracche vuote sono parecchie. Qualcuno propone che una cinquantina di noi, amici e compagni più conosciuti e fidati, ci aduniamo nella baracca segnata col numero 18, dove facIgo ciamo il nostro ingresso alle sei di sera. Nell'interno, lungo le due pareti più lunghe, è una fila di cuccette di legno accoppiate a due ordini. Il complesso di quattro cuccette sovrapposte a due a due forma quello che qui si usa chiamare "castello". Nelle due cuccette superiori dell'ultimo castello di destra prendiamo posto Violante e io. Ogni cuccetta è dotata di un pagliericcio e di un guanciale anch'esso imbottito di paglia. Al di sopra di ogni castello è una finestrella a intelaiatura ribaltabile verso l'interno. Le baracche, di legno, sono in buono stato e terminano dalla parte opposta all'ingresso con due locali rettangolari nel primo dei quali sono i lavabi con acqua corrente. Il campo era stato allestito per ospitarvi i prigionieri inglesi. Dall'altra parte del piazzale interno sono la cucina, l'infermeria, il locale per i bagni a doccia. Presso l'ingresso alcune baracche sono adibite ad uffici e alloggi per le SS di guardia al campo, che è circondato da una rete di filo di ferro. Le torrette sulle quali stanno le sentinelle sono situate al di là della rete. Un lato del campo corre a pochi metri dalla strada che è libera al transito, ma sul ciglio della quale larghe tabelle avvertono: "Zona pericolosa. Si spara senza preavviso". All'ingresso del campo è issata notte e giorno una immensa bandiera nera. Le SS addette alla custodia del campo non sono numerose. Basterebbe un energico colpo di mano per farle prigioniere e riacquistare la libertà con poche perdite. Gli anziani mi dicono che il vero comandante del campo è il sergente maggiore Hans Haage. E' un uomo sui quarant'anni, alto, biondo, aitante, con le labbra sottili ed ermetiche; quello medesimo che al nostro ingresso al campo ci ha fatto gli onori di casa con sfoggio di fucili mitragliatori. t un nazista fanatico. Gli si attribuisce questa frase: "Se la Germania dovesse venire sconfitta in Italia, prima ucciderei tutti gli internati di Fossoli poi mi ucciderei io". Il più elevato in grado è il tenente Tito il quale però non si occupa della disciplina, devoluta interamente alMaage.

( ... ) Le donne arrivate con noi occupano una baracca attigua, alla quale, dopo meno di un'ora, la distesa di vesti multicolori, di scatole, di vasetti e di boccette, conferisce un aspetto quasi gaio. Qualcuna di esse ha un marito o un fratelli nella baracca 18. Intanto nel cielo di un bell'azzurro chiaro il sole tramonta rapidamente tra nuvole color di rosa. Dai pochi cascinali attorno al campo si levano leggere colonne di fumo». «22 giugno. Alle 13,30 Poldo Gasparotto è stato assassinato. P"lochi minuti dopo le 13, un inviato entra nella baracca 18 ad informare che il maresciallo attende Gasparotto alla sede del Comando. Poldo interrompe la colazione, si alza e va diritto verso l'uscita. Fatti pochi passi fuori dalla baracca, rientra, chiama Brenna e gli consegna un sottile pacco di carte che toglie dai suoi calzoncini. "Tieni - gli dice. - Nascondi." E si avvia ancora verso l'uscita in calzoncini e zoccoletti. 1 più vicini lo seguono con lo sguardo. Qualcuno esce dalla baracca e lo vede proseguire attraverso il cancelletto al di là della rete, soffermarsi un istante davanti a un posto di controllo per fare annotare il suo numero e procedere verso la baracca del Comando. Qualcuno che è in quei pressi osserva che due SS ferme accanto a un'automobile fanno alcuni passi verso di lui, e dopo un brevissimo scambio di parole gli applicano ai polsi le manette. L'autista è al suo posto. Gasparotto e i due sicari armati di mitra, salgono sull'automobile che parte seguita da una SS in motocicletta. Uscita dal portone, la macchia volta a sinistra e il rombo del motore in marcia velocissima si perde nella campagna assolata. Dopo una quindicina di minuti il motociclista rientra al campo, conferisce col maresciallo Haage e riparte. Più tardi fa il suo ingresso al campo un furgoncino dalle cui connettiture cadono sulla polvere stille di sangue. Il corpo assassinato di Poldo Gasparotto è ritornato.