Così ricordiamo Lidia Rolfi

 

La scomparsa di Lidia Roffli ha provocato un'autentica ondata di commozione tra i tanti che l'hanno conosciuta, apprezzandone l'intelligente impegno. In sua memoria ci sono arrivati numerosissime testimonianze, che solo la mancanza di spazio ci impedisce di pubblicare integralmente. Di questo sinceramente ci scusiamo con tutti, sicuri che comprenderanno la nostra difficoltà e anche il nostro imbarazzo.
Nuto Revelli ricorda il primo incontro con Lidia Rolfi: "Erano gli anni dell'immediato dopoguerra. Ero andato a trovare l'amico Dino Fresia, nel suo negozio di via Roma. E lì c'eri tu, Lidia, un po' appartata, quasi schiva, cordiale ma di poche parole, chiusa in te stessa. Ecco, mi è rimasto questo ricordo preciso, di una Lidia piegata dalle sofferenze subite, sulla difensiva, come se temesse di parlare e di non essere compresa. Una cosa era parlare con Dino Fresia, che sapeva tutto dei campi di sterminio, che era sopravvissuto al Lager di Flossemburg. Con Dino Fresia non avevi problemi. Io, ex partigiano, ero un estraneo al vostro mondo. Ero uno che sapeva e non sapeva. La paura di Lidia: la paura di non essere capita, di essere fraintesa!".
Carla Campagnuolo, capogruppo del Patto dei democratici alla Regione Piemonte ha ricordato "Lidia, donna sempre controcorrente ": "Grazie, Lidia, per come sei stata: partigiana, antifascista, socialista, donnaforte e dolce. Te ne sei andata con il canto dei giovani che non ti dimenticheranno e continueranno a raccontare la tua storia: una storia di libertà ".
Maria Clara Avalle ha preso lo spunto dall'ultimo libro di Lidia Rolfi, "L'esile filo della memoria": " ... ma il prima è troppo lontano, diverso, assurdo come un sogno, e nulla potrà più essere così ora, mentre Lidia con l'anima è ancora là nel Lager fra altri corpi senza nome, quelli delle donne e dei bimbi d'Europa inghiottiti per sempre, e non riesce più a venir via ". "Ne uscirà, forse, a poco a poco (ma se ne può uscire davvero?) sempre in lotta con i suoi fantasmi e continuando a raccontare, a ricordare, a testimoniare fino alla fine. Tutta la sua storia di donna che ha combattuto con grande forza d'animo e con estremo coraggio per la libertà, mi appare un messaggio straordinario di speranza per tutte le donne, la sento vicina, è una di noi, esempio vivo di incoraggiamento per ogni persona che resiste, per non tradire se stessa e per mantenere vive tutte le sua conquiste ".

 

Ferruccio Maruffi ci ha anche inviato la foto che pubblichiamo: in essa, tra gli albi, si riconoscono

Lidia Rolfi e Primo Levi sfilare a Torino, un 25 Aprile di vent'anni fa.

Anche Bruno Maida ha preso lo spunto dalla lettura dell'ultimo libro di Lidia Rolfi per un appassionato ricordo e per una riflessione di ampio respiro. "L'Italia dell'immediato dopoguerra - vista attraverso la provincia cuneese - in parte non vuole, in parte non è in grado di accogliere il messaggio e la lezione che gli 'ingenui' deportati vorrebbero trasmettere, che per una donna significa anche affermazione della propria autonomia, della propria volontà di partecipazione civile e politica. Se non è possibile condannare in toto l'Italia che non ha saputo ascoltare i deportati, è altresì vero che i loro problemi di reinserimento -famiglia, salute, lavoro, partecipazione, identità - rimangono sullo sfondo di una società che vuole eroi e certezza, non dubbi e persone che lottano per la sopravvivenza. A ciò si aggiungono le contraddizioni e la continuità di un Paese che spesso vede immodificato il personale dell'apparato amministrativo-burocratico così come il suo modus operandi e la sua ambigua posizione di <<servitore dello Stato>> che mantiene, anche tra le forze più avanzate e progressiste, una sostanziale visione maschilista del potere e dei ruoli; che non è in grado difare del tutto i conti con il proprio passato ".
Ferruccio Maruffi, com'è nel suo stile, ha scritto invece una lettera proprio a Lidia. In essa, tra l'altro, scrive: 'Quegli ultimi fatali chilometri di strada, bruciando il ricordo di quell'altro 'ritorno', quello di mezzo secolo fa, li ho sofferti più di quanto ho patito nell'apprendere in seguito che era davvero finita, che ci avevi lasciati. E puoi ben capire il mio stato d'animo se tu, fra un colpo di tosse e uno di speranza, indicando quanto sia esile il filo della memoria, senza tralasciare una virgola, avevi buttato giù una pagina dopo l'altra, guarda un po', proprio il percorso stupefacente e drammatico della Ravensbrück-Mondovì. Per testamento. Come aveva fatto Primo nella 'Tregua' della sua Auschwitz- Torino. Fin d'allora perfutura memoria. "Entrambi con la stessa consapevole intuizione che per gli uomini storicamente pensanti dell'orbe terracqueo il Lager era il Lager e che dentro ci stava concentratissimo tutto il 'male' e che di questo era soprattutto importante raccontare.
Invece noi sopravvissuti sappiamo fin troppo bene che il campo ricomincia mille volte e una da quando era finito. "Poi c'era stato il tuo funerale. Parole, parole, ma quando ad un tratto i ragazzi si eranomessi a cantare 'Fischia il vento', era stato come se tu fossi lì a struggerti con noi di commossa partecipazione ".