"Renicci", di Carlo Spartaco Capogreco |
Quanti Lager nell'Italia di Mussolini |
Un pezzo di storia d'Italia ancora assai poco conosciuto: le decine di campi di concentramento disseminati lungo tutta la penisola nel periodo tra la dichiarazione di guerra e l'armistizio dell'8 settembre '43. |
Che pena vedere una cartina d'Italia costellata di indicazioni dei luoghi dove sorgevano campi di concentramento militari e civili. Carlo Spartaco Capogreco dopo aver fatto conoscere, letteralmente, a tutto il mondo, il campo per ebrei stranieri di Ferramonti di Tarsia con il nuovo libro "Renicci. Un campo di concentramento in riva al Tevere" estende ed approfondisce la sua ricerca sui soprusi di cui furono vittime i cittadini italiani e in maggioranza sloveni e croati delle nuove province italiane di Lubiana, Spalato e Cattaro. Il campo di Renicci sulle rive del Tevere tra Arezzo e San Sepolcro offende con la presenza la civiltà di questo territorio cosi ricco di memorie storiche e di opere d'arte di inarrivabile pregio. I campi furono tanti e il loro numero appare a noi sterminato. Capogreco parla tra il 10 giugno '40 e l'8 settembre '43 di cinquanta campi di internati civili ed una decina di pertinenza del Regio Esercito ed una settantina per prigionieri di guerra. Campi e confino di polizia preesistevano nei 17 anni in cui furono in vigore le "leggi eccezionali". Date, dati e nurneri rivelano a che prezzo il regime fascista ottenesse l'apparente consenso. Capogreco descrive il disagio dei prigionieri: la scarsità dei vitto, la scarsezza dell'acqua, la diffusione dei parassiti, le malattie, il trattamento più da criminali che da politici. Qualche attenuazione si ebbe per l'intervento della Santa Sede. Con grande equilibrio Capogreco annota sia gli aspetti negativi delle condizioni dei prigionieri sia i miglioramenti ancorché modesti. Questo libro di cui raccomandiamo vivamente la lettura getta luce su aspetti non molto conosciuti e in parte dimenticati che invece é bene siano conosciuti, di quei tempi cosi carichi di dolore, intrisi di vergogna, ma anche luminosi perché con l'oppressione nasce la Resistenza. Troviamo più volte ripetuto il nome di una persona a noi rivelata dal culto della memoria della figlia, il nome di Antonio Vincenzo Gigante, italiano antifascista da sempre, tenace militante sindacale già confinato a Ustica, che da Renicci riesce a fuggire raggiungendo l'Istria e la Dalmazia dove organizza una formazione partigiana. Ma sarà deportato e rinchiuso, torturato e ucciso alla Risiera di San Sabba. Una medaglia d'oro al valor militare ricorderà le sue gesta. Di lui si interessò per chiedere al ministro degli interni di Badoglio la liberazione, quel personaggio straordinario che fu Giuseppe Di Vittorio che ebbi l'onore di conoscere. Ecco una triangolazione degli affetti: l'amicizia per Miuccia Gigante e la frequentazione all'Aned di cui é segretaria generale, Carlo Spartaco Capogreco attivissimo che assume su di sé gran parte dell'impegno di tramandare la memoria e il sottoscritto che lo considera un carissimo amico. Prima di chiudere desidero segnalare l'impegno di attento osservatore e ricercatore di Capogreco che ha attentamente consultato le fonti documentarie italiane e straniere. B. V. |