Noi - quelli dell'Associazione culturale "Tempi
Moderni" di Pavia - non siamo soli oggi domenica 7 maggio 1995: ci sono
altre ventimila persone (soprattutto giovani e giovanissimi ed anziani)
che sono convenute qui per ricordare la liberazione dei prigionieri
del campo di concentramento e la fine della seconda guerra mondiale
in Europa.
In una giornata di sole e un vento deciso, costante
e gradevole di accompagna.
Bandiere, vessilli, fazzoletti, etichette, adesivi
servono a ciascun gruppo per farsi riconoscere: ci sono gli ex deportati
ebrei ed ucraini, slavi e tedeschi, francesi ed italiani, russi e spagnoli,
tutti immediatamente identíficabili. Ci sono i liberatori americani,
quelli che avevano vent'anni nel 1945 ed oggi tornano, magari per la
prima volta, e sono tra i più emozionati. I loro aggettivi della
memoria sono tutti uguali: quel che videro allora era incredibile, pazzesco,
insopportabile, inimmaginabile.
A metà mattina davanti ad ogni monumento
ogni nazionalità celebra i propri morti. Ci sono gli ungheresi
con le sgargianti uniformi da ussaro, delegazioni della Germania unificata
che non "rinnegano" il monumento a suo tempo costruito dalla Repubblica
Democratica Tedesca, perché quei versi di Bertold Brecht sono
immortali: "Germania, pallida madre .......
I polacchi alzano i loro vessilli biancorossi
e pregano secondo il rito cattolico; un metropolíta ortodosso
accompagna i greci.
Gli ex-jugoslavi si ignorano tra loro: sloveni,
croati e bosniaci si guardano con indifferenza, mentre ricordano separatamente
le proprie vittime. E' un segno di incomunicabilità che ferisce
tutti, che fa capire tangibilmente la dimensione del conflitto interetnico
nei territori balcanici vicini all'Italia.
E' gradini della scala della morte sono l'ultima
emozione che ci tocca prima d'andar via. Rammento ai ragazzi che sono
con me le parole di Claudio Magris - nel suo bellissimo libro Danubio
-: il Terzo Reich voleva cambiare il nome del razzismo e attraverso
un bagno di sangue la faccia dell'Europa e doveva durare mille anni;
è durato solo dodici anni, "meno della mia vecchia giacca a vento
che porto di solito in gita".
Che cosa possono fare i giovani affinché
quel che è accaduto non accada mai più? Lo dice ai ragazzi
un combattente repubblicano che lottò contro il dittatore Franco,
durante la guerra civile spagnola: "Mucho estudiar!".
Antonio Sacchi
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