"L' Esile rilo della memoria" diLidia Beccaria Rolfi

Quanto disincanto dopo Ravensbrück

"Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà" è il sottotitolo scelto da Lidia Rolfi per questa sua estrema testimonianza, scritta negli anni della malattia, e giunta nelle librerie insieme alla notizia della morte dell'autrice. Con determinazione e coraggio Lidia Rolfi ha portato a termine questa sua ultima fatica, ed ebbe la gioia di vederla ultimata.
Eppure - va detto - il libro non porta traccia della fatica, dello sforzo che costò alla sua autrice, che anzi riesce con efficacia a ricostruire la freschezza delle sensazioni di allora, quando, ventenne, lasciò infine il Lager di Ravensbrück per affrontare l'interminabile viaggio che l'avrebbe riportata a casa soltanto diversi mesi dopo, il 1°settembre.
Un viaggio nel disincanto, fatto di speranze tradite, di delusioni cocenti, ma anche di solidarietà, di amicizia, e al fondo di speranza. Un libro di sorprendente freschezza, eppure amaro: nessuno credeva o prestava ascolto ai racconti di una ragazza che parlava di un mondo di orrori senza fine, "eccessivi", incredibili. E lei, reduce da quell'inferno, si trovava a fare i conti con il suo piccolo mondo conformista di provincia, con i presidi fascisti, con i condizionamenti imposti a una ragazza "colpevole" di essere stata in Germania, da sola per giunta, e chissà a fare cosa.
Si ritrovano in questo libro-testimonianza i temi cari a Lidia Rolfi, attenta studiosa della deportazione femninile, impegnata per decenni a raccogliere le voci delle sue compagne, salvandole da una generale rimozione. Un impegno che ha fruttato alcuni importatiti risultati, come il recente convegno torinese proprio sulla deportazione femminile, da lei intensamente voluto, a dispetto della malattia che già la minava.
ll filo della mernoria che conduce l'autrice nel suo peregrinare in mezza Europa, in una galleria di personaggi memorabili, a dispetto del titolo non è affatto "esile": la vicenda che il libro racconta, con sobrietà e calore, non appare nient'affatto remota, ma viva, palpitante. Il clima dell'epoca è tratteggiato con poche annotazioni, con qualche descrizione di ambiente, con pochissimi aggettivi.
Lidia racconta anche il rapporto ambivalente con i compagni di deportazione, gli unici che dimostravano di comprendere e condividere il dramma della sopravvissuta di Ravensbrück, ma che con i loro ricordi la riconducevano ogni volta nel clima del Lager, riportandola a un tempo oscuro e a degli incubi di cui lei cercava in qualche modo di liberarsi
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