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Nella storia della deportazione in Italia una data aurea è quella
della uscita del libro di Liliana Picciotto Fargion
Il Libro della memoria (Gli ebrei
deportali dall'Italia 1943-1945),
Milano 1991. In questo
testo per la prima volta si affronta il tema della deportazione
ebraica dall'ltalia ricostruendone in veste storica le modalità,
i luoghi ed i tempi, ma soprattutto la ricerca comprende un
"elenco della memoria" con i norni di 8869 deportati ebrei con
i dati anagrafici di essi, ed informazioni relative alla cattura,
alle peregrinazioni successive, ai lager di transito, al luogo
finale della deportazione, ed infine alla sorte del deportato.
L'importanza dal punto di vista storico di questo testo è evidente,
si tratta dell'unico tentativo del tutto riuscito di dare un
contenuto oggettivo ed inoppugnabile alla tragedia della deportazione
ebraica dall'Italia. I dati presunti
relativi alla deportazione considerata nella sua globalità (la
deportazione che colpi non soltanto gli ebrei, ma anche gli
oppositori politici al regime nazi-fascista) sono di circa 40-45000
deportati complessivi. Dunque
la deportazione non razziale coinvolse in Italia 30-35000 persone:
per quest'immensa umanità travolta dalla tirannide non esiste
a tutt'oggi, a cinquant'anni dalla Liberazione, un'opera di
riferimento che consenta di restituire un nome a ciascun individuo
coinvolto nel dramma collettivo. Infatti resta tutto da compiere
un lavoro per la deportazione politica pari a quello appassionato
della Picciotto Fargion: soltanto nell'ultimo Convegno Nazionale
dell'ANED (Associazione Nazionale Ex-Deportati politici nei
campi di sterminio nazisti) è stato sollevato il problema di
intraprendere la strada del lavoro storico con un più vasto
impegno. Un primo generoso contributo in tal senso è stato compiuto
dall'ex-deportato a Mauthausen Italo Tibaldi: nel libro
Compagni di viaggio, Milano 1994,
vengono ricostruiti i trasporti che partivano dall'ltalia (le
date, le località di partenza e di arrivo) verso i Lager nazisti,
in tutto 123 "trasporti" con i nominativi di circa 2000 prigionieri
ancora viventi. Da questi dati
risulta quanto impervia sia la strada della ricostruzione del
fenomeno "deportazione" nella sua vera portata numerica.
Nell'attuale momento storico, soggetto
a tentativi revisionisti anche in Italia, diviene un imperativo
morale questa indagine ed è importante l'affermazione di Bravo-Jalla
(A. Bravo-D. Jalla, Una misura
onesta - Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia
1944-1993,
Milano 1994): "Come le immagini le cifre
sono simboli, per certi aspetti reliquie di un corpo collettivo,
con tutto quello di sacro e insieme di pietrificato quest'immagine
comporta" (p. 43). D'altra parte,
a cinquant'anni dalla conclusione del fenomeno concentrazionario,
è illusorio pensare di far riemergere dall'oblio del tempo trascorso
tutti i nominativi dei deportati, molti di essi rimarranno sommersi:
la stessa Fargion sostiene che nella sua pur documentatissima
ricerca sicuramente mancano "dalle 900 alle 1100 persone delle
quali si è ormai persa la speranza di ritrovare i nomi." (p.
25).
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Il proposito che ci ha guidato nella ricognizione relativa alle
donne di Ravensbrück muove da queste oggettive e dolorose consapevolezze
e in tal senso non può che proporsi che come documento in redazione
non definitiva e passibile di precisazioni che lo completino.
Tuttavia riteniamo che la lista da noi compilata e che abbraccia
più di seicento nominativi, rappresenti un primo cospicuo ampliamento
del numero tradizionalmente celebrato di 322 donne deportate
a Ravensbrück dall'Italia, numero inciso sulla lapide commemorativa
- presente nel Museo stesso del Lager - nella quale si rende
conto del sacrificio delle donne per nazione di appartenenza.
Non va sottaciuto inoltre che la presenza delle italiane a Ravensbrück
è stata completamente misconosciuta anche nel contributo di
Germaine TilIon, Ravensbrück,
Paris 1988: "Les Italiennes que j'ai connues avaient toutes
arretées en France, et nous ne les distinguions pas de Francaises:
mais, après le revirement de l'Italie, il y eut, parait-il,
un convoi d'Italiennes qui, directement arretées dans leur pays,
arrivèrent à Ravensbriick, où elles moururent très vite" (p.
184). D'altra parte, è comprensibile la mancanza di partecipazione,
se non di simpatia nei confronti delle italiane: il motivo è
sia di ordine quantitativo (le francesi deportate a Ravensbrück
furono 3200) sia di ordine storico, poiché era difficile agli
occhi dei resistenti europei dissociare l'immagine dell'Itlia
fascista e nemica da quella delle italiane presenti in Lager.
Trattamento diverso riservano
alle italiane di Ravensbrück le slovene Erna Muser e Vida ZavrI
nella loro monumentale opera dedicata al Lager: "Più di tutte
mi sono piaciute le italiane, coscienti antifasciste" (p. 465).
Diversa stigmatizzazione merita
la scarsità di dati riportati da Valeria Morelli, che come osserva
Lidia Rolfi Beccaria (Il Lager
di Ravensbriick. La popolazionefemminile dalla nascita del campo
alla liberazione, pp. 31-46:42, in Consiglio regionale del
Piemonte-ANED, La deportazione femminile nei Lager nazisti,
Milano 1995), dopo anni di ricerca sui deportati italiani
nei campi di sterminio nazisti (I deportati italiani nei
campi di sterminio, Milano 1965) individua per Ravensbrück
solo quattro decedute: Jole Baroncini, Gilda Ligato, Armida
Natalini e Maria Rubano, e, fra le sopravvissute, le sole sorelle
Angelina e Nella Baroncini". Si noti che questa indagine fu
commissionata dallo stesso Governo italiano.
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Come per la ricostruzione storica delle vicende di altri Lager,
la storia di Ravensbrück è affidata a fonti tipologicamente
varie e soprattutto sui generis: "La storia cronologica del
campo di Ravensbrück è stata ricostruita su pezzi di documenti
copiati e rubati dalle detenute
che lavoravano negli uffici centrali
del Lager, sulla memoria delle
sopravvissute che in Lager avevano la possibilità di sapere,
di conoscere l'organizzazione, di avere contatti con tutte le
detenute delle altre nazionalità, quelle che in sostanza potevano
usufruire di un buon osservatorio; e inoltre su alcuni elementi
forniti dal servizio di ricerca scientifica della repubblica
democratica tedesca" (Rolfi Beccaria, art. cit., p. 3 1). Collaborò
alla scomparsa di molto materiale documentario anche un incendio
doloso provocato alla vigilia della liberazione, avvenuta ad
opera delle truppe sovietiche il 30 aprile 1945. Il campo era
stato costruito nel tardo autunno 1938 da un Kommando di prigionieri
del vicino campo di Sachsenhausen: fu collocato sulle rive del
lago Schwed, dirimpetto alla cittadina di Fürstenberg, a circa
80 km da Berlino. Oltre alle prime 32 baracche per le prigioniere
(per prime vi furono intemate 860 tedesche e 7 austriache),
sorsero abitazioni per le SS, uffici amministrativi e una fabbrica
della Siemens in cui verranno utilizzate le prigioniere per
la produzione di armi. La prima stratificazione del campo -
inaugurato nel maggio 1939 - fu costituita da deportate politiche
(triangolo rosso), da Testimoni di Geova (triangolo viola) e
da zingare e asociali (triangolo nero). Il campo, con l'espansione
della follia nazista, si internazionalizza sempre di più: arrivano
le polacche (settembre 1939), le cecoslovacche (1940), le sovietiche
(1942). Nell'ottobre del 1943 la popolazione è di 24.588 deportate
appartenenti a tutta l'Europa (Russia, Ucraina, Jugoslavia,
Grecia, Francia, Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia). L'anno
più drammatico è il 1944: a dicembre le prigioniere presenti
a un appello risultano 43.733, con una crescita di 19000 unità
a partire dal mese di aprile. Un forte incremento è rappresentato
dalla presenza delle polacche di Varsavia. A partire dal giugno
1944 sino al gennaio 1945 si susseguono i trasporti delle italiane.
Nella ricostruzione del Tibaldi (tralasciamo le valutazioni
quantitative, già indicate dall'Autore come "cifre per difetto")
figurano i seguenti trasporti:
Trasporto n. |
Luogo di provenienza |
Data
di arrivo |
57 |
Torino |
30/6/1944 |
70 |
Verona |
5/8/1944 |
91 |
Bolzano |
11/10/1944 |
103 |
Trieste |
24/11/1944 |
105
|
Trieste |
novembre 1944 |
108 |
Trieste |
6/12/1944 |
112 |
Bolzano |
20/12/1944 |
117 |
Trieste |
16/1/1945 |
Abbiamo
potuto prendere visione della Lista dell'ultimo trasporto
(qui riprodotto come documento n. 1),
da Trieste: esso comprendeva 160 donne. Alla luce della
nostra lista, appare inverosimile ipotizzare, tenuto conto del
numero di trasporti dall'Italia, un numero superiore al migliaio
per le donne di Ravensbrück?
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