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Ennio P.

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Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell'ignoranza
a proposito di quelli che sono morti,
perché non siate tristi
come gli altri che non hanno speranza. (1Ts 4,13)

Cosa significa "attraversare felicemente la vita" se non riservare alla Festa non un angolo, ma la casa intera della solitudine che ospita il legame e del tremore che ospita la speranza?
(BENO FIGNON, Aforismi, 3001)
Questa mattina abbiamo celebrato il funerale di un mio coetaneo. A sessantasei anni ci si aspetta di veder crescere i nipoti, e la morte di amici o famigliari ci ricorda che questo non è scontato. All'inizio di settembre ci ha lasciati il nostro amico Beno. " La morte fa paura, oggi più che mai, perché di essa non sappiamo nulla; non abbiamo gli strumenti per dominarla e cerchiamo inconsciamente di ignorarla, relegandola ai margini della nostra esperienza e nascondendola con la solennità delle cerimonie e l'imponenza dei monumenti ". Così - a proposito del culto dei morti - scriveva, pochi mesi prima di morire, un'amica teologa. E concludeva dicendo:
" Gesù mostra un atteggiamento di totale, spregiudicata libertà rispetto a ogni forma di culto dei morti: tutto ciò non lo interessa, è residuo di paganesimo, traccia della presenza del demonio, segno di ipocrisia o di fede incerta e tiepida. La morte è necessaria, passaggio obbligato per la resurrezione: ma appunto, entrando nella morte, l'Autore della vita ha vinto la morte ... L'Agnello sgozzato e ritto in piedi (cfr. Ap 5,6) non giace in un sepolcro: il corpo crocifisso e risorto di Gesù è presente nel sacramento che sempre si celebra sull'altare del inondo ". (MAISA MILAZZO, Oltre l'ombra dei cipressi, 213-218).
Di fronte alla morte, non ci comportiamo diversamente dalla comunità di Tessalonica. Paolo la loda "per l'operosità della sua fede, la fatica della sua carità, la fermezza della sua speranza" (1,1). Eppure quella comunità aveva bisogno di essere sostenuta nella pratica delle virtù - "teologali", perché dono gratuito di Dio - ricordando il fondamento della speranza cristiana: la morte e risurrezione di Gesù.
Qui ed oggi, non mi interessa tanto discutere dell'evoluzione della teologia di Paolo in materia di escatologico cristiano. Mi interessa piuttosto confrontarmi con la domanda di quella comunità, con la risposta di Paolo, e con la testimonianza dei cristiani che mi hanno preceduto. Per imparare da loro cosa vuol dire credere, sperare, resistere nella prova, affidare la propria vita nelle mani di Dio.
I Tessalonicesi patiscono una crisi di speranza e vivono in profonda depressione [1]: impossibilitati a partecipare alla parusia di Cristo, i credenti deceduti non saranno esclusi dalla salvezza? Qual'è il futuro ultimo per i tutti i credenti, vivi e defunti, della comunità? Queste sono le domande dei Tessalonicesi, che spingono Paolo a rispondere per illuminarli, confortarli (4,13-18) ed esortarli ad essere fedeli alla nuova identità di " figli della luce e figli del giorno " (5,1-11).
La risposta di Paolo ha lo scopo di istruire, convincere, creare un forte senso di identità spirituale nella comunità. Mi concentro sul tema specifico della speranza cristiana, che Paolo affronta da due punti di vista: nel suo fondamento costituito dalla venuta del Signore (4,13-18); e nella risposta della comunità, chiamata ad un'attesa vigilante (5,1-11).
La venuta del Signore, fondamento della speranza del cristiano, ha una portata salvifica, che Paolo esprime nei termini di "liberazione dall'ira ventura" (1,10), salvezza (5,8.9), risurrezione dei "morti in Cristo" (4,16), rapimento di tutti, vivi e risuscitati, per andare incontro al signore e vivere sempre con lui (4,17 e 5,10). L'opposto di questa speranza è la chiusura nel presente, vissuto come garanzia rassicurante (5,3). Si tratta di un futuro ultimo di salvezza, ma già anticipato nella storia, anche se in modo parziale: "voi tutti infatti siete figli della luce e del giorno" (5,5). Ne è garante il "Dio della pace" fedele e affidabile (5,23-24) e il precedente della risurrezione di Cristo: "Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui" (5,9-10).
Dunque la fede in Cristo morto e risorto fonda e motiva una solida speranza: credendo al passato intervento del Padre a favore di Cristo, si può fiduciosamente sperare nel suo futuro gesto creativo a favore dei credenti morti. Tutto, come si vede, è affidato all'iniziativa di Dio. per altro mediata da Cristo [2].
La speranza fondata consente ai credenti di aiutarsi e confortarsi a vicenda (4,18; 5,11). Restando sobri, vigilanti e perseveranti nell'attesa del "giorno del Signore" (5,1-2).
Bonhoeffer parlava così della speranza cristiana, che non deve essere confusa con i "miti della redenzione"
La speranza cristiana della risurrezione si distingue da quelle mitologiche per il fatto che essa rinvia gli uomini alla loro vita sulla terra in modo del tutto nuovo e ancora più forte che nell'A.T. Il cristiano non ha sempre a disposizione un'ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell'eterno, come chi crede nei miti della redenzione, ma deve assaporare sino in fondo la vita terrena come ha fatto Cristo ("Mio Dio, perché mi hai abbandonato?") e solo così facendo il Crocifisso e Risorto è al suo fianco ed egli è crocifisso e risorto con Cristo. L'aldiquà non deve essere soppresso prematuramente. In questo, N.T. e A.T restano uniti tra di loro. I miti della redenzione nascono da esperienze limite degli esseri umani. (Lettera n. 169, del 27/6/1944).
Pochi mesi prima di essere arrestato, nella lettera inviata agli amici impegnati nella Resistenza, li invitava ad essere ottimisti e a mantenere viva la speranza, contro tutte le "evidenze", in una parola a resistere:
Essere pessimisti è più saggio: si dimenticano le delusioni e non si viene ridicolizzati davanti a tutti. Perciò presso le persone sagge l'ottimismo è bandito. L'essenza dell'ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tener alta la testa quando sembra che ogni cosa vada per il verso sbagliato, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé. (Dieci anni dopo, Natale 1942).
Un anno e mezzo dopo, dal carcere, invierà all'amico Eberhard Bethge questi Pensieri per il battesimo. Il testo è destinato alla nostra generazione, di nati negli anni a cavallo della guerra:
Riconosciamo più chiaramente che in altri tempi, che il mondo è nelle mani d'ira e di grazia di Dio. In Geremia è detto: "Così dice il Signore: Ecco, io demolisco ciò che ho edificato, e sradico ciò che ho piantato - e tu vai cercando grandi cose per te? Non le cercare! Perché, vedi, io manderò la sventura su ogni carne. Ma a te darò la tua anima come bottino, ovunque tu vada" (cap. 45). Se riusciremo a trarre in salvo intatta la nostra anima vivente dalla distruzione dei beni della vita dovremo ritenercene soddisfatti. Se il Signore stesso distrugge la propria opera dobbiamo lamentarci per la distruzione delle nostre? Compito della nostra generazione non sarà ancora "aspirare a grandi cose" ma salvare e preservare la nostra anima dal caos e vedere in essa l'unica cosa che possiamo trarre come "bottino" dalla casa in fiamme. "Con ogni cura vigila sul cuore perché da esso sgorga la vita" (Prv 4,23). Noi dovremo salvare più che plasmare la nostra vita, sperare più che progettare, resistere più che avanzare. Ma noi vogliamo preservare a voi giovani, alla nuova generazione, l'anima con la cui forza voi dovete progettare, costruire e plasmare una nuova e migliore. (Pensieri per il battesimo, maggio 1944) [3].
Don Giovanni Moioli - teologo e maestro di spiritualità, - negli ultimi mesi di vita prima di soccombere alla malattia, testimoniava la sua resistenza di fronte al dolore, la resa al mistero di Dio e, la sua speranza nel Dio fedele:
Come si può esprimere invece la maniera in cui il Crocifisso vive il dolore e dice una parola non soltanto al dolore dell'uomo, che rimane coerente con la sua missione fino in fondo e subisce perciò contraddizione, ma a tutte le situazioni di dolore dell'uomo?
Possiamo esprimerla utilizzando l'espressione di Dietrich Bonhoeffer, grande cristiano e teologo che morì per reagire al nazismo. Questo pastore protestante, che sentiva profondamente l'ansia apostolica del mondo moderno, ha condensato il senso secondo cui egli viveva quel momento storico, secondo cui egli viveva nelle prigioni naziste (e poi finì ucciso) con un gioco paradossale tra queste due parole: resistenza e resa.
Mi sembra una formula estremamente felice. A patto che non si considerino resistenza e resa quasi fossero due atteggiamenti separati, ma si pensi che un certo tipo di resa di fronte al dolore (non la rassegnazione, dunque, ma una resa come quella di Gesù) sostiene la resistenza; e, viceversa, la resistenza (che è quella che Gesù esprime di fronte alla croce) in tanto è possibile in quanto è animata e sorretta dal di dentro da una certa forma di resa.
Spieghiamo queste due parole: resistenza e resa. Resa non al dolore ma al mistero di Dio, come ha fatto Gesù. L'esperienza del dolore è una provocazione molto forte al senso dell'esistenza. Ma Dio è comunque la garanzia della speranza. Allora non al dolore mi arrendo, ma a Dio, a questa vicinanza strana che sembra una lontananza, una distanza (il mistero di Dio è vicino, ma è un mistero). Questo arrendermi a Dio mi impedisce sia la disperazione, sia la rivolta, sia la lotta titanica contro il dolore. Dentro di me sono un povero, abbandonato: questa è la resa al mistero di Dio. E qui è tutto il segreto di una fiducia, di una speranza, di una confidenza.
(GIOVANNI MOIOLI, La parola della croce).
C.M. Martini, nell'Esame di coscienza in forma di preghiera, ci insegna a pregare per ottenere il dono della speranza:
Spirito benedetto e santo,
Io so che tu accogli
il gemito di ogni creatura
resistendo a ogni falsa sapienza,
a ogni prevaricazione delle potenze.
So che la tua premurosa ispirazione
ci persuade alla speranza
e la tua splendida energia
ci risolleva da ogni prostrazione.
Il mio cuore esulta pensando
che la dignità dell'uomo
e la bellezza del mondo
sono oggetto della tua ostinata fedeltà
e della tua inesauribile cura.
Io confido
nella forza della tua protezione
e con ogni timore e tremore
spero nella potenza del tuo riscatto
per il tempo dell'uomo e della donna.
(C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto).


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