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Mario P.

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La santità

Con un triplo salto mortale carpiato mi cimento con estrema incoscienza sul tema della santità che viene più volte citato da Paolo nelle sue lettere e anche in questa ai Tessalonicesi (cf.3,13; 4,3; 4,7) senza tener conto delle intere biblioteche esistenti sull'argomento.

Inizierei anch'io, come qualche illuminato predecessore, con la citazione di Devoto-Oli per cui la santità è”la condizione di perfezione spirituale, propria, secondo la teologia cattolica di chi con tutte le proprie forze cerca di riprodurre in se la perfezione divina informando la propria vita ai precetti evangelici” definizione che, a mio modestissimo avviso, e con tutto rispetto per cotanto dizionario, è una gran boiata (forse dovuta al tempo pre-conciliare)perché sembrerebbe dedursi che l'uomo con le sue sole forze può raggiungere la perfezione, mentre sappiamo benissimo che se non interviene la giustificazione di Gesù Cristo e lo Spirito Santo nulla possiamo da soli; al massimo da soli possiamo farci venire l'ernia.

La santità è un tema assolutamente ricorrente in tutta la Bibbia incominciando dalla santità di Dio. Infatti la santità indica la separazione o differenza di Dio da tutte le sue creature. La parola santità, nel suo significato fondamentale sta ad indicare “separazione”, “differenza”. Dio è totalmente altro dal mondo e dall'uomo, in nessun modo deve essere identificato con qualsiasi cosa della creazione. Ciò significa la totale separazione di Dio da tutto ciò che è male, impuro, malvagio. La perfetta santità è la qualità della perfezione, mancanza di peccato o possibilità di peccare che è solo di Dio il tre volte santo “Santo, santo, santo è il signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”(Is 6,3). Come cristiani noi siamo chiamati a ricercare la santità, perché Dio ci ha fatti santi per mezzo di suo Figlio. Essere santificati significa essere “messi a parte” per un uso santo. Dio ci ha separati per scopo di santificazione. Così come Israele, il popolo eletto, santo per elezione da parte di Dio. Se ne deduce che la santità e una vocazione (“Siate santi, perché io sono santo” - Lav 11,44; “poiché sta scritto. Siate santi, perché io sono santo – 1Pt 1,16) che esige una risposta (responsabilità) da parte di tutti e di ciascuno e non solo dei “canonizzati”. Ciò evidentemente non significa che siamo già perfetti perché ben conosciamo la nostra limitatezza e il nostro peccato, ma significa essere invitati ad un cammino perché con la giustificazione da parte del sacrificio di Cristo siamo completamente perdonati (“niente ci può separare dall'amore di Cristo” Rm 8,38). Di qui inizia il processo di santificazione per il quale lo Spirito Santo ci fa crescere nell'immagine di Cristo in tutto quello che facciamo, pensiamo o desideriamo. Noi non possiamo fare niente per meritarci la salvezza che è dono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, mentre la santificazione è un processo che dura tutta la vita sotto l'azione dello Spirito Santo. Per questo la Chiesa è santa nonostante sia peccatrice. Ma come dice Paolo noi non compiamo il bene che vogliamo, ma il male che non vogliamo (Rm 7, 19). Quindi la santità è una continua tensione, una volta che Cristo con il suo perdono entra nella nostra vita, lo Spirito Santo inizia la sua azione con un processo di trasformazione che è personale per ogni individuo. Ma la santificazione non ha niente a che fare con il vivere in una perfetta mancanza di peccato perché in questa vita non saremo mai senza peccato (“se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” 1 Gio 1,8). Pertanto la prima ed essenziale operazione che deve fare ciascuno è “la convinzione che lo Spirito c'è , anche oggi, come al tempo di Gesù e degli apostoli: c'è e sta operando prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada andargli dietro. C'è e non si è mai perso d'animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell'invisibile e del trascendente , la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell'invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa” (Martini – Tre racconti dello Spirito). Questo non vuol dire passività, ma operare per dare spazio nella nostra vita allo Spirito per “progredire ancora di più” (1 Tess 4,1) e, sempre per questo, è importante una regola di vita (1 Tess 4, 2). La regola “parte dalle domande che sono nel cuore di ognuno di noi (Interrogatio) e si sforza di indicare un itinerario credibile e percorribile di risposta nella sequela di Gesù, attraverso il triplice momento della Traditio (i doni a noi trasmessi nella Chiesa ambrosiana), della Receptio (l'accoglienza e la coltivazione di questi doni) e della Redditio (il ridistribuire questo doni ad altri)” (Martini – Parlo al tuo cuore). In buona sostanza il cristiano che vuole mettersi in cammino deve organizzare la propria vita alla luce del Vangelo dandosi un programma che guarda il suo tempo, la sua giornata, dai tempi del lavoro ai tempi della preghiera, alla riflessione, alla relazione con Dio e il prossimo. In estrema sintesi il cristiano è nel mondo (attraverso la giustificazione e lo Spirito che lo conduce, ma non è del mondo (perché santo, separato per volontà di Dio.). Così come afferma la Lettera a Diogneto “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbia-mente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi”. M. P.

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