Che uomini sarebbero i bambini di Terezìn?

Anni fa, in un bellissimo articolo su Anna Franck, apparso sulla "Stampa", Luigi Firpo si chiedeva che donna matura sarebbe stata quell'adolescente intelligente e coraggiosa che ci ha lasciato nelle pagine del suo diario una delle più alte testimonianze sulle persecuzioni razziali. E la stessa domanda viene alla mente di fronte ai disegni dei bambini di Terezìn, che vissero, transitarono e morirono in questa fortezza a circa cinquanta chilometri da Praga, costruita da Giuseppe II.
Il carcere asburgico, in cui tra l'altro morì il nazionalista Princip, l'attentatore di Sarajevo, fu, infatti, utilizzato dai nazisti, a partire dal 1941
come "ghetto modello", un "rnodello" da far visitare alla Croce Rossa Internazionale e al tempo stesso come macchina per distruggere la vita di migliaia di persone per denutrizione e malattie.
I disegni di questi bambini sono oggi riuniti in un piccolo museo a fianco del cimitero ebraico di Praga: ci ricordano che coloro che li hanno
disegnati non sono diventati donne e uomini, che non sapremo mai che esseri adulti sarebbero stati.
La fantasia e il timore, l'amore della vita e l'incubo della morte, testimoniati da quei foglietti di carta, non poterono divenire, infatti, la prima parte di una lunga storia da ricordare, ma furono, quasi sempre, gli atti conclusivi di una breve e drammatica esistenza.
Per tanti, per troppi: a Terezìn, infatti, transitarono 15.000 bambine e bambini e ne sopravvissero solo 1.000. Per molti la destinazione finale furono i crematori di Auschwitz. Molto opportunamente l'Aned di Torino ha voluto, nell'anno dell'infanzia, dedicare uno dei propri viaggi a Terezìn, toccando poi anche la città martire di Lidice ed Ebensce, un sottocampo di Mauthausen. In tale circostanza ho avuto il compito di rappresentare la Camera dei deputati e Pino Chiezzi, per la Regione, Anna Cardano e alcuni consiglieri per le Province di Novara e di Vercelli hanno sottolineato, come sempre, l'attenzione delle autorità locali piemontesi verso queste importanti iniziative. Il Presidente della Repubblica ha voluto sottolineare il significato del viaggio in un telegramma, che diceva tra l'altro: 'L'Aned di Torino rinnova il suo costante e appassionato impegno di testimonianza ai valori della libertà e della pace con il pellegrinaggio al campo di concentramento di Terezìn, luogo tristemente noto per le atrocità commesse soprattutto sui bambini. Nell'anno dedicato all'infanzia questa significativa scelta rappresenta un forte monito contro ogni forma di prevaricazione e di violenza, soprattutto con riferimento alle infamie commesse a danno dei più deboli ed indifesi fra gli esseri umani".
A Praga, appunto nel cimitero ebraico, ha avuto inizio il nostro itinerario. Lì c'è, come ho detto, il museo che ospita i disegni dei bambini, ma c'è anche la sinagoga sulle cui pareti sono scritti i nomi di 72.000 deportati cecoslovacchi e c'è il vecchio cimitero, nel quale per secoli le tombe si sono affollate, divenendo così, anche visivamente, il simbolo della persecuzione, della costrizione degli ebrei in uno spazio ristretto ed inadeguato.
Nella vita e nella morte.
Da Praga a Terezìn: la fortezza boema, come si è già detto, è stata prigione, in molte fasi della sua storia. Ma, sotto il nazismo, divenne un campo di concentramento, mascherato da "ghetto modello", in cui simulare fittizie condizioni di benessere e girare film di propaganda, mostrando le immagini di bimbi che giocavano.
In realtà la loro vita era quella che Helen Lewis, nel suo libro "Il tempo di parlare" (Einaudi 1992), ricorda così: "A settimane alterne facevo il turno di notte per sette sere consecutive. Ciò sianificava che dovevo dormire nel ricovero e affrontare numerose emergenze, incubi notturni e pipì a letto, volontarie malefatte e attacchi di ansia e di disperazione che spezzavano il cuore. La prima cosa da fare al mattino era fruga-
re quelle testoline alla ricerca dei pidocchi, cercando di non esserne infettate a nostra volta. Poi dovevamo organizzare un programma di attività utili, stimolanti e interessanti, ma non un vero insegnamento, che era proibito in base al principio che i piccoli ebrei dovevano restare ignoranti per punirli di essere ebrei. ( ... ) Era impossibile restituire alle bambine il senso di sicurezza che avevano perduto, e quell'ora al giorno che erano autorizzate a trascorrere con i genitori non faceva che peggiorare la sensazione di abbandono per il resto del tempo".
Chiunque può comprendere che tipo di amara attività di custodia potesse essere quella di un adulto che non poteva insegnare nulla e che doveva abituare i bambini a fare a meno dei genitori. Ma il peggio per molti doveva ancora arrivare: ad Auschwitz-Birkenau le camere a gas lavoravano instancabilmente. Ancora Helen Lewis, quando narra l'esito di una selezione alla quale, per sua fortuna riuscì a sfuggire: "Alle donne che avevano passato la selezione fu ordinato di marciare fuori dal Lager per famiglie di Birkenau verso il Lager delle donne.
Vecchi, ammalati, bambini rimasero indietro. Quella stessa notte il Lager per famiglie si illuminò di una profusione di colori, dall'arancio al rosso intenso. Noi guardammo le fiamme che consumavano i corpi di quelli che erano stati lasciati indietro".
I bambini rimasero indietro. Rimasero indietro anche i bambini di Lidice, che subirono insieme a tante donne e tanti uomini la rappresaglia feroce degli occupanti tedeschi, seguita all'attentato delle forze partigiane in cui era stato ucciso R. Heydrich, protettore del Reich in Boernia
e in Moravia, e furono deportati a Ravensbrück e in altri campi.
Scomparvero ma non sono scomparsi i loro disegni, che restano, insieme alle valigie con le date di nascita (Jorge 1939 ... ), ai capelli, agli oggetti minuziosamente raccolti per compiere il totale sfruttamento, ad impedire, per sempre, a chiunque abbia occhi per vedere e cervello per capire, di accettare qualunque forma di revisionismo.
Chiara Acciarini

 

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