168 deportati: 75 non fecero ritorno

Si chiama Auschwitz, Dachau e San Sabba il prezzo pagato da Ronchi alla libertà

Il presidente dell'Aned di Ronchi dei Legionari, Mario Tardivo, durante la celebrazione

 

L'altissimo prezzo pagato da Ronchi dei Legionari (Gorizia) alla lotta per la libertà (il Gonfalone del Comune è insignito di Medaglia d'Argento al valore), è stato ricordato dal presidente della sezione dell'Aned, Mario Tardivo, in occasione delle celebrazioni del 54° anniversario della Liberazione.
Alla popolazione di Ronchi ha detto fra l'altro che "è stata inferta nel maggio 1944 una profonda ferita che non è facile dimenticare", e che deve restare un monito per le future generazioni.
Quel giorno (era il 24 maggio) furono 64 i ronchesi arrestati e deportati nei campi di sterminio, 11 donne e 53 uomini, dopo che già nel novembre del '43 si erano avuti arresti e deportazioni, che avevano colpito lo stesso Tardivo insieme ai fratelli Arcù e Giacomo.
Il rastrellamento del maggio fu la conseguenza della denuncia di due ex partigiani, passati al nemico. Tutti gli arrestati furono trasferiti alle carceri del Coroneo di Trieste e, dopo un confronto con i delatori, conobbero la propria sorte: gli uomini finirono a Dachau e le donne ad Auschwitz. Quell'episodio non fermò purtroppo le due spie che continuarono con altre denunce. Complessivamente ben 168 ronchesi finirono nei lager. 75 di loro non fecero ritorno.
Tra i protagonisti di quella pagina oscura e tragica della nostra storia, Angelo Cenedese, Oliviero De Bianchi e Arcù Tardivo, che il 22 giugno '44 trasferiti dal Coroneo di Trieste alla Risiera di San Sabba, furono uccisi insieme ad altri detenuti italiani, sloveni e croati, combattenti della Resistenza nel Litorale adriatico.

 

Roma: incontro a Palazzo Giustiniani

La "Giornata della memoria" sarà legge dello stato

"Per quanto sublime possa essere l'arte del dimenticare noi non possiamo praticarla".

Ricordando queste parole di Gershom Scholem, l'onorevole Luciano Violante sottolinea il senso dell'incontro a Palazzo Giustiniani dei superstiti dei campi di sterminio, dei familiari dei sommersi, dei rappresentanti delle istituzioni, di cittadini democratici, tutti insieme per affermare, nella giornata che segnò nel 1945 la liberazione da Auschwitz, l'impegno a far sì che in questa data una legge dello stato italiano sancisca la Giornata della Memoria.
Un momento forte ed alto di riflessione che, oltre al ricordo di anni tremendi e feroci, sia atto di giustizia nella condanna irreversibile del nazifascismo. E perché ciò che è stato non sia mai più. Ancora Violante ricorda che senza il principio della discriminazione Auschwitz non sarebbe esistito e che il razzismo è proprio l'aspetto del fascismo e del nazismo che può ritornare. Prima di lui il presidente del Senato, Nicola Mancino, ha voluto collegare la necessità della memoria all'oggi, come cardine della convivenza civile e pacifica, così come il senatore Athos De Luca, primo firmatario della proposta di legge, ne ha illustrato motivi e finalità. L'onorevole Furio Colombo, con un lucido e teso intervento, ha sottolineato i valori positivi, insiti nella tragedia della Shoah, vedendo nell'apertura dei cancelli di Auschwitz "il dono della libertà" anche per i carnefici, altrimenti costretti ad essere tali per sempre, e quindi affermando che l'eredità della Shoah, il suo patrimonio, è e deve essere di tutti. Ad Amos Luzzato il compito di ricordare come il grande furto della cultura ebraica ci abbia reso tutti più poveri. Di profondo significato etico le parole del rabbino Laras. Marso Szulc ha presentato la neonata associazione Figli della Shoah. Infine il sindaco di Roma Francesco Rutelli - ancora una volta e con forza - ha riconfermato come la pagina sconvolgente della razzia del Ghetto è e sarà storia di Roma. E per non dimenticare, le testimonianze di Nedo Fiano e di Alberto Mieli, superstiti di Auschwitz, che nella loro sconvolgente semplicità e immediatezza hanno aperto e concluso l'importante momento di riflessione.