Primo Levi
mi prese la mano e mi disse: "Ma come scotti"
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Quando ha visto
al cinema la pellicola di Rosi, Bice Azzali ha pianto per i ricordi
che quelle immagini le hanno fatto riaffiorare dopo tanti anni, facendole
tornare alla mente i mille e mille che da quel campo non son tornati.
E ha continuato a piangere anche tornata a casa, per quasi due giorni,
tanta era stata l'emozione. Ma in fondo in fondo, nel suo cuore un po'
ha gioito: se quel film può circolare nelle sale, una minuscola percentuale
di merito che l'ha anche lei, che fin dall'inizio ha incoraggiato Francesco
Rosi - senza conoscerlo personalmente - a impegnarsi in questa sfida.
La storia di questo rapporto epistolare con il regista ce la racconta
lei stessa. "Diversi anni fa, dice, per caso, come capita, ho visto
in televisione Francesco Rosi che parlava di questo suo progetto. In
una intervista spiegò la sua voglia di portare sullo schermo il bellissimo
libro di Primo Levi, ma anche tutti i suoi timori. Temeva le difficoltà dell'impresa, ma temeva
anche che il pubblico, al giorno d'oggi, non avrebbe avuto voglia di
andare a vedere un film simile, perché la gente oggi non vuole fare
i conti con i grandi dolori del mondo." Dando ascolto all'istinto, Bice Azzali prese
carta e penna e scrisse una appassionata lettera indirizzata al regista,
incitandolo a non farsi vincere da quei timori, sicura che il libro
di Primo Levi gli avrebbe offerto materia per un film di qualità, che
avrebbe saputo parlare anche al grande pubblico, aiutandolo a non dimenticare
lo sterminio nazista e i molti milioni di uomini, donne e bambini che
furono falciati nei campi di Hitler. Non sapendo in quale modo riuscire a far pervenire
il suo incoraggiamento al regista, indirizzò la sua lettera all' "Unità",
che la pubblicò. Poco tempo dopo a Bice Azzali giunse inattesa l'affettuosa
risposta del regista. "La sua lettera, scriveva Rosi nell'agosto del
199 1, è un incoraggiamento alla scelta 'difficile' che ho fatto di
trarre un film da La Tregua di Primo Levi. Scelta difficile per
i tempi che corrono, in cui la gente sembra non abbia voglia di sentirsi
ricordare le grandi sofferenze che toccano all'umanità periodicamente."
Per anni anche Bice Azzali, alle prese con i
suoi malanni, ha atteso come altri l'uscita del film. E, appena le sue
condizioni di salute gliel'hanno consentito, si è fatta accompagnare
a vederlo. "Un film magnifico, commovente, stupendo, umano, tecnicamente
perfetto", dice adesso, lasciandosi trascinare dall'entusiasmo.
Per lei e per tanti ex deportati che l'hanno visto, il lavoro di Rosi è stato anche un tuffo nel passato: "Mi ha fatto rivivere con le lacrime tutte le mie sofferenze di quel periodo. Ma anche le emozioni grandi, come quella di quando ho visto arrivare fuori del Lager i soldati russi. Noi eravamo spaventati, e loro ci mostravano il cappello con la stella rossa. 'Ruski, ruski', dicevano, e finalmente allora abbiamo capito che eravamo liberi. Ricordo quando il generale dell'Armata Rossa Timocenko arrivò tra di noi, con il suo cavallo. Era un bellissimo uomo, e a noi su quel cavallo pareva anche più bello e importante. Ci annunciò che eravamo liberi dall'inferno nazista, e ci disse che ci avrebbe riportato a casa. Poi ci chiese di cantare '0 sole mio' quasi fosse il nostro inno, e l'Italia ci parve improvvisamente così vicina. E invece..." Invece per tutti iniziò il purgatorio; un interminabile viaggio attraverso paesi devastati dalla guerra, nelle retrovie di un conflitto che non era ancora terminato e che sarebbe costato ancora centinaia di migliaia di vittime sui campi di battaglia ma anche nei grandi e piccoli Lager nazisti ancora in funzione, nei quali i deportati di tutta Europa lavoravano come schiavi 41 servizio della macchina bellica nazista. Il caso fece brevemente incrociare il destino di Bice Azzali con quello di Primo Levi, in quel periodo di "tregua". "Ricordo, dice, che un giorno a Katowice incontrai per caso in uno stanzone che fungeva da ambulatorio due italiani: uno era il dottor Leonardo De Benedetti, che avevo già conosciuto, e che mi apparve vecchissimo ma come sempre gentile e premuroso verso gli altri; e l'altro era il giovane Primo Levi, che si adoperava come infermiere." "Primo Levi mi prese la mano e mi disse: 'Come scotti', ma in realtà a me pareva che lui scottasse più di me. 'Quanti anni hai?', mi chiese. 'Ventiquattro', risposi, 'e tu?' 'Venticinque'. Povero Levi, ne dimostrava ottanta!". Le strade dei due tornarono ad incrociarsi un altro paio di volte, in Polonia "e su quel maledetto treno che doveva portarci a casa e che invece sembrava andare ovunque meno che verso l'Italia". Ma allora Primo Levi era uno dei tanti; solo dopo, con l'uscita del suo Se questo è un uomo, la sua si impose come una delle voci più alte tra i testimoni dello sterminio nazista. 1o penso spesso a lui e ogni volta lo ringrazio, dice Bice Azzali. Grazie per avere scritto, per aver fatto conoscere al mondo la nostra tragica storia. E adesso penso con gratitudine anche a Rosi: grazie anche a lui, per aver realizzato in modo così perfetto un film sul libro di Levi. Sono certa che lui ne sarebbe stato felice." "Noi ex deportati, dice ancora Bice Azzali, che di questo secolo abbiamo visto di persona la pagina peggiore, vorremmo dire sempre basta con le stragi, con le guerre, coi terrorismi, la violenza; vorremmo un mondo di pace e di giustizia. E io penso e spero che il film di Rosi possa portare ancora il suo contributo. Come ha fatto Primo Levi, con i suoi libri. E come continueremo a fare finché ce la faremo noi, ex deportati superstiti dei campi di Hitler."(Da "Milano Mattina" dell'8 giugno 1997) |
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