"Codice Sirio" di Ferruccio Maruffi

La solidarietà come esaltazione della dignità

Ferruccio Maruffi con il Codice Sirio (I racconti del Lager) arricchisce la memorialistica della deportazione con un contributo originale: oltre cento brevi racconti, di lunghezza quasi pari, in 260 pagine. Lo stile è scorrevole, la lingua quasi parlata. Numerose le osservazioni e i commenti folgoranti che si imprimono nella memoria e i paragoni efficaci che rivelano notevoli qualità di narratore e di conversatore.
Ferruccio insiste nel dire che non ha voluto scrivere una storia, ma non posso esimermi dal contraddirlo almeno in parte. Nel suo itinerario da Mauthausen a Schvechat, a Florisdorf, a Mauthausen al Campo rosso (preferirei russo) e di lì a Gusen 2 e di nuovo al Campo rosso di Mauthausen, ricorda fatti realmente accaduti, descrive ambienti e traccia ritratti di compagni di deportazione, uomini veri, molti conosciuti da noi e incontrati nel Lager, e tra di essi gli amici Gepi (Calore) e Nino (Bonelli), e Luigi (Scala) e Giuliano (Pajetta) e Carlo (Vallardi) e tanti altri, conosciuti dopo in Associazione. Se questa non è storia sono pietre angolari sulle quali innalzare l'edificio della storia. E la storia si alimenta anche di reazioni psicologiche, di analisi di mentalità, di stati d'animo.
La testimonianza di Ferruccio ha lo scopo manifesto di tenere viva la memoria dei compagni che non sono più tra noi. Il rimpianto è intriso di pietà, di affetto, di riconoscenza.
La vita - non vita, del Lager è un susseguirsi di eventi angosciosi, tristi, sconvolgenti, terrificanti. Ferruccio senza attenuare l'orrore sa tuttavia presentarlo in modo da non far distogliere gli occhi dalla pagina o peggio chiudere il libro. Si rende evidente la sua esperienza del colloquio con i giovani ai quali far conoscere tutta la verità senza reticenze, ma con la delicatezza e la cautela di un buon padre, di un buon maestro. La descrizione delle mostruosità che subiscono i "deportati schiavi", i "deportati cavie" è alleggerita di tanto in tanto da qualche battuta ironica da non considerare un espediente in quanto "curiosità e ironia" rientrano per lui tra le cause di sopravvivenza come tutte le fedi: "non necessariamente in Dio, ma anche in cose che elevano lo spirito, come la musica, lo studio, la poesia e perché no aver fiducia nell'onnipotente moscovita pagano".
Il Codice Sirio è una testimonianza originale e non imita alcuna testimonianza precedente. La propensione di Ferruccio è di cercare nella folla che lo circonda, lo opprime e tende a soffocarlo, le espressioni più alte dell'animo umano e trova nell'amicizia l'unico bene, in mancanza degli affetti familiari, posseduto dai deportati ed esalta la solidarietà, la dignità.
L'esperienza del Lager amplia il decalogo con un XI comandamento: non odiare e anche con un XII: non desiderare la patria altrui.
Emergono dall'ombra alcuni maestri. Luigi (Luigi Scala) che in poche battute risponde agli interrogativi esistenziali più profondi, con la sapienza che viene da lontano sublimata dalle meditazioni del carcere. Francesco che diffonde serenità ispirandosi alla fede cattolica profondamente vissuta. E Michel, il romantico Michel che tenta di alleggerire la pena della lontananza con le sue poetiche invenzioni. E altri ancora. Ferruccio è obiettivo e imparziale e raccoglie anche ogni minimo gesto di umanità, raro tuttavia, di chi SS o Kapò sta dall'altra parte.
Ma il nome di Ferruccio lo cerchereste invano nel libro. Per modestia, a mio avviso per un eccesso di modestia, vuol rendere la sua testimonianza ponendo se stesso in ombra lontano dalle luci della ribalta e adotta lo pseudonimo di Franco.
Tra gli affetti che lo pervadono vivissimo è il ricordo del padre che gli diceva: "le guerre sono un prodotto dell'insicurezza dell'uomo e insieme della sua vanagloria". Intensa è in Ferruccio l'immedesimazione nel dolore delle famiglie dei deportati che si struggono nell'incertezza. Sarà opportuno portare a termine quest'opera, vedendo se possibile di pubblicare le interviste ai parenti dei deportati da lui raccolte con la collaborazione di un famigliare. Un sentimentalismo non sdolcinato, un romanticismo non esaltato emanano dalle pagine di Ferruccio.
Il racconto virtualmente si conclude con l'immane Apocalisse dei 3000 deportati (Ferruccio non fa il numero che subisce varie oscillazioni secondo gli autori) tratti dai giacigli del Revier (Campo rosso) e avviati su per l'erta che conduce alla "Fortezza" per essere gasati. Da dove è venuto a Ferruccio l'impulso di scrivere? Da una lunga sosta al passaggio a livello con la visione dell'interminabile lento treno merci rievocativa della deportazione: "Il ricordo improvvisamente vivo di un viaggio" la partenza dalla stazione di Bergamo il 17 maggio 1944. Oggi tema di discussione tra noi ex deportati è come meglio, più efficacemente parlare ai giovani senza paternalismi e indottrinamenti. C'eravamo occupati della materia nell'86 con il Convegno Storia vissuta, dai contenuti sempre validi. Consigliamo a chi si accinge ora a parlare alle scolaresche di leggere il libro di Ferruccio. Questo è il mio ponderato consiglio. Ferruccio che perentoriamente aveva dichiarato di non volere elogi spero non si dispiaccia.

 

E ancora, perché Codice Sirio? Ho tenuto sulla corda il lettore fino a questo punto. Ed ecco la spiegazione di Ferruccio:
"Un anziano del lager aveva detto al giovane recluso:
- Cerca nel firmamento una stella, e contemplala, se ti sarà possibile ogni volta che si farà buio. -
- Il nome di quel lontano corpo celeste diverrà il tuo codice segreto per comunicare idealmente con gli uomini liberi che, nello stesso istante avranno la ventura, come te, di osservarlo. -
Il deportato accettò il suggerimento e scelse Sirio, la stella più splendente dei cielo boreale".
E'un quasi mistico inno ai legami affettivi, alla solidarietà, all'amicizia.
B.V.