Marco ha intervistato personalmente con estrema
pazienza e bontà ben 84 sopravvissuti al Lager di cui 35 donne, creando
l'atmosfera per il libero flusso delle confidenze dei deportati spesso
restii a rinnovare il dolore che il ricordo riaccende.
Vi invitiamo a leggere queste interviste tutte degne di attenzione.
In particolare vi segnaliamo quella di Rina Belelli, una donna ebrea
di Corfù sopravvissuta, che ha perso nel Lager 13 congiunti. La figlia
Matilde dirà: "A quest'ora avremmo avuto una famiglia immensa"
(pag. 357).
Nessun commento mi sembra adeguato alla pregnanza di questa osservazione.
L'impatto della deportazione a Trieste
è stato particolarmente pesante come si evince da una rapida scorsa
ai dati seguenti:
Trasporti di deportati per i Lager nazisti da Trieste catalogati
- da Italo Tibaldi: 69 più altri 13 probabili
su di un totale dall'Italia di 123 convogli
- da Liliana Picciotto Fargion: 23 su di un totale
di 45 di deportati (solo ebrei)
- Numero dei deportati ebrei partiti da Trieste:
1173 su di un totale dall'Italia di 8556
- Numero complessivo di deportati dall'AK schedati
da Marco Coslovich: 8222 su di un totale nazionale di circa 40.000.
Sulla distinzione tra deportati
in generale e deportati ebrei Marco CosIovich esprime questo pensiero
che condividiamo: "Insisterei molto sulla unitarietà dell'esperienza
concentrazionaria all'interno della forte specificità ebraica. Unitarietà
e specificità: la contraddizione è solo apparente perché lo sterminio
ebraico - accanto a quello degli Zingari - assume in sé gran parte dell'esperienza
concentrazionaria di tutti i deportati" (pagg. 351-352). Il numero
di 40.000 circa di deportati dall'Italia non è frutto di una rigorosa
rilevazione, ma sembra nel complesso accettabile. Non ci diamo tuttavia
per vinti e ci ripromettiamo di proseguire nella ricerca. E' subito
però evidente l'enormità della quota proveniente dall'AK.
La mortalità dei deportati dell'AK rilevata da Marco Coslovich attinge
il 60%. Auschwitz è in testa con il 68%, segue Mauthausen con il 62,50%.
Non è una classifica per una gara, ma a suo tempo avrei voluto scrivere
al prof. Claudio Magris che nello splendido Danubio parla di Mauthausen
come di un Lager non particolarmente crudele, mentre per Coslovich "si
conferma di particolare durezza". Di terzo grado per Marsalek.
La storia della deportazione non
può non tenere conto dell'ambiente dal quale il deportato proviene,
dalla formazione culturale ed etico-politica, dei moventi della partecipazione
alla resistenza, delle circostanze dell'arresto.
E Trieste come ambiente è soggetto di una sofferenza più acuta, più
intensa per essere stata compresa nell'A.K. dove il clima repressivo
era certamente più pesante che altrove, per essere stata teatro dei
pesanti tentativi di snazionalizzazione degli sloveni e dei croati durante
il regime e ancor prima con le violenze squadristiche.
Nei dati numerici che Marco ci dà figurano molti deportati "senza
colore": il rosso è quello dei politici. Personalmente sarei per
la più ampia inclusione - naturalmente con l'eccezione dei verdi (delinquenti
comuni) e dei neri (asociali). Teniamo presente che di regola l'arresto
non è del tutto immotivato. Rastrellamenti: ma perché una persona si
trovava in quel posto dove non avrebbe dovuto esserci? E più l'arresto
appare in-
giustificato (i politici sapevano di essere dei nemici e di rischiare)
più viva è la reazione che non può non essere in definitiva politica.
Infine l'Università del Lager che fa di ogni prigioniero un laureato
in scienze politiche.
I nazisti furono prodighi nell'assegnare il triangolo rosso. Marco nel
suo rigore non si abbandona a congetture.
Marco ci dice che "il mondo della deportazione non deve considerarsi
come un monoblocco compatto". Ci sono campi dai quali si può corrispondere
a mezzo posta, ricevere pacchi (con esclusione degli italiani e degli
ebrei) e altri campi esclusi da ogni attenuazione del rigore. Ma in
tutti domina la fame, le malattie, il lavoro stressante, le urla bestiali,
i maltrattamenti, la continua incombente presenza della morte.
E la circolare Pohl con l'obbiettivo di razionalizzare l'impiego della
forza lavoro dei nuovi schiavi si traduce in un più efficiente strumento
di morte: Vernichtung durch Arbeit.
Diversi sono gli effetti dei Lager
sui singoli soggetti. C'è chi resta annichilito dall'orrore, chi insensibile
alle cose che vede. In altri casi l'orrore porta alla sublimazione del
sentimento. Ci sono delle donne che hanno accenti di poesia autentica:
l'apparire della prima stella, la lunona grande (pag. 279). E' questa
una forma di resistenza, un percorso per la sopravvivenza.
Marco si immedesima nella condizione femminile nel Lager più dolorosa
di quella degli uomini. E così maggiori per le donne le difficoltà da
superare per prendere parte alla resistenza come partigiane o staffette
contro i pregiudizi dell'ambiente familiare e sociale. Ed anche il ritorno
riserba alle donne spiacevoli sorprese per la diffusa incomprensione.
Marco scruta gli animi, le diversità, i contrasti, le reazioni, i sentimenti,
i comportamenti con grande finezza. Ci sono i buoni, i normali e sono
la più gran parte. Ci sono le eccezioni dei malvagi e Marco dice che
non bisogna generalizzare. C'è il ritratto di un prete poco caritatevole
e poco dignitoso, al limite disgustoso, ma quanto diverso dalla splendida
figura di Padre Manziana o del mio caro Gaggero.
Anche altri autori, oltre Coslovich, hanno ricordato figure e atti criminali.
Da ultimo Melodia in Non dimenticare Dachau. Bisogna distinguere
tra i comportamenti negativi imposti dalle SS cui è impossibile ribellarsi
senza incorrere nel martirio e le cattive azioni spontanee e anche qui
occasionali piuttosto che ripetitive. Esempi in Papalettera, nella Antologia
di Forti, in Quinto Osano, nel Revier di Mauthausen ne La
Vita offesa, in Operazione Sirio di Ferruccio Maruffi. Nessuna
rimozione nelle memorie dei deportati.
La responsabilità è sempre individuale, ma non si può non tener conto
dell'ambiente e del clima che condizionano pesantemente la vita dei
prigionieri nei Lager.
Attratto dal titolo del libro, l
percorsi della sopravvivenza ho cercato gli accenni sparsi nei vari
capitoli: conta la conoscenza delle lingue (non essere sordi e muti
nella Babele delle lingue per non incorrere in conseguenze anche gravi),
il luogo di lavoro: micidiale all'aperto, migliore in officina specie
se eserciti il tuo mestiere, evitare le dispute nazionali ("lo
strascico di odio e di risentimento lasciato dagli italiani che hanno
occupato la Jugoslavia è molto pesante") e "sapersi inserire"
- dalle molte sfaccettature, "essere privi di memoria", "passare
il più possibile inosservati", "praticare una forma di ottundimento
consapevole" e infine "rubare" (mi piace di più l'eufemismo
del Lager "organisieren").
Frasette estrapolate e quindi con metodo discutibile. Sono occasioni,
atteggiamenti azioni via via approvati o condannati da Marco. Certo
l'attenzione per le circostanze estreme suscitano nel lettore una certa
indulgenza per chi devia dalla corretta linea. In termini giuridici
diremmo: circostanze attenuanti. L'astenersi da azioni men che corrette
appaga la sensibilità di chi costantemente si sottopone al giudizio
del suo foro intemo.
Per cercare di approfondire il pensiero di Marco su I percorsi della
sopravvivenza sono risalito al suo saggio in "Quale storia"
1991 fascicolo 2/3, pag. 127.
Narra le vicende di tre deportati: uno specchiato galantuomo che muore
in brevissimo tempo, un uomo dalla moralità diremmo discutibile che
resiste quasi venti mesi, e il mascalzone che viene liberato, cosa del
tutto eccezionale, dai nazisti dopo un breve periodo di detenzione.
Per ricostruire le figure dei tre deportati Marco ha fatto uno straordinario
lavoro di ricerca e di scavo con tenacia e risultati adeguati.
Ma quale sarà la conclusione? quella che si compendia nell'accorato
esasperato grido di dolore di Primo Levi ne I sommersi e i salvati:
"I "salvati" dal Lager non erano i migliori... Sopravvissero di
preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori
della "zona grigia", le spie".
Parole indebitamente interpretate in senso assoluto da molti superficiali
commentatori mentre altre considerazioni ne I sommersi e i salvati
consentono attenuazioni e interpretazioni diverse.
Oppure la conclusione che si evince dalla pacata spiegazione di Primo
Levi a colloquio con Femando Camon: "Io credo di aver subito una
maturazione, avendo avuto la fortuna di sopravvivere. Perché non si
tratta di forza, ma di fortuna: non si può vincere con le proprie forze
un Lager. Sono stato fortunato: per essere stato chimico, per avere
incontrato un muratore che mi dava da mangiare, per avere superato le
difficoltà del linguaggio (questo lo rivendico); non mi sono mai ammalato,
mi sono ammalato una volta sola, alla fine, e anche questa è stata una
fortuna, perché ho evitato l'evacuazione del Lager: gli altri, i sani,
sono morti tutti, perché sono stati rideportati verso Buchenwald e Mauthausen,
in pieno inverno".
Anche per Bettelheim "Ia sopravvivenza dipendeva soprattutto dalla
fortuna".
Marco mi sembra molto prudente nell'atto di tenere saldamente la barra
del timone in questa perigliosa navigazione per evitare Scila e Cariddi.
Per parte mia vorrei citare l'interpretazione di Norberto Bobbio (Il
Revier di Mauthausen, Edizioni dell'Orso, 1992) (10): "Pochi
si salvano. Come sempre nelle cose umane, la salvezza viene o dalla
fortuna o dalla virtù. La virtù principale consiste nel non rassegnarsi,
nel non darsi per vinti, nel continuare a sentirsi, nonostante tutto,
uomini e non bruti". Questi grandi temi richiedono umiltà e amore
che certamente si ravvisano in Marco. Come è anche nelle mie aspirazioni.
E' mai possibile che qualcuno possa
nutrire ancora nostalgia per quei "tempi maledetti"? Che le
svastiche appaiano sui muri delle nostre case? Che Mein Kampf
- questo delirante libello gonfio di propositi criminali venga letto
ancora da taluni come un Vangelo? Che altri vogliano stravolgere la
storia negando i crimini nazisti oppure cercando di relativizzarli con
impropri paragoni. Di qui l'impegno assoluto degli ex deportati, la
missione inderogabile: il dovere di testimoniare.
E veniamo ora al senso di colpa
che affligge gli ex deportati nel timore di essere vivi al posto di
un altro. Vedi anche Marco nel saggio citato.
Su questo sentimento Primo Levi si è soffermato con sensibili variazioni.
La più liberatoria, la più assoluta è certamente nella poesia Il
Supersiste che mi sembra si debba leggere tutta:
Il Superstite Since then,
al an uncertain hour,
Dopo di allora, ad ora incerta,
Quella pena ritorna,
E se non trova chi lo ascolti
Gli brucia in petto il cuore.
Rivede i visi dei suoi compagni
Lividi nella prima luce,
Grigi di polvere di cemento,
Indistinti per nebbia,
Tinti di morte nei sonni inquieti:
A notte menano le mascelle
Sotto la mora greve dei sogni
Masticando una rapa che non c'è.
"Indietro, via di qui, gente sommersa,
Andate. Non ho soppiantato nessuno,
Non
ho usurpato il pane di nessuno,
Nessuno è morto in vece mia. Nessuno.
Ritornate alla vostra nebbia.
Non è mia colpa se vivo e respiro.
E mangio e bevo e dormo e vesto
panni".
Alla
resistenza nei Lager Marco non dedica un capitolo apposito, ma il terna
è presente in vari capitoli.
Egli è affascinato dalle ribellioni dei Sonder Kommando di Auschwitz
(degli addetti alle camere a gas e ai forni crematori), di Treblinka,
dalla sollevazione del Ghetto di Varsavia dove emerge la stupenda figura
del martire dott. Janos Korczak che serenamente, consapevolmente, si
avvia al martirio alla testa dei bambini dell'orfanotrofio dei Ghetto
di Varsavia.
Dobbiamo contenere il nostro sdegno, la nostra disperazione sperando
che altri meditino su queste infamie.
La resistenza comunemente praticabile nel Lager, pur suscettibile di
punizione capitale consiste nel sabotaggio sul lavoro. Non suscita meraviglia
che nel clima di terrore del Lager, la resistenza sia stata possibile?
Non è da leggere come una grande affermazione di umanità e di coraggio?
Trieste ha elevato un monumento, la Risiera a perpetua memoria delle
vittime e a perpetua esecrazione del nazismo.
Trieste ha anche prodotto due libri, anch'essi due monumenti:
Il processo della Risiera e il libro di Marco più indistruttibili
del bronzo.
Bruno Vasari
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