"Sono dov'è il mio corpo" di Piero lotti

Un partigiano a Mauthausen

Partigiano, deportato a Mauthauseri a 18 anni, Piero lotti è riuscito, per una serie di circostanze fortunate - come le definisce lui stesso - a far ritorno a casa dopo la guerra. In condizioni fisiche disperate, con i medici che dopo averlo visitato, scuotevano tristemente il capo e si appartavano con suo padre, che, ogni volta non riusciva a nascondere l'angoscia e a trattenere le Iacrime.
Ma lui duro: "Si sbagliano, se sono riuscito a sopravvivere a Mauthausen ce la farò certamente anche adesso. Anzi, sai che ti dico? Andrò ai funerali dei miei medici". Sicché divenne una specie di innocente mania scorrere i necrologi sui giomali e registrare il decesso di ben tre di quei dottori...
Ed ora, ormai in pensione, dopo una intensa vita politica - è stato assessore a Reggio Emilia e sindaco di Sant'Ilario d'Enza - sente il dovere di testimoniare, perché "credevo che la memoria dello sterminio fosse assicurata dalla coscienza collettiva dell'umanità, credevo fosse un punto fermo, ma non è così... il razzismo, cioè la presunzione della superiorità non è solo un incidente della storia, né riguarda aree definite, non è solo una deviazione che la follia nazista ha trovato il modo di promuovere a sistema. E' parte di noi trae spinta da pulsioni istintuali profonde, attiene alla natura animale che ci ha plasmati... fra il giovane di oggi che aggredisce gli extra-comunitari sfogando il dispetto per una superiorità insidiata, e quello che partiva come volontario per le guerre coloniali, non c'è molta differenza, in fondo.
Uno come l'altro cerca un posto al sole, fa ricadere sul più debole il panico di scoprire la fragilità delle proprie certezze".