Quanti sono dunque i mondi esistenti, e quanti
sono quelli possibili? Il senso comune indurrebbe a dire che i mondi
sono, in realtà, uno solo. La fredda realtà fornisce
riposte diverse, e così si è giunto a parlare di Terzo
Mondo, per indicare sotto una definizione generale il complesso di
Paesi che, non appartenendo alla ristretta arca di quelli sviluppati
- fossero essi a struttura capitalistica o ad economia pianificata
- erano alle prese con il problema dei problemi: come uscire dal sottosviluppo
al quale le vicende della storia e lo sfruttamento subito da parte
dei Paesi imperialisti li avevano condannati. Non è questo,
va sottolineato, un dato di comodo, ma straordinariamente reale: basti
pensare alla storia dell'India, trovata dagli inglesi straordinariamente
prospera e lasciata dalla Compagnia delle Indie come un deserto inaridito.
Aveva una produzione tessile tra le
più alte del mondo, e venne ridotta a terreno di coltura di
materie prime per l'industria tessile inglese, che non tollerava concorrenza.
Così la povertà e la fame hanno radici precise, rintraciabili
nei dati della storia degli ultimi due o tre secoli. Non è
necessario risalire più lontano.
Ma la definizione di Terzo Mondo era troppo generale, per essere soddisfacente.
Così si è cominciato a parlare di Quarto Mondo, una
definizione che non ha acquisito ancora la stessa popolarità,
perchè alla ricerca delle definizioni si accompagna, solitamente,
il pudore. Pudore, cioè paura di dover rendersi conto che concetti
affermati non rendevano giustizia alla realtà, e che se la
definizione di Terzo Mondo conteneva un connotato positivo - la speranza
o la certezza che da Terzo esso sarebbe stato promosso a Secondo od
a Primo - quella di Quarto conteneva invece una nozione negativa,
quella di Paesi che affondavano irrimediabilmente in una povertà
sempre più profonda.
Esorcizzare la cattiva coscienza dei ricchi ristabilendo una corretta
terminologia, dunque? Non è questione, purtroppo, di terminologia,
che ancora una volta copre sotto un manto unificatore realtà
assai più variegate e complesse, che a volte si sovrappongono,
mescolandosi in episodi draminatici. La Nigeria, dunque: colosso africano,
80 milioni di abitanti, risorse economiche potenziali che sembravano
garanzia di un passagio dal Terzo Mondo agli altri di livello superiore.
Ed ecco che si scopre che il gjgante aveva piedi d'argilla, attraverso
la cacciata degli "stranieri ". Questi stranieri, a milioni,
erano accorsi in Nigeria negli anni facili, in cui tutto sembrava
possibile, dai Paesi vicini, e beneficiare delle circostanze, che
si chiamavano "petrolio ". Era l'epoca nella quale la benzina
che nel Primo Mondo faceva muovere a velocità vertiginosa l'economia
e alimentava il "boom " costava 150 lire al litro, e gli
altri carburanti in proporzione. Capitali immensi ai quali bastava
solo attingere con le pompe, i giacimenti di petrolio, sembravano
una cassaforte nella quale era racchiuso il benessere futuro dei Paesi
"emergenti " (altra dizione affascinante e rincuorante).
Invece, ecco finita l'epoca del dollaro facile, ed ecco il più
promettente dei Paesi "emergenti " ricorrere alle misure
classiche della più classica delle economie: c'è crisi,
la paghi chi meno ha; il petrolio non va più come prima sul
mercato, paghi chi lavorava all'estrazione; il Paese conosce tempi
duri, se ne vadano coloro che sono "stranieri ". Ci sono
stati riferiti, dalle cronache degli inviati speciali accorsi ad assistere
all'improviso esodo forzato di milioni di "stranieri " attraverso
frontiere africane, episodi allucinanti, eppure non dissimili da esperienze
vissute nell'Europa civilizzata: il grido di " andate a casa
vostra ", "voi ci rubate il riso di bocca ", "non
portateci via il lavoro ", lanciato non dai ricchi, ma dai poveri,
della Nigeria.
Cosi il dramma appare assai più allucinante e tremendo di quanto
non appaia dalle cronache di morti per fame sete e fatica durante
l'esodo disorganizzato attraverso le frontiere. Perchè questo
dimostra che riessun problema reale può essere risolto nel mondo sottosviluppato
se esso viene affrontato secondo i modelli presentati dal mondo più
ricco. Ripercorrere le strade già vittoriosamente percorse
dai Paesi industrializzati e consumistici dell'Occidente significa
solo, come si vede, giungere ancor più rapidamente a risultati
negativi, a pagare subito un conto che per i Paesi industrializzati
appare costantemente dilazionato, addolcito, magari occasione per
un rilancio.
E tuttavia, la possibilità di un rilancio che faccia uscire
indenne l'Occidente sviluppato dalla tragedia - come se essa si sviluppasse
in un laboratorio lontano ed isolato - viene sempre più vista,
dai più avvertiti uomini politici e dai più acuti economisti,
come una chimera. Questo avviene perchè esiste quel tremendo
concetto che va sotto il nome di "interdipendenza ", e che
ci riconduce, ancora una volta, al concetto di unicià del mondo,
al fatto puro e semplice che il mondo è uno solo. E questo
non perchè l'andamento dell'economia mondiale porti ad un aumento
della fame nel mondo. In realtà, secondo i dati più
recenti e accreditati, è aumentato il numero assoluto degli
affamati, ma è diminuita la loro pur sempre folta schiera in
proporzione alla popolazione esistente. Ma perchè restare ancorati
a tutti i meccanismi che hanno portato a questa orrenda situazione
significa non solo condannarsi a vederla perpetuata, ma vederla giungere
presto o tardi -ma saràpiuttosto presto che tardi - ad un punto
di esplosione che investirà tutti i vari mondi nei quali il
mondo si divide. La soluzione, sarà bene tenerlo a mente, non
sta nell'aumentare gli "aiuti ", a concedere i quali del
resto il mondo sviluppato si dimostra sempre più riluttante,
ma nel modificare radicalmente i rapporti economici cd ì sistemi
di sviluppo. Per questo il mondo sviluppato, prima di tutti,, dovrà
pagare un prezzo alto: ma sarebbe assai più pesante quello
che sarebbe necessario pagare se le cose continuassero così.
E questa è la ragione per la quale, in una rassegna mensile
delle cose del mondo, abbiamo lasciato da parte le questioni dei missili
e delle bombe atomiche. Essi, a confronto dell'esplosione che sta
preparandosi nel mondo detto "emergente " - in realtà
in via di "sommersione " ulteriore - appaiono addirittura
meno allarmenti e pericolosi. E' tutto dire.
EMILIO SARZI AMADE'
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