Ci scrive Milena Bracesco

Un ricordo di don Camillo Valota

Fu nel 1965 la prima volta che vidi don Camillo Valota. Di lui sapevo attraverso la mamma e i racconti di Romolo Grilli amico di mio padre, monzese come lui e che come lui condivise un periodo di prigionia a Fossoli. Fu li in quei campi di concentramento che don Camillo seppe da Romolo, diventato suo grande amico, che quell'uomo senza una gamba che dormiva qualche baracca più in là si chiamava Enrico Bracesco, monzese, internato politico quale elemento molto pericoloso e uno degli organizzatori degli scioperi del marzo '43 alla Breda di Sesto S. Giovanni.
Furono poche le occasioni che ebbero di scambiarsi delle parole ma si conobbero attraverso Romolo; comunicavano attraverso sguardi e gesti, si trasmettevano l'un l'altro coraggio e solidarietà.
Viaggiarono tutti e tre sullo stesso vagone bestiame; direzione: Germania, Romolo al confine riusci prima di una galleria a saltare dal treno, fuggi e tornò alla sua famiglia. Don Camillo prosegui e rimase a Dachau con altri sacerdoti fino alla liberazione del campo. Mio padre non tornò più. Fini a Mauthausen e poi a Hartheim dove fece da cavia ai medici nazisti.
Per me don Camillo ha sempre rappresentato il senso della religiosità vera che passa attraverso sofferenze umane, umiliazioni e privazioni, le stesse sofferenze subite da mio padre e dai suoi compagni. Ho sempre sofferto molto del fatto di non avere conosciuto mio padre. Ricordo da bambina quando mi isolavo dai miei compagni di gioco e seduta sulle scale di una casa di cortile piangevo per
questa grande assenza. Don Camillo lo aveva conosciuto e già questo per me rappresentava un anello di congiunzione importante e cosi, quando nell'agosto del 1965 decisi di sposarmi, chiamai don Camillo dalla Francia dove si trovava a svolgere la sua missione di sacerdote presso una comunità di minatori italiani a Monceau les Mines. Se lui non avesse potuto celebrare il matrimonio mi sarei sposata civilmente.
Lui venne, con la sua piccola automobile, vestito non con la tonaca come tutti i sacerdoti di allora, ma con pantaloni e camicia scura. Mi venne incontro sorridendo e baciandomi mi ringraziò di averlo chiamato. Fu una cerimonia stupenda, spontanea e senza retorica. Da quel giorno ho avuto un grande amico. I I nostri rapporti continuarono e almeno una volta all'anno veniva a Monza a
trovarci, era bello parlare con lui cosi buono e umile, amava il suo lavoro, cosi lo definiva, amava i suoi minatori perché lo facevano sentire utile e importante.
Mi fu accanto alla nascita dei miei figli, alla morte di mio marito e alla morte della mamma con le sue parole di conforto. Uni in matrimonio anche mia nipote Marica, figlia di mio fratello Luigi. A settembre di quest'anno con amici dell'Aned di Sesto San Giovanni mi sono recata a trovarlo nella sua casa di riposo di Bormio. Sono contenta di averlo salutato ancora al suo tavolo da lavoro: era seduto davanti alla sua vecchia macchina da scrivere, ai suoi libri, ai suoi ricordi. Lo ricorderò sempre cosi, ancora vivo, sorridente e attivo.
Grazie don Camillo per quello che hai fatto per me e per la mia famiglia, tu sarai sempre con noi perché fai parte della nostra storia.
Milena Bracesco Ronchi