Cinquantacinque anni
orsono, proprio in questi giorni e in queste ore, un trasporto - una
locomotiva e parecchi carri bestiame - attraversava l'Europa sconvolta
dalla guerra nazifascista, avvicinandosi sempre più a questo luogo di
morte. Il suo carico erano più di mille nostri concittadini, strappati
con inaudita ferocia alle loro case del Portico d'Ottavia, di via della
Reginella, del Ghetto. Erano ebrei, bambini - il più piccolo non aveva
che pochi giorni - donne, uomini. Ricchi e poveri, vecchi, sani e malati,
madri, famiglie intere. Esseri umani che le leggi razziali e la criminale
ideologia che le aveva volute, nel silenzio dei più, avevano contribuito
a declassare a sottouomoni, da eliminare quindi per la salute, la sopravvivenza
e le fortune dei semidei del "Reich millenario".
Una sola donna - ed è qui con noi - e poco più di una decina di uomini
sopravvissero e tornarono nella nostra città. Dopo di loro un altro
migliaio di ebrei fu deportato da Roma e migliaia di altri dalle città
e dai paesi della nostra nazione. Più di 8500 persone, e sicuramente
di un altro migliaio ancora ignoriamo la sorte. E con loro non meno
di altri 32.000 italiani: politici, partigiani, antifascisti, militari,
lavoratori e scioperanti, ministri di culto, testimoni di Geova, omosessuali.
Tutti destinati ad essere assassinati per gas nei Vérnichtunglager o
per lavoro nei Konzentrationlager. La città di Roma, con il suo sindaco,
con le rappresentanze delle istituzioni, del parlamento, della comunità
ebraica, delle associazioni della deportazione, dell'antifascismo e
della resistenza, dei Rom, degli internati militari, dei rastrellati
del Quadraro, ma soprattutto con i suoi studenti, con i suoi giovani,
vuole oggi e qui ricordare le vittime dei campi della vergogna, guidati
in questo "Viaggio della memoria", in questa giornata di testimonianza
e di meditazione da alcuni dei superstiti - e avremmo voluto averli
tutti con noi.
A loro sappiamo di aver chiesto l'immane sacrificio di rivivere un lacerante
insopprimibile dolore. Ma non inutilmente. Con loro percorreremo un
itinerario di ricordo, di approfondimento, di riflessione. Siamo ad
Auschwitz non solo per rendere testimonianza di fratellanza e di solidarietà.
Non solo per ricordare. Non solo per avere memoria di una tragedia incommensurabile.
Ma anche e soprattutto perché i superstiti, con le loro parole, con
il racconto delle loro vicende ci faranno comprendere - per capire lo
ieri ed evitare che tutto possa ripetersi domani - come la Shoah, la
deportazione, l'assassinio di 11 milioni di esseri umani (oltre sei
milioni gli ebrei, un milione di bambini, più di mezzo milione gli zingari)
non siano stati il frutto imprevisto ed imprevedibile dell'insensata
ferocia e della barbarie di una guerra, ma al contrario siano stati
voluti, perseguiti e realizzati da regimi criminali e da uomini comuni
che, ripudiati tutti i valori di giustizia, libertà, tolleranza, democrazia
e civiltà, proclamarono a loro credo e fede assoluta il razzismo, la
violenza, il terrore.
Auschwitz, Birkenau, Treblinka, Mauthausen, Dachau, Bergen Belsen, la
Risiera di San Sabba, Buchenwald, Ravensbrück, i campi di sterminio
e di concentramento insomma, non furono un deplorevole e tragico incidente,
ma la logica conseguenza, la più vera e concreta rappresentazione di
ciò che il nazifascismo volle essere e fu.
Mai più, giurarono i superstiti alla liberazione dei Lager. Sta a noi
tutti ora che mai più sia.
Shalom, Pace
Aldo Pavia
|