Giovanni Melodia, Roma

"Scripta manent. ... ma con rigore!"

La foto... incriminata
Caro Venegoni, certamente non ti è difficile immaginare il mio rammarico, per non poter essere presente a Prato, dove avrei potuto parlare con te, e con altri, di tante cose. Non posso più portare la mia testimonianza diretta nelle scuole. Ma quella scritta si, è in quella direzione che, possibilmente, continuerò a dare il mio contributo con recensioni, articoli, ecc., magari anche accrescendolo (scripta manent), augurandondomi che si accresca il numero dei compagni di deportazione che vorranno e potranno affidare alla carta stampata le proprie memorie. Un argomento, questo, sul quale bisognerà fare molta molta attenzione, per assicurare una corretta informazione ed una adeguata interpretazione, e non fornire appigli ai negatori. Faccio un esempio, anzi due, i primi che mi vengono in mente in questo momento.
1. C'è una foto, utilizzata molte volte (anche sull'Unità e sul Triangolo Rosso del dicembre '94, p. 27), che mostra un gruppetto di giovani che festeggiano, da dietro un reticolato mal ridotto, la liberazione. E sono in buone condizioni fisiche, tanto da far dire a chi li osservava: "Ma allora non è vero che morivate di fame!". Quando m'è capitato di udire questo commento sono dovuto intervenire, spiegando che a Dachau la divisa a zebra veniva indossata solamente da coloro che lavoravano negli Aussen Kommandos, in alcuni dei quali, sia pur rarissimi, l'alimentazione poteva essere ben diversa da quella fornita nei grandi Lager, nei quali quei giovani erano rifluiti negli ultimissimi giorni. Per questo avevano potuto correre, sbracciarsi a salutare i liberatori, cosa impossibile alle migliaia e migliaia di agonizzanti nei Revier o nelle baracche.
2. Nel museo di Dachau c'è una grande foto, o che mostra tre o quattro uomini sbracatamente grassi (con indosso una divisa non a righe ma "quasi bianca"). E anche lì il solito inevitabile commento. Io ero alla guida di un gruppetto di studenti e anche quella volta son dovuto intervenire, spiegando che o si trattava di Kapos puniti o che si erano prestati per quella documentazione provocatoria, o. più probabilmente, poiché il Lager era in funzione dal 1933, erano detenuti tedeschi dei primissimi tempi. Non c'era nessuna didascalia, o io non l'ho vista, né, a causa della responsabilità che avevo nei confronti dei ragazzi italiani ho potuto parlarne con Barbara Diestel. Sarebbe a n-do avviso necessario che qualcuno verificasse se c'è o non c'è una didascalia adeguata, e, se non c'è, ne facesse presente l'opportunità alla direttrice del Museo, con la necessaria cautela. C'è una cosa della quale avrei voluto parlare con te, con Maris, con Ducci e con Jalla, e cioè che - da sempre - io ho pensato ad una pubblicazione da intitolarsi "Ma i tedeschi sapevano?"e, per questo, sono andato via via annotando ciò che i testimoni diretti della deportazione hanno scritto circa il loro impatto con la popolazione tedesca (o cecoslovacca o polacca, ecc.) e mi sono segnato il nome del testimon, il titolo della pubblicazione, la pagina, ecc. e, qualche rara volta, ho trascritto il brano. Non ho però dato concreta conseguenza a quella idea in quanto, per farlo bene, bisogna avere la possibilità di esaminare un numero di pubblicazioni assai più alto di quelli ai quali ho fatto io riferimento. Mi sembra cioè che il lavoro di ricerca non possa essere fatto da una sola persona, così che sia quanto più ampio possibile, tanto più che, per obiettività, le testimonianze non devono essere soltanto in una direzione.
Giovanni Melodia

 

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