Busto Arsizio

Ad Auschwitz cercando libertà

Lo scambio culturale, che annualmente il liceo psico-pedagogico realizza con altre realtà scolastiche europee, ha avuto come meta, quest'anno, la Polonia, e in particolare Cracovia e dintorni. Tutta la settimana, trascorsa in famiglie polacche, è stata vissuta intensamente; ma particolarmente coinvolgente è stato l'incontro con la realtà di Auschwitz, che ha suscitato in noi sentimenti di rabbia, di paura, di dolore, uniti alla forte esigenza di fare quanto possibile perché tali orrori non possano ripetersi.

Il luogo si è presentato a noi come una realtà geometrica e ordinata, in cui tutto sembrava progettato da una mente diabolica in funzione dell'eliminazione totale dell'uomo.
Abbiamo così drammaticamente osservato i resti dell'avventura abominevole dell'uomo: un susseguirsi di baracche, oggi adibite a museo, nelle quali vi erano montagne di scarpe, oggetti personali, valigie, vestiti fatti con i capelli dei prigionieri...
Tutto ciò faceva nascere in noi sentimenti di stupore, di compassione e di tristezza e, benché intirizziti dal freddo e dal gelo (c'erano 12 gradi sotto zero!!!), presi dal desiderio di sapere e di capire di più, abbiamo vulcanicamente interpellato la guida che, presentandoci i luoghi significativi del campo: ("il muro del sangue", i forni crematori, le camere a gas), si è particolarmente soffermata a presentare i dormitori e il luogo dell'impiccagione del Kapò del campo.
I dormitori, che erano costituiti da assi di legno lunghe 1 metro e mezzo e da pagliericci nei quali "dormivano" circa 9 persone, hanno acceso in noi un autentico fuoco di rabbia che ci ha aiutato a superare la fredda temperatura del giorno. La vista del luogo dell'impiccagione del Kapò, situata su un'altura che dominava tutto il campo (luogo in cui il Kapò è stato ucciso con gli occhi rivolti verso l'ignobile tragedia da lui creata) ci ha reso consapevoli degli eccessi di barbarie cui si può giungere quando, facendo tacere il linguaggio della ragione, non si sappia riconoscere nella creatura umana l'uomo; quando "con fantasia ritorta / e mani spudorate / dalle fattezze umane l'uomo lacera / l'immagine divina", (come scrive Ungaretti), e ci ha fatto avvertire prepotentemente l'esigenza dell'impegno, che deve essere nostro e di tutti, per "riedificare umanamente l'uomo". Ma la cosa che più ci ha colpito entrando nel campo è stata l'ironica scritta: "Il lavoro rende liberi". In essa si nasconde solo l'amara verità che i prigionieri affrontavano, non sapendo che l'unica libertà che avrebbero trovato in quel luogo sarebbe stata la morte.
Il messaggio che vogliamo lasciare ai nostri coetanei è di credere che il silenzio su questi fatti è l'arma peggiore che l'uomo possa scegliere per condizionare le mentalità. Parlarne allora è testimoniare un fatto, è deplorarne l'esistenza e rifiutarne le abominevoli conseguenze.
Gli studenti dell'Istituto Olgiati (Busto Arsizio)