Un milione di lavoratori si fermò per una settimana nell'Italia occupata

1 marzo '44 "Sciopero!"

 

Sono trascorsi. cinquant'anni dagli scioperi iniziati il 1° marzo 1944 e molti protagonisti di allora sono scomparsi, così come non esistono più - chiuse, trasferite altrove o completamente trasformate - grandi fabbriche-pilota di quella settimana di totale astensione dal lavoro. Agli scioperi aderirono centinaia di migliaia, forse un milione di operai, impiegati, tecnici e perfino dirigenti - uomini e donne, dai giovanissimi agli anziani - praticamente di ogni categoria produttiva e servizio pubblico: dai tranvieri e i ferrovieri ai postelegrafonici, dai dipendenti statali e municipali ai bancari e assicuratori, dagli studenti di molte scuole superiori ad alcune Università; anche il "Corriere della Sera" di Milano... Un elenco lunghissimo, annotato scrupolosamente da Eugenio Curiel (assassinato dai nazifascisti il 24 febbraio '45) su "La Nostra Lotta", la rivista clandestina da lui diretta. Una settimana esaltata da stampa e radio dei mondo libero come la più imponente manifestazione di massa della Resistenza italiana ed europea in quell'immensa parte del vecchio continente allora sotto occupazione nazista; grazie anche al concorso delle formazioni partigiane e di tantissimi patrioti e fiancheggiatori, alla solidarietà delle famiglie degli scioperanti e delle popolazioni, tanto nelle città che nelle campagne e nelle valli del Centro-Nord. Allora la guerra sul fronte italiano ristagnava lungo una linea che tagliava in due la penisola, dal Tirreno a sud di Cassino sino all'Adriatico; il 22 gennaio gli anglo-americani erano sbarcati ad Anzio, ma quanta fatica per allargare di poco quella testa di ponte! Quanto era duro, allora, vivere sotto la "protezione" della Welirmacht e delle SS... Eppure, il giorno precedente lo sciopero, migliaia di lavoratori occupati - unendosi ai patrioti passati alla clandestinità e rischiando arresti, interrogatori, carcere e destinazioni ignote - riuscirono ad effettuare il volantinaggio capillare di un foglio stampato clandestinamente con altrettanti rischi individuali: il proclama del "Comitato Segreto di Agitazione" nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale.

Un appello non diretto ad incitare all'insurrezione armata - ancora al di là di qualsiasi previsione - ma in cui ogni rivendicazione, ogni stato d'animo presenti nella massa lavoratrice e nelle famiglie erano elencati affinché ognuno potesse riconoscervisi, trovando nel contempo più motivi per collegarsi agli altri e tutti insieme farsi forza. D'altra parte, una risposta di massa, in linea con la Resistenza, era venuta sei mesi prima dagli oltre 600.000 nostri militari catturati subito dopo l'8 settembre dai nazisti come "traditori badogliani" e deportati in Germania e in Polonia; all'invito a tornare in Italia per combattere nella Repubblica Sociale di Mussolini sotto il comando della Wehrmacht e delle SS, la quasi totalità si era rifiutata, subendo cosi lunghi mesi di durissimo internamento. Tornando al marzo '44, una volta cominciato lo sciopero i nazisti si erano mossi con minacce di serrata, di ritiro delle tessere annonarie, di ritardati pagamenti delle retribuzioni, oltre a misure disciplinari, licenziamenti e accuse di sabotaggio. Carri armati, reparti SS e Brigate Nere fasciste erano stati dislocati davanti ai: grandi stabilimenti e nei crocevia di zone industriali o di centri come Sesto S. Giovanni, con chiari intenti intimidatori. Mentre Hitler, furibondo, avrebbe voluto deportare il 20% degli scioperanti, il generale SS Zimmermann rilanciava minacciosi ultimatum, ma lo sciopero proseguì compatto per un'intera settimana. Nazisti e collaborazionisti si ritrovarono isolati e impotenti, ma non tardarono a mettere in atto la rappresaglia. Non fu facile individuare capi e militanti clandestini della Resistenza - i "sobillatori" o "sabotatori" come venivano denunciati - così gli elenchi furono completati senza troppi scrupoli perché dovevano comprendere campioni rappresentativi delle maestranze, quindi operai, impiegati, tecnici e qualche dirigente, uomini in maggioranza, ma anche donne. I collaborazionisti delatori fecero sparire ogni traccia delle denunce mentre agli arrestati non venne imputato alcunché. Furono ammassati in sedi diverse e quindi caricati su carri-bestiame verso ignota destinazione. Molti non sono tornati. A cinquant'anni di distanza vogliamo ricordarli con affetto e gratitudine.

Giandomenico Panizza